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Crisi climatica / Opinioni

La percezione difficile delle proteste nonviolente per il clima

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Alcune azioni, come il blocco delle strade, destano perplessità perché non creano dialogo con chi le “subisce”. La rubrica di Stefano Caserini

Tratto da Altreconomia 255 — Gennaio 2023

Stanno facendo discutere le azioni degli attivisti climatici che si incollano ai vetri delle opere d’arte, bloccano autostrade, strade e piazze. Molti i commenti livorosi, molte le perplessità. Pochi i sostegni pubblici arrivati. Certo è indubbio che i motivi per protestare, per avviare azioni dirette nonviolente, sono ben fondati: gli interventi dei governi e dei parlamenti di tutto il mondo sono troppo deboli, troppo lenti rispetto alla gravità della crisi che stiamo vivendo. In Europa e negli Usa si iniziano a vedere politiche ben definite, ma si è perso troppo tempo in passato. Per cui anche gli ambiziosi obiettivi e le azioni importanti di questi anni possono essere giudicati insufficienti. 

Un motivo dei ritardi nel rispondere a questa emergenza globale è legato all’inerzia intrinseca dei sistemi democratici, alla loro necessità di rappresentare i diversi portatori di interessi. Alcuni di questi non sono ancora oggi convinti della necessità di agire con rapidità e decisione contro la crisi climatica. Una minaccia sfuggente, che a sua volta ha una propria inerzia, perché molti degli impatti dovuti al nostro massiccio utilizzo di combustibili fossili continueranno per molti secoli. Altri motivi dei ritardi sono spregevoli, connessi alla grande capacità di influenza dei poteri economici legati ai combustibili fossili, alla loro volontà di massimizzare i profitti senza porsi limiti. Tanti libri ormai hanno raccontato le storie spesso squallide -al limite del criminale- con cui sono state ritardate le politiche sul clima.

Le mobilitazioni hanno quindi valide ragioni. In fondo, molti dei diritti di cui godiamo oggi derivano da proteste anche più dure e lunghe di quelle attuali, animate da generazioni di giovani, adulti e anziani. Lo Statuto dei lavoratori, ad esempio, è arrivato dopo decenni di lotte e una guerra civile, dopo migliaia di lavoratori e sindacalisti bastonati se non addirittura uccisi. I movimenti femministi, anti-apartheid o di indipendenza non si sono visti regalare quanto chiedevano dopo un paio di cortei. Il progresso sociale, la distribuzione del potere e della ricchezza non avvengono gratis. In tanti altri Paesi ci sono state lotte terribili, con decine di migliaia di morti, persone torturate o gettate dagli aerei.

Hanno fondate ragioni anche le perplessità che suscitano alcune di queste lotte, che sembrano non avere strategia, consapevolezza di obiettivi, alleanze, pro e contro. Costi per gli stessi giovani, che in piccoli gruppi partecipano ad azioni illegali in un periodo in cui qualsiasi protesta viene criminalizzata e si corre il rischio di essere manganellati o essere condannati a pene pesanti. Disagi per chi subisce l’effetto delle proteste, di cui spesso non capisce quali siano gli obiettivi o chi siano i responsabili dei misfatti che generano la protesta. 

A22 è il network mondiale di attivisti che ricorrono ad azioni nonviolente contro la minaccia climatica

È importante il modo in cui le azioni vengono percepite: attaccarsi al vetro di un quadro è più efficace che rovinare la tela. Bloccare una sfilata di auto d’epoca, il cancello d’ingresso di una multinazionale petrolifera, o i voli charter verso vacanze in lidi lontani è diverso dal bloccare in tangenziale persone che vanno a lavorare. Invece molte di queste azioni nonviolente sembrano non occuparsi di come saranno percepite e capite. Se saranno in grado di suscitare simpatia, empatia e spirito di emulazione, o solo rabbia e frustrazione. Se sapranno creare un clima favorevole a far crescere il sostegno più ampio necessario. Non riescono a creare un dialogo con chi subisce i disagi. Come dovrebbe essere per un’azione nonviolenta. Certo non è facile. La battaglia per i diritti climatici delle future generazioni è più difficile da spiegare rispetto a quelle del passato. E le generazioni che verranno non possono scendere in piazza ora. Hanno bisogno di qualcuno che le rappresenti.

Stefano Caserini è docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “Sex and the Climate” (peoplepub, 2022)

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