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Crisi climatica / Attualità

Perché l’Italia non ha bisogno di nuovi gasdotti e rigassificatori

I consumi di gas nel nostro Paese non hanno mai superato il picco del 2005 e da allora seguono un trend di riduzione. Eppure, sull’onda dell’emergenza, si afferma una risposta infrastrutturale che implica costi altissimi (pubblici) e tempi lunghi. E che è contraria agli obiettivi di decarbonizzazione. Il punto del think tank ECCO

L’Italia non ha bisogno di nuovi gasdotti e rigassificatori per sostituire il gas russo. Lo ribadisce il think tank ECCO ricordando che “i consumi in Italia non hanno mai superato il picco del 2005. Da allora, salvo fluttuazioni annuali dovute ai cicli economici, seguono un trend di riduzione strutturale ancora insufficiente agli obiettivi di decarbonizzazione dell’economia”. Per rispondere ai dubbi di chi non riesce a orientarsi tra le tante informazioni che circolano in queste settimane, i ricercatori di ECCO hanno pubblicato il 24 giugno un dettagliato approfondimento sotto forma di domande e risposte che tocca diversi temi: dal (presunto) bisogno di nuove infrastrutture al prezzo delle bollette, dalla produzione domestica al ruolo dell’idrogeno.

Secondo gli analisti la costruzione di nuovi gasdotti e rigassificatori implica costi di lungo termine e tempi di realizzazione considerevoli e “rischia di essere sbagliata rispetto a una crisi acuta che potrebbe risolversi in una bolla o comunque normalizzarsi in tempi più brevi rispetto a quelli di realizzazione”. Queste infrastrutture, insomma, rischiano di “arrivare tardi” ed entrare in funzione quando la crisi dei prezzi dell’energia sarà ormai alle spalle ma continueranno a pesare sui consumatori nei prossimi decenni, risultando inefficaci nel ridurre i costi in bolletta. “A metà giugno 2022 le uniche infrastrutture di importazione in Italia usate pressoché a massima capacità sono i rigassificatori (La Spezia, Livorno e Rovigo, dove attraccano le navi di gas liquefatto) e il gasdotto Tap”.

ECCO ha già mostrato in una sua analisi pubblicata il 3 marzo 2022 come sarebbe possibile dimezzare la dipendenza dell’Italia dalle forniture di Mosca tramite una serie di interventi sullo sviluppo di energie rinnovabili e sull’efficienza energetica. Iniziative come la sostituzione di caldaie con pompe di calore, l’adeguamento delle temperature di abitazioni e uffici e l’istallazione di nuova potenza da rinnovabili permetterebbero di ridurre il consumo annuale di gas fossile di 15 miliardi di metri cubi, pari ad un risparmio di 14,5 miliardi di euro. Esistono anche iniziative virtuose che ogni cittadino può attuare per ridurre il costo delle bollette. “L’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea) nel febbraio 2022 ha pubblicato una lista di 20 comportamenti quotidiani in grado di far risparmiare fino al 10% sulla bolletta e il suo presidente ha preannunciato a metà giugno proposte al governo per una riduzione dei consumi invernali di gas, che si aggiungeranno alle misure già inserite nel ‘Decreto Bollette’”.

Anche per quanto riguarda il resto dell’Europa per fare a meno del gas russo “sarebbe sufficiente un incremento di capacità di rigassificazione nei Paesi Baltici e in Finlandia -segnala ECCO-. Ciononostante, buona parte della risposta fornita dai governi alla crisi dei prezzi consiste nella corsa a nuovi investimenti in infrastrutture a gas, senza alcuna preoccupazione per la loro efficienza economica. Tale risposta ignora sia le reazioni dei consumatori (aziende e privati) ai prezzi elevati, sia gli effetti delle politiche climatiche già intraprese dall’Unione europea”. Inoltre i governi dell’Ue stanno reagendo alla crisi investendo in nuove infrastrutture in aperto contrasto con le politiche di decarbonizzazione europee che ridurranno drasticamente la necessità di importare gas fossile. Le azioni dei piani europei “Fit for 55” e “RePower Eu”, mirate proprio a raggiungere gli obiettivi climatici al 2030, ridurranno la domanda europea del 40%.

Un ulteriore argomento approfondito da ECCO riguarda il possibile utilizzo di nuove infrastrutture hydrogen-ready, in grado cioè di trasportare sia metano sia idrogeno per il trasporto esclusivo di quest’ultimo in futuro. Nella sua analisi, il think tank ha evidenziato alcune criticità: i progetti in costruzione sono in grado di trasportare solo una miscela di metano e minime percentuali di idrogeno; in secondo luogo il combustibile, che in futuro sarà prodotto principalmente da fonti rinnovabili, non seguirà i medesimi percorsi e non avrà la stessa distribuzione che oggi ha il gas fossile. “Anche se i nuovi asset fossero compatibili con un uso al 100% di idrogeno, questi avrebbero senso solo nel caso, ancora non definibile, che i poli di domanda attuale di gas corrispondano a quelli futuri di idrogeno”.

In ottica di decarbonizzazione l’idrogeno ha lo scopo di abbattere le emissioni di alcuni settori, come l’industria pesante, per cui non esistono ancora tecnologie elettriche o basate sulle rinnovabili. Il suo fabbisogno sarà quindi molto inferiore a quello attuale di gas fossile, inoltre la creazione di strutture “polivalenti” ha un costo decisamente superiore alla costruzione di una rete dedicata. Infine ECCO mette in discussione la centralità dell’idrogeno nel percorso di transizione energetica sostenendo l’esistenza di alternative, ad esempio soluzioni incentrate su vettori energetici basati su ammoniaca e considerati altrettanto promettenti.

Secondo ECCO dunque non solo le nuove infrastrutture per il gas non sono necessarie ma sono addirittura dannose. Investimenti e finanziamenti nel fossile favoriscono la dipendenza del settore energetico italiano e rallentano la transizione verso un futuro a base di rinnovali. In aperto contrasto, in aggiunta, con le evidenze mostrate dall’Agenzia internazionale dell’energia (Iea) che, nelle sue indicazioni per il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050, qualifica come insostenibile qualunque futuro investimento in fonti fossili. Inoltre vi è un problema di trasparenza. “Dal momento che il gas viene acquistato da aziende e non dai governi, ogni qualvolta un governo fornisce garanzie ad accordi commerciali, si espone a rischi di aiuti di Stato e in generale a opacità e conflitti di interessi, a maggior ragione se è azionista delle aziende interessate”. L’ultimo problema evidenziato da ECCO riguarda poi l’esposizione a criticità geopolitiche: i nuovi fornitori, infatti, con l’esclusione degli Stati Uniti, sono Paesi mediterranei o africani la cui situazione è instabile e sono spesso teatro di violazioni di diritti umani. “Diventando dipendenti da questi Paesi per le forniture di gas, Italia ed Europa implicitamente rinunciano a esercitare su di essi pressioni per il rispetto delle norme di diritto internazionale (come nel caso della politica degli insediamenti israeliani) e dei diritti umani (come nel caso delle detenzioni arbitrarie e delle sparizioni forzate in Egitto)”.

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