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Economia / Opinioni

I gravi errori dell’Unione europea nel campo dell’energia hanno insegnato poco

Dalla dipendenza dalle forniture russe costruita negli anni alla scelta dell’hub finanziario di Amsterdam come mercato di riferimento. Cui si aggiunge il “tetto” al prezzo del petrolio “imposto” dagli Stati Uniti, che di fatto non importano greggio russo. “Farà esplodere ulteriormente l’inflazione”, avverte Alessandro Volpi

© Kenny Eliason - Unsplash

L’Unione europea in tema di energia ha compiuto una serie di errori molto gravi. Non è difficile elencarne alcuni e individuare qualche conseguenza evidente di una simile sequenza di disastri. In primo luogo ha costruito negli anni una dipendenza enorme, fatte salve alcune rare eccezioni, dalle forniture russe; in pratica una vera e propria dipendenza molto difficile da alleviare in tempi brevi. Ha consentito poi una pressoché completa finanziarizzazione dell’energia, in particolare scegliendo l’hub di Amsterdam come mercato di riferimento; un “mercato” piccolo, dove sono scambiati pochi volumi reali, e fortemente speculativo perché popolato quasi interamente da soggetti finanziari. In tale ottica ha permesso, riprendendo normative internazionali, l’ingresso negli hub energetici di soggetti che non avevano nulla a che vedere con la produzione e la vendita di energia.

Ha agganciato, inoltre, il prezzo di tutte le fonti energetiche a quello del gas e ha privilegiato gli acquisti giornalieri rispetto ai contratti di lungo periodo. Infine, ha individuato nel gas la pressoché unica fonte energetica “fossile” nel processo di transizione ecologica, favorendo così la speculazione sul suo prezzo. La prima conseguenza di tutto ciò è data dal fatto che il prezzo dell’energia è attualmente in Europa nove volte più alto di quello negli Stati Uniti. Il secondo effetto è costituito dal rischio reale di una fuga delle imprese dai Paesi dell’Unione in direzione di aree dove l’energia costa meno, con una feroce ripresa delle delocalizzazioni. Per molte produzioni, ormai, l’energia rappresenta il 70-80 per cento dei costi costituendo un dato insostenibile.

La terza ricaduta degli errori in tema di energia è rintracciabile nell’indebolimento dell’euro che aggrava l’inflazione e, data l’impennata dei costi dell’energia, non agevola neppure le esportazioni europee. La moneta unica sembra infatti ormai stabilmente sotto la parità con il dollaro. In altre parole, dopo vent’anni un euro vale meno di un dollaro. A questi errori “strutturali” si stanno aggiungendo ulteriori scelte assai pericolose. La decisione del G7 di mettere un tetto al prezzo del petrolio russo è, infatti, davvero sconcertante. In pratica si applicherebbe in questo modo: il G7 definisce il prezzo a cui comprare il petrolio russo e le società e le banche dei Paesi membri non dovrebbero fornire coperture assicurative né finanziamenti e neppure noli marittimi a spedizioni di greggio e derivati provenienti dalla Russia a un prezzo superiore al tetto fissato. Questo significa spingere il petrolio russo verso Cina e India, che lo acquisteranno ben volentieri magari con contratti non sfavorevoli mentre i Paesi del G7 perderanno forniture e gli introiti dei servizi legati al commercio petrolifero. Un capolavoro di cui si capisce bene il senso solo se si considera che la proposta proviene dal segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Janet Jellen, che la definisce anche una misura per contrastare l’inflazione.

Se non fosse tragico, sarebbe comico: gli Stati Uniti che, di fatto, non importano petrolio russo vogliono imporre agli europei un tetto che li priverà del petrolio e degli introiti commerciali, motivando tale misura con la necessità di spezzare le reni alla Russia e di abbattere l’inflazione, destinata invece a esplodere ulteriormente proprio per le scommesse al rialzo innescate da questa stessa misura; ma agli Stati Uniti una simile ipotesi, al di là di quanto dichiara Jellen, va molto bene visto il peso della finanza e delle Big oil per la loro economia, sostenuta dalle spinte dei derivati e dagli alti prezzi delle esportazioni. A tutto ciò va aggiunta un’altra ipotesi tutt’altro che comprensibile; la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen propone il tetto al prezzo del gas russo che entrerebbe in vigore quando i russi ormai non venderanno più gas a gran parte dell’Europa facendo impennare i prezzi dell’energia che saremo costretti a comprare in giro per il mondo, subendo mille ricatti dai più svariati regimi “autoritari”.

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento

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