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Crisi climatica / Approfondimento

La corsa contro il tempo del movimento per il clima. A marzo mobilitazioni chiave

© Ehimetalor Akhere Unuabona - Unsplash

L’urgenza del tema, la paura e la frustrazione, una precisa dimensione temporale: sono gli elementi che caratterizzano i nuovi attivisti climatici e che influenzano le loro strategie di azione. Il movimento è un ecosistema di gruppi diversi impegnati a realizzare quel cambiamento che costringa i governi a prendere sul serio la crisi

Dopo un periodo di momentanea pausa dovuto alle restrizioni imposte dalla pandemia, gli attivisti climatici sono tornati in azione. A marzo sono previste due grandi manifestazioni di piazza a livello internazionale: i Fridays for future hanno lanciato lo sciopero globale per il clima il 3 marzo; mentre negli Stati Uniti gli attivisti di Third Act stanno organizzando per il 21 dello stesso mese una grande azione di protesta contro le banche che finanziano le compagnie petrolifere. Ma già il 2022 è stato un anno molto attivo dal punto di vista delle azioni di protesta per il clima con le manifestazioni durante le conferenze delle Nazioni Unite, gli scioperi, i blocchi stradali e di aeroporti, gli attacchi (non dannosi) alle opere d’arte, le incursioni durante eventi pubblici, i sit-in e le occupazioni come quella recente avvenuta nel villaggio tedesco di Lützerath

Dalle prime manifestazioni del 2018, il movimento è cresciuto molto a livello internazionale ed è riuscito ad attirare l’attenzione sia dei cittadini sia della politica, ma è ancora lontano dal realizzare il cambiamento cui aspira. Una delle principali domande che gli attivisti ancora si pongono rimane come creare un momento di azione collettiva e di cambiamento sociale per costringere i governi a prendere sul serio le loro richieste.

Le risposte a questa domanda variano perché variegato è l’ecosistema, come lo definiscono gli stessi attivisti, dei gruppi che compongono il movimento: nuovi e/o giovanissimi attivisti, ambientalisti e attivisti di lungo corso, insegnanti e genitori, ma anche scienziati e ricercatori. Questi compongono in diverso modo il gruppo più numeroso dei Fridays for future (Fff) oppure quelli più piccoli di Extinction rebellion (Xr), Ultima Generazione o Scientist rebellion, per citarne alcuni. Cambia non solo la composizione e il numero dei partecipanti, ma cambiano anche gli obiettivi e il target delle azioni di protesta. 

Se i Fridays for future, e in parte Xr, dalla nascita hanno puntato a diventare movimenti di massa agendo per sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi legati al clima, piccoli gruppi come Ultima Generazione seguono strategie diverse. Organizzare una marcia, uno sciopero globale, una manifestazione internazionale richiede un grande numero di persone, una rete di supporto e un certo livello di organizzazione. 

I gruppi più piccoli, per compensare queste carenze, puntano su un tipo di azione diretta e disturbante più rischiosa a livello individuale, ma in grado di attirare l’attenzione dei media. Di qui le strategie di lanciare cibo su palazzi istituzionali e opere d’arte, bloccare strade e aeroporti. Queste proteste infastidiscono le persone, creano loro disagio e come conseguenza spesso provocano una perdita di supporto nei confronti dei manifestanti. Ma l’ampia popolarità spesso non è l’obiettivo di questi gruppi, quello che vogliono è evidenziare l’inerzia politica e costringere il governo ad agire. Anche per questo le loro campagne sono generalmente bene delimitate negli scopi: Ultima Generazione chiede lo stop a qualsiasi tipo di finanziamento alle fonti fossili, Scientist rebellion propone di mettere al bando l’uso di jet privati.

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“Le nostre strategie partono da un’analisi dell’efficacia del movimento fino a oggi”, racconta ad Altreconomia Carlotta, aderente alla campagna di Ultima Generazione. “Le marce sono state utilissime e ancora servono a illuminare i temi legati ai cambiamenti climatici. Ma se milioni di persone che manifestano in strada non sono sufficienti per fare pressione politica sui leader, ci siamo chiesti, che cosa è necessario?”.

L’idea di compiere azioni dirette verso edifici o cose non arriva dal nulla. Xr, a cui si sono poi ispirati i gruppi più piccoli, dichiara apertamente di promuovere l’uso della protesta nonviolenta, facendo spesso riferimento a movimenti del passato che hanno messo in pratica azioni di protesta radicale: da Gandhi a Luther King, dalle Suffragette ai Freedom riders degli Stati Uniti. I riferimenti sono anche a lavori di ricerca, come quello della politologa statunitense Erica Chenoweth. La sua ricerca ha analizzato centinaia di proteste non violente avvenute dal 1900 al 2006 in contesti governati da regimi autocratici e forze militari di occupazione. I risultati hanno mostrato che i movimenti nonviolenti con una partecipazione attiva di almeno il 3,5% della popolazione riescono a ottenere un serio cambiamento politico. 

Gli attivisti climatici mantengono ancora viva la speranza, dice Giacomo Oxoli di Xr: “Non ci siamo arresi all’idea che le cose andranno per forza male e ormai è troppo tardi. Sentiamo la necessità di fare quello che facciamo in un’ottica di trasformazione culturale”.

La nuova ondata di attivismo climatico è unica per durata e capacità di mobilitazione, ma arriva dopo altri momenti importanti di lotte per il clima. Già negli anni Settanta e Ottanta il riscaldamento globale era diventato un’urgenza e aveva portato a grandi proteste a partire dagli anni Novanta. Ma la mobilitazione per il clima era stata intermittente, raggiungendo grande coinvolgimento in due momenti in particolare: al vertice delle Nazioni Unite del 2009 a Copenaghen, per la Cop15, e nel 2015 a Parigi, per la Cop21.

“Attorno al 2007-2010, la delusione verso l’apparato delle Nazioni Unite che non riusciva davvero a evitare la degradazione ambientale, ha portato i movimenti a cercare di ricucire lotte locali, come quelle degli indigeni, e le lotte internazionali del movimento di giustizia globale dei primi anni duemila, portando così a rafforzare l’emergente movimento per la giustizia climatica -spiega Louisa Parks, professoressa associata di Sociologia politica dell’Università degli studi di Trento-. I movimenti climatici di oggi credo che guardino a quella eredità. La forza e l’efficacia del nuovo movimento sta nella sua capacità di mobilitazione che viene dalla capacità di innovare, anche nelle forme di protesta”.

Diversi studi sociologici hanno identificato quali sono le caratteristiche di novità degli attivisti del clima. La grande forza di gruppi come Fridays for future ed Extinction rebellion è quella di riuscire a mobilitare tanti giovani -soprattutto ragazze e donne- che sperimentano l’attivismo per la prima volta. Ci sono riusciti anche grazie a un utilizzo strategico dei social media che vengono utilizzati come luogo di scontro con le istituzioni per denunciarne l’inattività ma anche come luogo di incontro e consolidamento interno del movimento (vedi Francesca Belotti e Arianna Bussoletti, “FridaysForFuture, Franco Angeli Editore). 

Dopo Copenaghen e Parigi, il movimento ambientalista si era concentrato più su battaglie locali oppure verso obiettivi specifici come le compagnie petrolifere, oltre che verso la promozione di stili di vita sostenibili. Anche se tutte queste componenti sono comunque presenti nell’attuale movimento per il clima, per alcuni sociologi il merito degli attivisti di oggi è quello di avere recuperato come diretto interlocutore lo Stato. Non perché i gruppi hanno una fiducia cieca nella capacità di agire dei politici, ma perché chiedono conto ai governi nazionali delle politiche che portano avanti, non limitando il discorso politico al contesto internazionale delle conferenze sul clima. I gruppi più moderati e quelli più radicali sono uniti su questo fronte.

L’urgenza del tema e una precisa dimensione temporale caratterizzano i nuovi movimenti e influenzano inevitabilmente anche le strategie degli attivisti. I nuovi movimenti sentono di non avere il lusso del tempo, la possibilità di prendersi il giusto spazio per attuare i cambiamenti. Per loro le grandi possibilità di agire sono adesso, perché sentono le conseguenze dell’inazione come irreversibili. Questa condizione produce in loro un forte coinvolgimento emotivo, suscitando sentimenti di paura per gli impatti negativi del cambiamento climatico e di frustrazione per ciò che non è stato fatto finora. Allo stesso tempo spinge all’azione e a comunicare la gravità della situazione con azioni che vogliono interrompere il flusso lineare delle cose, in qualche modo spettacolari e rendono visibile qualcosa che passa inosservato.

In questa cornice, in parte, si possono interpretare anche le azioni radicali messe in atto da alcuni gruppi. “Un singola azione non è un intero movimento. Le azioni sono molteplici e all’interno di uno stesso movimento c’è chi si occupa di cambiare le istituzioni e chi si impegna per cambiare la cultura, seguendo un processo più lento”, continua Louisa Parks. Sia i Fridays for future sia Xr hanno l’ambizione di sensibilizzare quanto più possibile le masse e stimolare una partecipazione più ampia, sia a livello locale che nazionale.

“Non tutti sono disposti a correre rischi legali e fisici”, spiega Martina Comparelli, attivista dei Fridays for future. Ai Fridays interessa creare una lotta condivisa: “Le marce per il clima sono alla portata di una quantità più ampia di persone che vogliono partecipare e, allo stesso tempo, servono a far capire che c’è una massa critica che condivide le stesse urgenze di chi compie azioni radicali. Ognuno con le sue azioni, quello che cerchiamo di fare è renderci talmente visibili da non poterci più ignorare. Comunque vada, non ci arrenderemo mai. Renderemo solo le nostre lotte ancora più intense”.

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