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Crisi climatica / Reportage

Viaggio tra i comitati cittadini che si battono contro i rigassificatori

Un cartello a Piombino contro il progetto di rigassificatore © Luigi Danzi

Da Piombino a Ravenna, da Portoscuso ad Agrigento e Brindisi, movimenti e singoli fanno rete contro gli impianti fossili rivendicando il rispetto delle procedure di valutazione di impatto ambientale e contestando il modello commissariale che azzera il dibattito. “Sono l’anello finale di una filiera sporca”, spiegano. Il nostro viaggio

Da Piombino a Ravenna, da Portoscuso ad Agrigento, fino a Brindisi, i comitati locali fanno rete contro i rigassificatori e si moltiplicano le manifestazioni. “Sono l’anello finale di una filiera sporca -spiega Nadia d’Arco, portavoce della rete ‘No Rigass-No Gnl’- a partire dalle zone di origine negli Stati Uniti, in Medio Oriente e nei Paesi africani dove si estrae il gas, spesso tramite fracking: le rocce vengono fratturate tramite getti potentissimi di acqua mista ad agenti chimici, con inquinamento delle falde sottostanti, sismicità indotta e dispersione di emissioni climalteranti in atmosfera. Il gas viene poi liquefatto a -161 °C, trasportato con nave e riportato allo stato gassoso sulle nostre coste: tutti passaggi con alto impatto ambientale. Gli alti costi del gas liquefatto (Gnl) favoriscono infine la speculazione. Come rete chiediamo di abbandonare il fossile, non creare ulteriori infrastrutture, puntare alla vera transizione energetica fatta dalle rinnovabili: aria, acqua e sole”.

A oggi sono tre i rigassificatori in funzione nel nostro Paese: il più vecchio, attivo dal 1967, è il terminale Italia, nella baia di Panigaglia, Comune di Porto Venere (SP). Di proprietà di Gnl Italia (azienda controllata al 100% da Snam), ha una capacità di rigassificazione di 3,5 miliardi di metri cubi annui. Si trova nello stretto golfo della Spezia, a pochi passi dalle case, vicino al porto commerciale e a quello militare. “Dallo scoppio della guerra in Ucraina lavora a pieno regime con un continuo via vai di navi metaniere e nessuna interdizione alle attività portuali, in barba alla ‘Direttiva Seveso’ sugli impianti a rischio di incidenti rilevanti”, spiega Gabriella Reboa, dell’associazione culturale Posidonia. Nel solo impianto di Panigaglia, secondo un’indagine del 2021 realizzata dall’organizzazione Clean air task force su dati Snam, le emissioni accidentali in atmosfera di gas dal 2008 al 2020 sono passate da 227 a 786 tonnellate annue.

Nell’Adriatico dal 2009 è invece attivo il rigassificatore più grande del Paese, di proprietà della Adriatic Lng, società controllata da ExxonMobil italiana gas (70,7%), Qatar terminal limited (22%) e Snam (7,3%). Sorge a 15 chilometri da Porto Viro (RO), su un’isola artificiale: può riportare allo stato gassoso nove miliardi di metri cubi di Gnl all’anno ed è in progetto un aumento della sua capacità di altri due miliardi. Dal 2013 è entrato in funzione anche il terminale di Livorno della società Olt (Offshore Lng Toscana), controllata da Snam e Igneo infrastructure partners con una capacità di 3,75 miliardi di metri cubi all’anno. Si trova a circa 22 chilometri al largo di Livorno ed è connesso alla rete metanifera tramite un gasdotto di 36 chilometri.

All’articolo 5, il Decreto aiuti (decreto legge 50/2022) considera le nuove infrastrutture per il gas “interventi strategici di pubblica utilità, indifferibili e urgenti”. E prevede la nomina da parte del governo di commissari straordinari con il compito di autorizzare dopo un iter veloce, bypassando se necessario le valutazioni d’impatto ambientale, i nuovi impianti. Compito che in Toscana è stato affidato al presidente della Regione, Eugenio Giani, per il rigassificatore di Piombino (LI). A inizio giugno 2022, Snam ha così acquistato la nave Golar Tundra (Floating storage and regasification units – Fsru) per 350 milioni di euro dalla società Golar Lng. Lunga 300 metri e larga 43, con capacità di rigassificazione di cinque miliardi di metri cubi all’anno, sarà ormeggiata nel porto del Comune toscano e, secondo la società, sarà attiva dalla primavera del 2023, dopo la costruzione di un metanodotto di otto chilometri per collegarla alla rete nazionale.

A Piombino, come noto, si respira rabbia e rassegnazione. Cittadini, associazioni, comitati, imprese, lo stesso sindaco Francesco Ferrari e i sindaci dei Comuni vicini, si oppongono al progetto. Sono state presentate più di 60 osservazioni nell’ambito dell’iter autorizzativo. “L’area di interdizione totale dovrebbe coprire 4,5 miglia marine (otto chilometri, ndr) intorno al rigassificatore, come prescritto dalla ‘Direttiva Seveso’ per impianti a rischio di incidenti rilevanti -spiegano i comitati- ma a soli 500 metri c’è lo stretto canale di ingresso di navi e traghetti, entro due chilometri ci sono abitazioni, mercati, elementi sensibili. Inoltre Snam nelle sue contro-deduzioni non prende in considerazione incidenti causati da collisioni, errori umani o situazioni ingestibili dovute a eventi meteo estremi, che sappiamo sempre più frequenti. Siamo un Sito di interesse nazionale (Sin), ci dicono che in cambio faranno le bonifiche, ma non possiamo barattare la nostra sicurezza con ciò che ci spetta di diritto”. Le proteste arrivano anche dall’isola d’Elba dal momento che il traffico dei traghetti dovrebbe essere interdetto durante le delicate operazioni di travaso del gas, interrompendo così la continuità territoriale. Secondo le promesse del commissario Giani, la nave Fsru  resterà in porto per un massimo di tre anni (invece dei 25 richiesti da Snam) e poi collocata offshore.

L’attività dei rigassificatori può anche causare danni all’ecosistema marino: come aveva già fatto notare Greenpeace riguardo all’Olt di Livorno, il normale funzionamento di questi impianti prevede l’uso di varechina (NaClO) a ciclo continuo, quale antivegetativo. Enormi quantità di acqua marina passano attraverso gli impianti, per poi essere restituiti al mare freddi, clorati e sterilizzati, con il rischio che composti organo-clorurati tossici, mutageni e non facilmente biodegradabili entrino nel ciclo alimentare.

Nell’Adriatico, a 8,5 chilometri da Ravenna, approderà il secondo rigassificatore galleggiante Bw Singapore (capacità di cinque miliardi di metri cubi l’anno), che Snam ha acquistato dalla BW Lng a inizio luglio, per circa 400 milioni di euro. Cui vanno aggiunti 300 milioni di euro per i 40 chilometri di metanodotto da realizzare in mare e a terra. A differenza del sindaco di Piombino, però, l’omologo Michele De Pascale sostiene il progetto. “Ravenna è una città economicamente legata al fossile. Ma i tempi sono cambiati, è il momento di guardare in faccia la realtà -commenta Anna Fedriga, giovane attivista dei Fridays for Future che insieme a Legambiente, Fuori dal fossile, Reca e altre associazioni, si oppongono al rigassificatore-. È assurdo pensare che un impianto che nella migliore delle ipotesi entrerebbe in funzione tra fine 2024 e inizio 2025 possa in qualche modo giovare alla crisi energetica attuale e non aggravare quella climatica. Non faremmo altro che legarci al fossile e ad altri Stati esteri fino al 2050, anno che coincide con la scadenza della concessione del rigassificatore. Il controsenso mi sembra evidente”. Il presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, commissario straordinario per l’opera di Ravenna, liquida le proteste e promette che vicino al rigassificatore sorgerà un parco eolico e solare offshore. “In realtà stanno già parlando di togliere finanziamenti ad Agnes, il parco eolico offshore in progetto ormai da anni”, replica Fedriga.

Sempre sul mare Adriatico, approfittando dei tempi propizi, il gruppo Api ha rilanciato il progetto di un rigassificatore al largo di Falconara (AN). “Sorgerà a 16 chilometri dalla raffineria, a 13 dal porto di Ancona, a 20 dall’aeroporto, vicino alle piattaforme estrattive, aggravando una situazione ambientale già critica”, spiega Fabrizio Recanatesi, del Laboratorio Falkatraz e Trivelle zero Marche. Per il 15 ottobre, a un mese dall’alluvione che ha sconvolto le Marche, hanno organizzato una manifestazione ad Ancona. Perché “i disastri e i costi sociali della crisi climatica non solo sono prevedibili, sono una certezza”.

Ancora più a Sud incontriamo poi Cosimo Quaranta attivista del Movimento No Tap/Snam dalla provincia di Brindisi e della campagna nazionale “Per il clima, fuori dal fossile“. “Qui non ci manca proprio nulla, a Brindisi abbiamo una centrale a carbone tra le più inquinanti d’Europa, il petrolchimico di Versalis, abbiamo il Tap (Gasdotto Trans-Adriatico), diversi impianti a rischio di incidente rilevante e in progetto c’è il deposito Gnl di Edison a Costa Morena dotato di capacità di 20mila metri cubi di gas. Per quest’ultimo proprio a settembre è stata annunciata l’autorizzazione del ministero per lo Sviluppo economico (Mise) e del ministero per la Transizione ecologica (Mite) senza le valutazioni di impatto ambientale e senza i pareri di Provincia o Comune. Noi associazioni presenteremo un ricorso al Tar e anche il sindaco ha annunciato che farà lo stesso. Queste infrastrutture servono solo a rendere l’Italia un hub del gas per tutta Europa, incrementando i profitti delle multinazionali a spese del territorio e del clima”.

Anche in Sardegna la società civile (Italia nostra, Sardegna Pulita, Cagliari social forum, Cobas scuola Cagliari, Donne ambiente Sardegna) si mobilita contro l’installazione del rigassificatore galleggiante di Snam nella zona industriale di Portovesme, Comune di Portoscuso (Sud Sardegna): “Questo è un territorio dove tutto è contaminato dai metalli pesanti. Anche l’Istituto superiore di sanità ha sottolineato gli ulteriori impatti sanitari che avrebbe un tale impianto in questa zona”.

Portovesme, frazione del Comune di Portoscuso in provincia del Sud Sardegna © Graziano Bullegas

Ad Agrigento, intanto, centinaia di persone manifestano davanti al mare e al sito archeologico che attrae visitatori da tutto il mondo. “Ci opponiamo da vent’anni al progetto di Enel di installare un rigassificatore fisso a Porto Empedocle, con un gasdotto lungo 14 chilometri, a opera di Snam, attraverso la Valle dei Templi. Abbiamo presentato ricorso, sembrava un progetto bloccato, ma ora sulla scia della guerra e della crisi energetica è tornato”, racconta Alessio Lattuca del Movimento per la sostenibilità di Agrigento. “Il Porto di Augusta, in provincia di Siracusa, è circondato da quartieri densamente popolati e dal petrolchimico, con fiaccole sempre attive e frequenti incidenti -aggiunge Cinzia di Modica, del Comitato stop veleni-. Qui la società Restart consulting vuole installare un deposito di stoccaggio per 4.800 metri cubi di Gnl. Abbiamo presentato un esposto alla Procura di Siracusa, denunciando il rischio di incidenti a ‘effetto domino’ visto che siamo anche in zona sismica e in un Sito d’interesse nazionale, ancora da bonificare. Il passaggio delle enormi navi gasiere comporterà il dragaggio del porto, con la risospensione di migliaia di metri cubi di metalli pesanti tossici che ora giacciono nei fondali, innescando così un disastro ambientale dopo l’altro”.

Con la guerra torna in auge anche il progetto di un rigassificatore fisso a Gioia Tauro (RC), della Lng Med Gas Terminal (controllata da Iren e Sorgenia), autorizzato nel 2012 ma poi bloccato per numerose criticità. La costruzione del gigantesco impianto a terra impatterà su un’area di circa 47 ettari, toccando i Comuni di Gioia Tauro, San Ferdinando e Rosarno, con una capacità di 12 miliardi di metri cubi all’anno. “Credevamo che fosse una partita chiusa -dice amaramente Peppe Marra del Coordinamento dei movimenti per la difesa del territorio- e invece eccoci ancora a lottare contro questo impianto anacronistico e devastante”.

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