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Economia / Opinioni

La chimera del tetto unilaterale al prezzo del gas russo

© Bernard Hermant - Unsplash

La proposta sostenuta dall’Italia sembra la via più diretta alla necessità di introdurre pesanti razionamenti ma questo la narrazione elettorale non lo dice. Il tutto mentre l’Ue ipotizza una solidarietà energetica difficile e sottostima i tagli. “Un’approssimazione costruita per non rompere con Mosca”, scrive Alessandro Volpi

Il dibattito pubblico e la campagna elettorale italiana sembrano essersi appassionati di una chimera. Si tratta del tetto al prezzo del gas russo a cui sembrano credere solo il governo e una buona parte delle forze politiche italiane che vorrebbero, peraltro, estenderlo a ogni importazione di gas di qualsiasi provenienza. Purtroppo siamo di fronte a una chimera.

È ormai evidente infatti che diversi Paesi europei non hanno alcun vero interesse a fissare un tetto. È forte il timore di perdere chiari vantaggi come nel caso dell’Olanda che ha visto migliorare sensibilmente la propria bilancia commerciale, trascinata dagli alti prezzi del gas e dalle “ricadute” della Borsa di Amsterdam. Così come altrettanto forte è la paura di vedere bloccati i rifornimenti dalla Russia da parte di chi è quasi interamente dipendente da tale canale. Al di là delle posizioni ungheresi e ceche, da tempo nettissime, esemplare è in tal senso il caso della Germania, che gode di una condizione particolarissima e molto vantaggiosa. Paga infatti il gas russo di Gazprom un terzo di quanto lo paghi l’Italia, grazie ad accordi di favore e alla minore dipendenza dalla Borsa di Amsterdam: una condizione questa che è diventata sempre più chiara proprio dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, che ha segnato un’accentuazione del divario fra i prezzi pagati dalla Germania e quelli pagati da altri Paesi, come l’Italia.

In altre parole, il gas venduto dalla Russia alla Germania non subisce le conseguenze della speculazione per effetto, in primis, della volontà della stessa Russia di mantenere in vita, nei confronti della Germania, i prezzi dei contratti di lungo periodo senza considerare le oscillazioni speculative “olandesi”. Su questa base il governo tedesco ha applicato una pesante imposta sui soprapprofitti per colpire le società “nazionali” che, pur beneficiando di prezzi di approvvigionamento ancora molto bassi, hanno generato risultati straordinari e con simili risorse ha varato un vasto piano di sostegni pubblici.

Tra gli scettici sul tetto figurano anche spagnoli e portoghesi che beneficiano di una sorta di “autarchia” indotta da rigassificatori e gasdotti non collegati alla rete europea. Alla luce di ciò il costante richiamo della politica italiana alla panacea del tetto risulta un’inutile litania che impedisce di affrontare realmente il problema. D’altra parte, come accennato, l’ipotesi di “calmierare” i prezzi del gas russo significherebbe porre un tetto al prezzo del gas di tutto il Pianeta; in altre parole, se l’Europa non intende pagare il gas russo oltre 90-100 euro al megawattora, deve applicare la stessa regola a tutto il gas mondiale. Questo significa, peraltro, mettere un tetto a tutti i prezzi dell’energia, visto che al prezzo del gas sono ancora agganciati i prezzi di tutte le fonti energetiche, altro punto su cui l’Europa continua a tergiversare.
Una simile scelta sarebbe però, assai probabilmente, un pericoloso errore; in Europa passa soltanto il 27% dei gasdotti mondiali e una parte ancor più limitata del gas fossile liquefatto. Stabilire unilateralmente un prezzo massimo a opera di un compratore che è comunque minoritario rispetto al mercato mondiale significa indurre il resto del Pianeta a fare a meno dell’Europa, che avrà sempre maggiori difficoltà di approvvigionamento. L’Algeria, la Norvegia, gli stessi Stati Uniti, l’Azerbaigian, la Libia, l’Australia e altri produttori accetteranno i prezzi europei? La “politica” italiana del tetto unilaterale da parte dell’Europa sembra la strada più diretta verso la necessità di introdurre pesanti razionamenti ma questo la narrazione elettorale non lo dice. Il Piano europeo di difesa dell’energia è arruffato, prevede una solidarietà energetica estremamente difficile e stabilisce dei tagli che sono del tutto sottostimati; un’approssimazione che pare costruita appositamente per non creare le condizioni di una rottura con Mosca.

Senza gas russo, infatti, andremmo incontro a pesanti distacchi che non sappiamo a ora dove e quanto colpiranno. Questa previsione già da sola mette in crisi l’Europa, colpita nella sua moneta, nei suoi debiti nazionali, nella sua tenuta internazionale. Una politica che ha storicamente rifiutato la sobrietà dovrebbe fare i conti, forzatamente, con duri razionamenti che potrebbero rendere esplosiva la protesta sociale. Tra il sostenere di essere in guerra sotto l’ombrellone e pagare le conseguenze di una guerra vera passa un abisso.

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento

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