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Ambiente / Attualità

Le banche, i debiti ed il cemento

I maggiori istituti italiani finanziano mega-progetti immobiliari, anche se “dubbi”: serve a imbellettare i bilanci, coi soldi dei correntisti. Ecco come

Tratto da Altreconomia 123 — Gennaio 2011

Il “prescelto” si chiama Davide Bizzi. I grandi gruppi bancari italiani hanno puntato su quest’imprenditore semisconosciuto e gli hanno “affidato” il più grande e complesso progetto di recupero e sviluppo immobiliare del Paese, quello che riguarda l’immensa proprietà (oltre un milione e 300mila metri quadrati) che ospitava lo stabilimento Falck di Sesto San Giovanni, alla periferia Nord di Milano. Con quest’intervento “cambia la città” è scritto sul portale del Comune di Sesto, che conta oltre 80mila abitanti. La “ricetta” prevede che al posto delle acciaierie trovino posto residenze per 600mila metri quadrati, uffici, attività produttive, un parco di 500mila metri quadrati e una grande struttura di vendita di 90mila metri quadrati.

Le case “servono”, perché -almeno secondo il piano di governo del territorio (Pgt), approvato nel luglio 2009 – Sesto nei prossimi anni dovrebbe superare per la prima volta la soglia dei 100mila abitanti. Negli anni 70, quand’era conosciuta come la Stalingrado d’Italia, per la presenza di fabbriche ed operai (comunisti), si era fermata a 99mila. Com’è possibile leggere nel documento informativo che il venditore ha dovuto redarre e rendere pubblico, trattandosi di una società quotata alla Borsa di Milano, l’area porta con sé “un’edificabilità complessiva sino a 963.000 metri quadrati”. Quasi un milione di metri quadrati lungo viale Italia: la lunghissima arteria che unisce Sesto a Milano, e divide in due la proprietà ex Falck, diverrebbe un unico, enorme cantiere, il cui confine settentrionale è segnato dalla Tangenziale Nord di Milano, l’A52. Le gru si piazzeranno a poche centinaia di metri dal centro commerciale Vulcano, di proprietà del gruppo Edoardo Caltagirone. Bizzicity nascerà accanto alla sua Caltacity.

Il Comune di Sesto conferma di essere pronto ad approvare il programma integrato di intervento (Pii), non appena verrà presentato. Ma un’iniziativa ha un senso davvero solo per gli sponsor di Bizzi, le banche. Per gli istituti di credito il mattone “tira sempre”, anche se gli appartamenti restano invenduti e gli uffici vuoti. Il consumo di suolo è un costo che non entra nei loro bilanci. Ma prestare denaro ad un Davide Bizzi qualsiasi sì, e significa “investire”. È un artificio di bilancio, i segni più ci sono  solo sulla carta, sono “rendite attese”, ma quello che per tutti sarebbe un debito, per gli istituti di credito non è una partita negativa. Anzi: nel caso di grandi progetti immobiliari, a Milano, permette di iscrivere a bilancio una rendita del 5-6% annuo, che è la resa media di un prodotto immobiliare. Per gli istituti di credito questa pratica risulta molto più conveniente rispetto a concedere un mutuo per l’acquisto di una casa, oggi che i tassi fissi e variabili sono nell’ordine dell’1-3 per cento. Fanno così felici gli azionisti e stimolano i “corsi azionaria”, ovvero il valore dell’azienda in Borsa.

A marzo 2010, secondo l’ultimo bollettino statistico della Banca d’Italia, erano oltre 131,6 miliardi di euro gli “impieghi” a favore diimprese operanti nei settori dell’edilizia e delle opere pubbliche. Di questi, circa 8 miliardi risultano “sofferenze”. C’è un altro dato indicativo di progetti a rischioe crediti dati con troppa leggerezza, e in questo 2010 ha riempito le pagine economiche dei quotidiani: è il numero di debiti scaduti, o in scadenza, che sono stati rinegoziati. L’ultimo in ordine di tempo (novembre-dicembre) è quello del gruppo Ligresti. Coinvolge il gotha del credito italiano: tutti assieme appassionatamente. È per questo che il circolo “cementobanche” regge, e sta generando una bolla, che gonfia il prezzo degli immobili e rischia di creare un effetto simile a quello dei mutui subprime negli Stati Uniti. In questo caso, però, gli insolventi non sarebbero migliaia d’indigenti cui le banche avevano  promesso il sogno di una casa ma un pugno di immobiliaristi “baciati dalla fortuna”.

È un circolo vizioso. E una volta partito, è difficile fermarlo. Si può, al più, “rigenerarlo”, come dimostra la vicenda dell’Area ex  Falck. Cambi di cavallo e mutui subprime. Il complesso delle ex acciaierie di Sesto San Giovanni è stato ceduto a fine ottobreper 405 milioni di euro. Il “venditore” risponde al nome di Risanamento spa. È la società immobiliare di Luigi Zunino. Intorno al 2006 conquistò le prime pagine dei quotidiani per il progetto di “Milano Santa Giulia”, una “città nella città” ultramoderna e firmata dall’archistar Norman Foster da costruire nell’area (1,2 milioni di metri quadrati) già occupata dalla Montedison nel quartiere di  Rogoredo, nel capoluogo lombardo; ci tornò un paio d’anni dopo, quando il “sogno di Zunino” si era già trasformato in una “favela di lusso” (vedi Ae 103): in ritardo le opere di urbanizzazione e  l’avanzamento dei lavori, assenti i servizi pubblici, il progetto rischiava il tracollo mentre Risanamento era sempre più pesantemente esposta nei confronti del sistema bancario italiano. Le ultime cronache, del luglio 2010, vedono poi il sequestro dell’area, che è stato deciso dalla magistratura dopo aver scoperto che le necessarie attività di bonifica non erano state realizzate. Ad alleggerire la situazione debitoria di Risanamento spa è arrivata adesso Sesto Immobiliare spa, l’“acquirente” dell’Area ex Falck. Il nome Sesto Immobiliare non vi dice niente, ma ciò è naturale: è, infatti, una società creata ad hoc, il 15 luglio 2010; ha un capitale sociale di 84 milioni di euro, anche se quello versato supera di poco i dieci; al 22 ottobre 2010 risultava ancora inattiva. Non ha mai messo un mattone sopra l’altro. Anche Davide  Bizzi, che controlla la Sesto Immobiliare, in Italia è uno sconosciuto. E forse è per questo se i “grandi creditori” di Risanamento -Intesa Sanpaolo, Unicredit Corporate Banking, Banca popolare di Milano- hanno scelto di puntare su di lui.

Nel gergo degli immobiliaristi è quello che si chiama “cambio di cavallo”, e ci ricorda che vivono ed operano in un far west; lo sceriffo, in questo villaggio, sono le banche. Che hanno interesse a mantenere “l’ordine” per un motivo solo: poter recuperare crediti concessi con troppa leggerezza a favore di progetti affascinanti sulle carte, ma solo su quelle; evitare di dover iscrivere quei crediti a bilancio come “inesigibili”, dovendo poi spiegare ad azionisti -esoprattutto correntisti- l’uso “spregiudicato” dei loro soldi. E la sopravvalutazione di investimenti fallimentari. La logica è la stessa che ha portato, negli Usa, alla crisi dei mutui subprime, concessi a soggetti a rischio per l’acquisto di case. Nel nostro Paese, però, i giovani che vogliono acquistare una casa sono spesso considerati “non bancabili”, e invece di decine di migliaia di mutui “a rischio” a piccoli risparmiatori le banche hanno concesso (immensi) crediti ad imprenditori che il tempo sta dimostrando “non bancabili”. A questo punto prevale, però, “l’obbligo di risanamento”. “Tutti i salvataggi immobiliari, a Milano, sono fatti e congegnati in modo tale da permettere alle banche creditrici di non svalutare o fare accantonamenti per queste posizioni -spiega Alessandro Penati, docente di Finanza aziendale all’Università Cattolica ed editorialista di Repubblica-. È sostanzialmente un maquillage contabile, che naturalmente vuole coprire gli errori di passati finanziamenti irresponsabili”. Qui entra in gioco, a tirar la diligenza, Davide Bizzi, per sua stessa ammissione grande amico di Luigi Zunino.

Gli sceriffi del cemento. L’“ordine” nei conti delle banche equivale a cemento: il fallimento di un progetto come Santa Giulia (270mila metri quadrati di superficie residenziale, 162mila di terziario, 80mila di ricettivo, 100mila di commerciale, tra l’altro) o l’impossibilità di “sviluppare” il milione di metri quadri dell’Area ex Falck, è uno scenario che le banche non possono permettersi. Ecco perché Bizzi è l’uomo giusto al momento giusto. Il suo ingresso serve a qualcuno per rifarsi il trucco, prima di tutto. Intesa Sanpaolo, ad esempio, vantava un credito di 274 milioni nei confronti di Immobiliare Cascina Rubina, la società del gruppo Risanamento che aveva in  pancia l’Area ex Falck; il debito, adesso, è in capo a Sesto Immobiliare. La neonata società, senza macchia né passato, è senz’altro un soggetto più “presentabile” (di fronte al mercato, agli azionisti e ai  media) di Risanamento: la società di Zunino nel 2009 è stata oggetto di una “richiesta di dichiarazione di fallimento”, presentata da parte dei pubblici ministeri Roberto Pellicano e Laura Pedio, della Procura  di Milano, e oggi può esser considerata una scommessa perduta (vedi box). Se il Tribunale l’ha rigettata  è solo perché si sono messe di traverso le banche. L’esempio di Intesa e Cascina Rubina, infatti, c’insegna che a fare e disfare la tela sono gli istituti bancari, che sta a loro decidere se un progetto immobiliare dev’essere mantenuto in vita artificialmente o può essere lasciato morire. Quando le azioni non contano. Perché oggi Risanamento è controllata solo “formalmente” da Luigi Zunino (che secondo la Consob detiene il 73,43% delle azioni attraverso Nuova Parva spa, Tradim spa e Zunino Investimenti Italia spa, tre società in liquidazione). Vale la pena leggere il verbale dell’ultima assemblea straordinaria del 29 e 30 ottobre 2010 per capire chi prenda le decisioni. C’era da discutere come ripianare le perdite di bilancio registrate al 30 giugno 2010, pari a oltre 451 milioni di euro. Con “ardite” operazioni finanziarie, si è deciso di utilizzare tra l’altro del denaro virtuale, una riserva definita “Versamenti conto futuro aumento capitale”, ovvero parte dei soldi che le banche hanno promesso di versare per ricapitalizzare la società, per evitarne il fallimento. Si tratta di “versamenti (per euro 94,9 milioni) effettuati da Intesa Sanpaolo S.p.A., Unicredit Corporate Banking S.p.A., Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A., Banco Popolare S.c.ar.l., Banca Italease S.p.A. e Banca Popolare di Milano S.c.ar.l.”. E, è scritto nel verbale “si segnala che con lettere in data 6 settembre 2010 le Banche hanno, inter alia, acconsentito a che il ripianamento delle perdite al 30 giugno 2010 avvenga mediante utilizzo di tutte le riserve di utile e di capitale appostate nel bilancio di esercizio 2009”. Contestualmente, il capitale sociale di Risanamento è passato da oltre 282 milioni di euro a poco più di 79,6, “con conseguenteriduzione a euro 0.2905 del ‘valore nominale implicito’ di ciascuna azione” si legge nel verbale. Ed è una bella fregatura per i piccoli risparmiatori che avevano creduto nel sogno di Luigi Zunino. Il parere delle banche è stato fondamentale anche nella compravendita dell’Area ex Falck: “La stipula del contratto definitivo è condizionata a che (i) Intesa Sanpaolo S.p.A., Unicredit Corporate Banking S.p.A. e Banca Popolare di Milano S.c. a r.l. deliberino di partecipare all’operazione a determinati termini e condizioni (ivi incluso l’accollo liberatorio del debito di Immobiliare Cascina Rubina nei confronti di IntesaSanpaolo S.p.A. sopra richiamato) e (ii) non intervengano modifiche sostanziali del piano di governo del territorio (Pgt) approvato il 16 luglio 2009 dal Comune di Sesto San Giovanni”.

Le banche dettano legge. Un’immagine di carta stampata. A monte di tutto, il primo passo necessario ad avviare questo percorso è l’iniziativa “costruisci il tuo personaggio”. E Davide Bizzi, anche in questo caso, si è saputo far trovare nel posto giusto (New York) nel momento giusto (all’inizio di novembre 2010). Imprenditorie molto schivo, Bizzi ha rilasciato un’intervista (a Il Sole 24 Ore) in occasione dell’inaugurazione del Setai Fifth Avenue, grattacielo di 60 piani nella Quinta strada di New York, un investimento da 670 milioni di euro che secondo il Corriere della Sera è stato finanziato in pool da Unicredit, Banco Popolare, Meliorbanca, Interbanca e Bpm. Il Sole ha titolato l’intervista con un significativo virgolettato: “Senza le banche niente area Falck” (5 novembre 2010).

Nelle foto, accanto a Bizzi al momento del taglio del nastro c’è il vice-presidente della Camera dei Deputati, il ciellino Maurizio Lupi. Non passa nemmeno un mese che il “nostro sconosciuto” è di nuovo protagonista sul quotidiano di Confindustria, che annuncia l’accordo con Renzo Piano: l’archistar genovese “firmerà” lo sviluppo e il recupero dell’Area ex Falck. Un altro punto a favore di Bizzi. Nelle società dell’immagine, appare chiaro che il segreto del successo sia la “credibilità” (o la credulità). I soldi non servono. Basta che banche e immobiliaristi “facciano credere” di avere le risorse per sviluppare un progetto. Nel caso dell’Area ex Falck, ad esempio, resta variabile (non ancora quantificato) il costo dei lavori di bonifica dell’area, un sito contaminato d’interesse nazionale, per i quali potrebbero servire tra i 160 e i 200 milioni di euro. Ma la bonifica è solo un inizio: prima di passare all’incasso, un imprenditore deve anche, corrispondere gli oneri di urbanizzazione, costruire (cantieri aperti nel 2013, secondo Bizzi) e (riuscire a) vendere. Quattro fasi “costose”, specie quando il “mercato” va a rilento: secondo l’osservatorio dell’Ufficio studi di Tecnocasa, uno dei maggiori operatori nazionali nell’immobiliare- a ottobre 2010 i tempi di vendita di un immobile nelle grandi città si attestano “intorno a 171 giorni contro i 154 giorni registrati a luglio”; le cose vanno anche peggio nei comuni dell’hinterland (è proprio il caso di Sesto San Giovanni) dove ci vogliono “203 giorni contro 184 di luglio”. Numeri che non contano. Il circo del mattone non sa più fermarsi.

I compagni di corsa di Davide
Davide Bizzi non è solo nella partita sull’Area ex Falck. Al suo fianco, lo abbiamo visto, ci sono le banche creditrici di Risanamento spa -Intesa Sanpaolo, Unicredit e Bpm-,ma c’è anche Banca popolare di Lodi (gruppo Banco Popolare), che secondo l’agenzia Radiocor avrebbe concesso un prestito di 17 milioni di euro alla Santanandrea holding, finalizzato ad aumentare il capitale di Sesto Immobiliare holding, che controlla Sesto Immobiliare spa. In cambio, Bizzi ha dato in pegno al Banco la propria quota nella  holding (il 75 per cento del capitale). Soci di Bizzi in Sesto Immobiliare spa sono il Consorzio  cooperative costruzioni (Ccc) e Les Copains olding spa; nel capitale della holding, invece, c’è anche (con il 10%) l’impresa coreana di costruzioni Honua, “incontrata” a New York nell’ambito del progetto del Setai Fifth Avenue.

Obbligo di Risanemento
“Non è ragionevolmente prevedibile che il conclamato stato di insolvenza in cui versa l’intero gruppo Zunino possa recedere”; “gli oneri finanziari (gli interessi sui debiti, ndr) ammontano nell’ultimo anno a più di quanto ammonti il valore della produzione” (195 milioni di euro contro poco più di 154, al 31/12/2008). Era il luglio 2009, e l’indebitamento del gruppo Zunino aveva superato i 3 miliardi di euro: secondo due pm della Procura di Milano -Laura Pedio e Roberto Pellicano-, il tribunale avrebbe dovuto decretare il fallimento del gruppo, anche perché mancava “una attività economica di sviluppo (i progetti edilizi sono bloccati e non vi sono acquisti di nuovi immobili, ma solo vendite)”.
Due mesi dopo, il Tribunale di Milano ha respinto il ricorso dei pm, in base agli accordi di ristrutturazione del debito sottoscritti da Risanamento e dalle altre cinque società del gruppo con le banche creditrici (Intesa, Unicredit, Monte dei Paschi, Banco Popolare e Bpm) “che raggiungono almeno il 60% dell’indebitamento complessivo”, come prescrive l’articolo 182 bis della legge fallimentare.
Nel presentare l’“accordo Risanamento” il giudice ricostruisce la geografia dell’indebitamento (tra parentesi la percentuale nei confronti delle “nostre” banche): Risanamento spa, 1,251 miliardi di euro (70%); Milano Santa Giulia, 530,5 milioni di euro (89%); Msg residenze, 313,8 milioni di euro (84%); Tradital, 85,6 milioni (62%); RI Investimenti, 45,7 milioni (80%); RI Rental, 48,6 milioni (63%).
Totale: 2.276.275.000 euro. Eppure, nel mercato immobiliare italiano vige l’“obbligo di Risanamento”. Che, con la r maiuscola, fa riferimento all’impossibilità di far dichiarar fallita Risanamento spa.

I tagli di Coppola
L’ennesimo colpo di scena nell’annosa vicenda della riqualificazione dell’ex scalo ferroviario di Porta Vittoria, nella zona Est di Milano, è arrivato a fine ottobre 2010.
E ha per protagonista un pool di banche, guidate dal Banco Popolare.
Gli istituti di credito, infatti, hanno concesso all’immobiliarista Danilo Coppola un finanziamento di 180 milioni di euro per lo sviluppo dell’area (90 milioni vengono da Bp).
L’ex “furbetto del quartierino” torna così in sella: a convincere le banche della “bontà del progetto” ha contribuito (anche) un accordo con Esselunga, che dovrebbe aprire una struttura di vendita nell’area (a poco più di un chilometro da un altro supermercato del gruppo in viale Umbria).
Per Coppola, che nel 2007 era finito in carcere, e nel febbraio 2009 era stato condannato a sei anni per bancarotta fraudolenta, è un ritorno in grande stile sulla scena milanese. La sua rincorsa era iniziata nell’agosto del 2009, quando l’imprenditore romano aveva (ri)acquistato l’area di Porta Vittoria dalla Ipi, una società di servizi immobiliari oggi controllata dalla famiglia torinese dei Segre, di cui in passato è stato azionista di controllo, pagandola 134 milioni di euro.
Tra l’acquisto dell’area e l’“apertura di credito” delle banche, però, si sono registrati alcuni eventi significativi: prima, il 20 maggio 2010, si era chiusa l’inchiesta della Procura di Roma sul crack del gruppo Coppola, nel quale è indagato l’intero consiglio d’amministrazione di una società quotata in Borsa, Banca intermobiliare di investimenti e gestioni di Torino. Tra loro Franca Bruna Segre e il figlio Massimo (gli stessi della Ipi), e Carlo De Benedetti. L’ipotesi di reato è “ostacolo all’attività di vigilanza della Banca d’Italia per finanziamenti erogati a società di Coppola (e di Zunino). Tra gli indagati c’è anche Mario Aramini, fino a giugno 2007 direttore generale di Unicredit Banca d’Impresa. Secondo i pm, riporta Il Sole 24 Ore, “avrebbe ricevuto da Coppola tra il 2003 e il 2004 un milione di euro in cambio dell’erogazione di oltre 80 milioni in violazione delle disposizioni interne dell’istituto sul livello di esposizione consentito per singolo cliente”. A giugno, invece, Coppola aveva raggiunto un accordo con l’Agenzia delle Entrate: 198 milioni di euro per cancellare il debito fiscale del suo gruppo.

PRESTITI IN PORTO
Intesa San Paolo finanzia Salvatore Ligresti in Liguria

L’“immagine” è di quelle che affascinano: “Al centro del Ponente ligure, in uno scenario naturale colorato di verde, di azzurro e di rosa pastello, ricco di storia, di cultura e di tradizione marinara, di fronte al Mediterraneo, si trova Marina di Loano” spiega il sito istituzionale .

La scheda prosegue, e spiega che si tratta della “prima iniziativa di Fondiaria-Sai spa nel settore portuale turistico, progettata e costruita secondo i più elevati standard qualitativi per offrire agli amanti del mare strutture e servizi capaci di soddisfare qualunque esigenza”. Manca solo un’informazione degna di nota, e cioè che l’imponente opera di rinnovamento -un migliaio di posti barca, 5mila metri quadri di attività commerciali e di servizi, uno stabilimento balneare di oltre 16mila metri quadrati- è sponsored by Intesa Sanpaolo. La banca, infatti, avrebbe concesso un finanziamento di 50 milioni di  euro alla società di Ligresti per lo sviluppo del porto turistico (in scadenza nel 2014, secondo Milano Finanza), attività per altro realizzata da un’altra impresa del gruppo, Marcora Costruzioni. Oggi che la galassia di holding e imprese che fanno riferimento a Salvatore Ligresti (Sinergia, Premafin, Fondiaria- Sai, Milano Assicurazioni, Immobiliare costruzioni) è alla prese con un eccessivo indebitamento, e ha esposto in bella vista il cartello “vendesi porto turistico, astenersi perditempo”, l’acquirente è il Fondo italiano per le infrastrutture (F2i), un fondo comune d’investimento cui Intesa Sanpaolo partecipa attraverso la controllata Banca infrastrutture innovazione e sviluppo (Biis). È la solita regola: le banche salvano se stesse, i propri crediti, da un’eventuale svalutazione. L’asset Marina di Loano dovrebbe essere valutato un centinaio di milioni di euro. Anche Unicredit, che è un altro importante creditore del gruppo (110 milioni di euro, su un totale di 322 in scadenza e in corso di rinegoziazione, solo nei confronti della holding Premafin), ha scelto di fare la sua parte: a fine 2012, il gruppo bancario diverrà “affittuario” di un paio di grattacieli in costruzione nell’area milanese di Porta Nuova, in un cantiere di cui il gruppo Ligresti è socio al 49%. Non sono pubblici i termini economici dell’accordo, ma per due volte negli ultimi anni il cda di Unicredit -in cui siede anche Salvatore Ligresti aveva rifiutato offerte più convenienti, frutto di una ricerca di mercato coordinata dai manager del gruppo bancario e durata alcuni anni. Perché il circuito “progetto-creditoinvestimento- rimborso” possa sempre rinnovarsi è necessario perciò che non manchi mai la materia prima: terreni su cui costruire. O, meglio, aree “potenzialmente” edificabili. È qui che entrano in gioco gli enti locali. A Milano, ad esempio, il Comune ha annunciato la nascita di un distretto business con 50 torri come il Pirellone in un’area periferica, via Stephenson, in gran parte di proprietà di Ligresti. Da un lato, ciò permette al costruttore di presentarsi agli istituti di  credito con progetti di sviluppo immobiliare e un patrimonio più solido (i terreni agricoli valgono meno di quelli edificabili; e anche il diritto a costruire “pesa”); dall’altro, in un gruppo “complesso” e articolato, ciò permette anche di realizzare operazione “di carta” che hanno un impatto positivo sul bilancio delle società che soffrono di più. Ligresti ha giocato parecchio in questo modo, e lo ha dovuto spiegare -a inizio dicembre- rispondendo a una richiesta di informazioni formulata dalla Consob, la commissione nazionale di vigilanza per le società quotate. Il giochino si chiama “operazioni con parti correlate” e funziona così: io ti cedo un terreno, e tu t’impegni a realizzare lo sviluppo dell’area; una volta terminato,io te lo ricompro. Valorizzato. E non necessariamente a prezzi di mercato, perché ci siamo già messi  d’accordo. Anzi, sai che c’è: ti pago anche un “acconto”, che puoi mettere a bilancio. E così un altro debito passa alla voce investimenti.

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