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Crisi climatica / Opinioni

Il discorso di circostanza di Giorgia Meloni alla Cop27

La presidente del Consiglio ha detto che l’Italia farà la sua “giusta parte” nella lotta per il clima. Frase che si presta a interpretazioni diverse. La rubrica di Stefano Caserini

Tratto da Altreconomia 254 — Dicembre 2022
L'incontro tra Giorgia Meloni e il primo ministro britannico Rishi Sunak a margine della Cop27 di Sharm el-Sheik, Egypt © Simon Walker / No 10 Downing Street, Flickr

Quello di Giorgia Meloni alla Cop27 di Sharm el-Sheikh è stato un discorso di circostanza. Un discorso diplomatico, di quelli che si è obbligati a fare. D’altronde non si poteva non andarci: se ci vanno Emmanuel Macron e Olaf Scholz, si nota se non ti fai vedere. Soprattutto se nella tua carriera politica non ti sei mai occupata di surriscaldamento globale. Zero tweet, zero post su Facebook o Instagram. Tanto più se hai già fatto un paio di figure non belle sul tema. Ad esempio sbagliare il nome del ministro che se ne dovrà occupare, scambiandolo con un altro, facendo capire che per te uno vale l’altro. O confonderti su quanto gas vorresti estrarre da nuove trivelle nel mar Adriatico: migliaia di metri cubi, ah no milioni… ah no sono miliardi.

Provo sincera vicinanza umana per chi ha dovuto scrivere il discorso di Giorgia Meloni: non era facile. In un intervento alla Conferenza della convenzione quadro delle Nazioni Unite sul tema del cambiamento climatico Meloni non poteva dire le cose che scrivono i suoi giornali di riferimento: “Basta un Nobel per bocciare Cop 27” titolava ad esempio un articolo de La Verità del 7 novembre dedicato a un premio Nobel secondo cui non esiste il problema del cambiamento climatico.

Per cui ne è uscito un discorso ben dosato, con tutti i soliti temi: siamo al momento decisivo della lotta ai cambiamenti climatici, vediamo gli effetti devastanti, ci impegniamo a rispettare l’Accordo Parigi, bisogna non lasciar indietro nessuno, c’è sbilanciamento fra chi emette gas serra e chi ne subisce gli impatti, dobbiamo accelerare la transizione giusta, lo dobbiamo alle future generazioni. E così via.

Meloni l’ha letto con un piglio deciso, scandendo le parole in inglese, visibilmente impegnata a curare la pronuncia per evitare le figuracce di Matteo Renzi che ha fatto ridere per settimane con il suo sciock…becoose…evriting is totalli connected. Il finale è stato letto con enfasi e orgoglio: “Italy will provide his fair share, l’Italia farà la sua giusta parte. Una frase generica e che si presta a molte interpretazioni, anche sostanzialmente diverse. Gli ultimi trent’anni di negoziato sul clima sono ruotati proprio intorno a decidere che cosa sia giusto ed equo, come declinare il principio delle “responsabilità comuni, ma differenziate” sancito dall’articolo 3 della Convenzione sul clima. 

La presenza di donne tra i delegati governativi alla Cop27 di Sharm el-Sheikh è stata del 37%. Era al 12% alla prima Cop nel 1994.

Come per un altro tema, quello dei migranti da salvare nel mare, quello che a Meloni potrebbe sembrare la giusta parte ad altri potrebbe sembrare egoismo e meschinità. La versione ottimista è che Meloni in futuro accetterà una visione condivisa di che cosa sia la giusta parte per l’Italia, riconoscendosi quindi negli impegni sottoscritti dall’Unione europea con i suoi due Ndc (Contributi volontari nazionali) già comunicati all’Unfccc, sanciti nella legislazione europea con la legge europea sul Clima e in corso di implementazione con il pacchetto “Fit for 55”. La versione pessimista è che sia solo una frase di circostanza, il meglio che chi ha scritto il discorso ha saputo fare, e che la “giusta parte” sarà definita considerando solo gli interessi nazionali, la propria sicurezza energetica e le convenienze economiche del sistema fossile nazionale. Nel mezzo sono possibili tante sfumature, fra cui l’ipotesi che Meloni non sappia neanche che cosa sia la giusta parte dell’Italia nell’azione sul clima e non le interessi neppure. 

Se dobbiamo trovare una nota positiva, c’è da essere contenti che l’Italia sia stata rappresentata da un capo di governo donna e che nelle Cop la presenza femminile sia aumentata: alla prima, quella del 1994, solo il 12% dei delegati governativi erano donne e 105 delegazioni su 166 erano composte di soli uomini. Nella Cop del 2022 i delegati donna sono arrivati al 37%, con 26 delegazioni composte da una maggioranza femminile, fra cui l’Italia.

Stefano Caserini è docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “Sex and the Climate” (peoplepub, 2022)

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