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Economia / Opinioni

Che cosa insegna la nazionalizzazione del colosso energetico Uniper

© Doris Morgan - Unsplash

In Germania il governo ha avviato il salvataggio della società che sta subendo enormi perdite a causa dei prezzi del gas. Per 30 miliardi di euro circa rileverà il 78% delle azioni. Un caso che dovrebbe far riflettere la politica italiana, scrive Alessandro Volpi. “Perché è evidente che in campo energetico occorre un forte intervento pubblico”

In Germania il governo federale ha avviato la nazionalizzazione di Uniper, uno dei colossi della distribuzione energetica. In realtà si tratta di un vero e proprio salvataggio perché la società privata sta subendo enormi perdite non riuscendo più a trovare gas a prezzi ragionevoli e avendo contratti di distribuzione con i suoi clienti a prezzi prefissati che rischia di non essere più in grado di onorare. Questo significherebbe non solo il suo fallimento ma soprattutto l’impossibilità per le utenze domestiche e industriali tedesche di essere rifornite: da qui l’idea di una nazionalizzazione che metterà in mano pubblica per quasi 30 miliardi di euro il 78% delle azioni di tale società.

Una situazione come questa dovrebbe far riflettere la politica italiana per almeno due ragioni. La prima è di ordine generale: è evidente ormai che in campo energetico, per garantire la sicurezza nazionale, occorre un forte intervento pubblico e certo l’Europa non si opporrà visto il precedente tedesco. La seconda ha a che fare proprio con la sicurezza energetica. Il fallimento probabile di Uniper può ripetersi in Italia per gran parte delle società che si occupano di vendita al dettaglio di energia e che soffrono di mancanza di approvvigionamenti a prezzi sostenibili. In questo senso la speculazione finanziaria sull’energia sta facendo saltare la filiera della distribuzione con conseguenze devastanti. Occorrerebbe quindi una più complessiva riconsiderazione pubblica del “mercato” dell’energia a partire dal ruolo di Eni, Enel e Snam, ma anche della filiera della distribuzione al dettaglio destinata ad essere la prima a entrare in crisi, lasciando le utenze senza forniture. Questa esigenza è rafforzata da un altro elemento.

Il Collegio dei commissari Ue, dopo lunghe discussioni, ha partorito una proposta di Regolamento sull’energia che prevede limitazioni dei consumi, un tetto ai ricavi per l’elettricità non da gas e “un contributo di solidarietà” da parte delle società energetiche pari al 33% sull’eccedenza di utili di oltre il 20% rispetto alla media degli scorsi tre anni. Si tratta, appunto, di una proposta che per diventare operativa avrà bisogno di una maggioranza qualificata di almeno 15 Paesi membri e di almeno il 65% della popolazione Ue. Vedremo se verrà approvata. Intanto il commissario europeo Thierry Breton, pur favorevole alla proposta, tiene a precisare che “l’energia è di competenza al 100% degli Stati membri, noi possiamo solo fronteggiare questa situazione anche aumentando la solidarietà tra Stati”. In tal senso il politico francese mette autorevolmente le mani avanti, evitando di affrontare un aspetto cruciale proprio per le singole autorità statuali.

In soli sei mesi gli extra-profitti maturati dalle società energetiche in Italia sono stati pari a 40 miliardi di euro e lo Stato ne ha attualmente incassati meno di 1,5. Di fronte a simili numeri e alle incertezze europee perché non riavviare, come accennato, una rinazionalizzazione delle società energetiche su cui l’Europa difficilmente potrebbe interferire?

Eni vale in termini di capitalizzazione una quarantina di miliardi e lo Stato ne possiede già il 30%; con una decina di miliardi ne assumerebbe il controllo stabile e intascherebbe grandissima parte degli extra-profitti che continueranno sicuramente nei prossimi mesi. Senza avere il controllo proprietario delle società energetiche appare chiaro che qualsiasi misura di calmierazione dei prezzi o qualsiasi aliquota sugli extra-profitti saranno difficili da perseguire. La rinazionalizzazione metterebbe invece al sicuro gli extra-profitti, rendendoli incassi pubblici, per procedere poi ad una trasformazione giuridica delle società pubbliche dell’energia in enti in grado di tutelare i monopoli naturali e gestire meglio i prezzi interni. D’altra parte le politiche dell’energia non possono ridursi ai costosissimi e inefficaci sussidi a pioggia.

Il Governo Draghi ha erogato, in pochi mesi, 65 miliardi di euro per far fronte al caro energia: quasi tutte queste risorse però sono state destinate al sostegno ai consumi senza alcuna definizione di priorità né in termini di politica industriale né in termini sociali. Ne hanno beneficiato infatti praticamente tutti i consumatori, senza distinzioni di reddito, e hanno favorito i consumi domestici rispetto a quelli industriali come dimostra il fatto che il consumo di elettricità nei primi sette mesi del 2022 è cresciuto del 2,7% rispetto al 2021 mentre quello specifico del settore industriale è diminuito di oltre il 2%; un dato certo non positivo in relazione alla tenuta del sistema produttivo. Una svolta profonda appare necessaria.

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento

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