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I rifugiati in Turchia e gli impatti insufficienti dei fondi dell’Unione europea

Istanbul © mostafa meraji - Unsplash

La Corte dei conti europea ha messo in evidenza le criticità della gestione dei finanziamenti, la mancanza di dati, delle strategie per l’integrazione lavorativa e del monitoraggio dei progetti di sviluppo in quello che da quasi nove anni è un “Paese di confinamento”. Amnesty International denuncia rimpatri illegali, violenze e limitazioni delle libertà anche per le Ong che operano sul territorio

Sono passati quasi nove anni dal cosiddetto “accordo” tra Unione europea e Turchia e dal piano d’azione congiunto con il dichiarato scopo di fronteggiare la crisi umanitaria causata dalla guerra in Siria. Proprio a fine novembre 2015 la Commissione europea aveva istituito infatti lo Strumento per i rifugiati a favore della Turchia, per coordinare e razionalizzare i finanziamenti a sostegno dei siriani beneficiari di protezione temporanea e delle comunità di “accoglienza” nel Paese (uno dei casi di scuola di “Paesi di confinamento” approfondito nel libro “Chiusi dentro” a cura della rete RiVolti ai Balcani, ndr). 

Per valutare se i fondi messi a disposizioni siano stati utilizzati in modo “efficace ed efficiente” dalla Commissione, la Corte dei conti europea ha realizzato quest’anno una valutazione indipendente dello stato di attuazione dello Strumento, considerando l’attuale flusso migratorio di rifugiati siriani unito al crescente numero di arrivi dall’Afghanistan e dalla situazione economica della Turchia.

Rifugiati e richiedenti asilo siriani in Turchia, a dicembre 2023, per provincia. Fonte: Corte dei conti europea, 2024

Seguendo le raccomandazioni che la Corte aveva già formulato nel 2018, secondo i revisori la Commissione avrebbe migliorato le modalità di funzionamento dello Strumento soprattutto per quel che riguarda i progetti che forniscono assistenza in denaro ai rifugiati riducendo i costi amministrativi, in modo che più risorse economiche arrivino ai destinatari finali. In questo modo l’Ue ha garantito che i finanziamenti fossero distribuiti velocemente, con l’obiettivo di ridurre la pressione sulle infrastrutture sanitarie, scolastiche e comunali turche. Ciò che preoccupa la Corte però sono le prospettive a lungo termine: i progetti, come quelli destinati alla formazione professionale e all’avviamento d’impresa per i rifugiati, pur se realizzati, non hanno ricevuto adeguato monitoraggio del loro impatto e non ci sono dati relativi allo status occupazionale o imprenditoriale dei rifugiati che hanno beneficiato delle attività fornite.

Questo rende, per i revisori, l’area dei progetti di sostegno economico ai rifugiati tra le meno sviluppate dello Strumento. Non sono disponibili dati sul numero di permessi di lavoro concessi dal governo turco ai siriani dal 2021, né il numero di siriani che ha avviato una propria impresa dall’inizio dei finanziamenti dello Strumento. Il governo turco non ha una strategia di inserimento lavorativo per i rifugiati.

Nel Paese, inoltre, l’articolo 4 della legge 6735 sulla forza lavoro internazionale impone ai datori di lavoro di avere almeno cinque impiegati con cittadinanza turca per ogni rifugiato siriano per il quale richiedono un permesso di lavoro. Mentre l’articolo 8 dello stesso regolamento prevede che sul posto di lavoro il numero di cittadini stranieri beneficiari di protezione temporanea non possa eccedere il 10% dei cittadini turchi. Per la Corte “ciò denota una preferenza a favore della manodopera nazionale e una riluttanza a essere associati ad azioni che aiutino ufficialmente i siriani a trovare posti di lavoro, oltre a costituire un rischio per l’impatto dei progetti di sostegno socioeconomico.

Anche per quel che riguarda l’area di interventi relativa all’istruzione non è possibile valutare gli effetti sulla popolazione che ne avrebbe beneficiato, a causa di “limitazioni nei dati trasmessi dal ministero dell’Istruzione nazionale turco”. Seppure grazie ai fondi Ue siano state costruite nuove scuole per accogliere anche i rifugiati, non è stato possibile ottenere informazioni sul numero di alunni rifugiati rispetto a quello delle comunità ospitanti, sul numero di minori non frequentanti reintegrati nel sistema scolastico turco e sul numero di rifugiati che ha completato il percorso di scuola primaria, secondaria o universitario. E per l’assistenza sanitaria valgono le stesse considerazioni. Sono stati costruiti due ospedali e circa cento centri sanitari per migranti ma non in numero sufficiente ad assecondare i bisogni necessari. Inoltre la sostenibilità dei progetti è stata garantita solo dalla continuità dei finanziamenti dell’Ue. I centri sanitari hanno dato ai siriani l’opportunità di lavorare come medici di medicina generale, specialisti di medicina interna, ginecologi e pediatri poiché non è possibile per loro lavorare nel sistema sanitario turco, a meno di ottenere la cittadinanza e superare un esame.

Le autorità turche sono però riluttanti ad assumersi la responsabilità finanziaria del progetto. In generale, sottolinea il documento della Corte, la gestione delle risorse e il monitoraggio dei progetti sono concepiti più per misurarne le realizzazioni invece che gli effetti sulle popolazioni interessate. 

Per via della sua posizione geografica, la Turchia rappresenta un Paese di transito e arrivo di migranti diretti verso l’Europa. Secondo i dati riportati dalla Corte, attualmente il Paese ospita più di quattro milioni di rifugiati registrati, di cui oltre 3,2 milioni di origine siriana. Di questi meno del 5% vive nei campi. 

Con lo Strumento per i rifugiati l’Ue ha destinato un finanziamento complessivo di sei miliardi di euro, divisi in due tranche di uguale ammontare nel periodo 2016-2017 e nel 2018-2019, metà provenienti dal bilancio dell’Ue e l’altra metà dai contributi degli Stati membri. A oggi sono stati erogati oltre cinque miliardi di euro. 

I contributi allo Strumento da parte dell’Ue, degli Stati membri e del Regno Unito. Fonte: Corte dei conti europea, sulla base dei dati della Commissione, 2024

Ma l’Unione sostiene la Turchia in diversi altri modi per gestire i migranti. Nel periodo 2017-2023, ha stanziato circa due miliardi di euro attraverso lo strumento di assistenza preadesione (Ipa) -l’accordo di negoziazione dell’adesione della Turchia all’Unione europea- e 535 milioni di euro tramite aiuti umanitari. Inoltre, la Commissione ha stanziato ulteriori tre miliardi di euro per il periodo 2021-2023 nel quadro di diversi strumenti: la fase tre dell’accordo Ipa (Ipa III), tramite lo strumento di vicinato, gli accordi di cooperazione allo sviluppo e alla cooperazione internazionale, lo strumento per gli aiuti umanitari (Huma) e gli strumenti gestiti dalla direzione generale della Migrazione e degli affari interni (Dg Home). Secondo la relazione del 2023 sulla Turchia realizzata dalla Commissione, dal 2011 l’Ue ha mobilitato quasi dieci miliardi di euro a sostegno dei rifugiati nel Paese. 

I finanziamenti dell’Ue per i progetti legati ai rifugiati in Turchia, 2017-2023. Fonte: Corte dei conti europea, sulla base dei dati della Commissione, 2024

La prima parte di finanziamenti ha sostenuto progetti di assistenza umanitaria (bisogni essenziali), istruzione, salute, infrastrutture municipali e sostegno socioeconomico, la cui scadenza è stata prorogata fino a giugno 2025 (invece che metà 2021). Con il protrarsi della crisi in Siria, i finanziamenti della seconda tranche si sono più concentrati su attività di sostegno socioeconomico e sulla creazione di opportunità di sostentamento. L’obiettivo, sulla carta, era passare dall’assistenza umanitaria all’aiuto allo sviluppo.

La Commissione può gestire i progetti in modo diretto, affidando l’attuazione al governo turco, o indiretto tramite l’affidamento a agenzie delle Nazioni unite, Ong e organizzazioni della società civile. Nel primo caso rientrano i progetti di istruzione e salute per i quali, in linea teorica, trasferire più compiti al governo turco dovrebbe migliorare l’efficienza ma, secondo la stessa Commissione, non è davvero possibile attuare tale trasferimento nell’attuale contesto politico. E sempre più difficile è anche l’ambiente in cui si trovano ad operare le organizzazioni non governative, come denunciato sia dalla relazione 2023 della Commissione sulla Turchia sia da Amnesty international e attivisti e associazioni sul territorio.

Sono appena 65.927 le persone di nazionalità siriana ufficialmente reinsediate dalla Turchia in Paesi terzi dal 2016 all’aprile di quest’anno. A fronte di oltre 3,2 milioni di profughi siriani registrati. Il promesso meccanismo “1:1” delle istituzioni europee si è rivelato un bluff

Nel suo ultimo “Rapporto 2023-2024. La situazione dei diritti umani nel mondo”, Amnesty ha denunciato infatti che in Turchia “sono proseguiti indagini, procedimenti giudiziari e condanne infondate nei confronti di difensori dei diritti umani, giornalisti, politici dell’opposizione e altre persone. Le leggi antiterrorismo e sulla disinformazione sono state utilizzate per ridurre la libertà d’espressione. La libertà di riunione pacifica è stata illegalmente limitata”. Gli obblighi introdotti con la legge del 2020 per la prevenzione del finanziamento alle armi di distruzione di massa sono stati ripetutamente utilizzati dalle autorità turche per prendere di mira organizzazioni indipendenti che si occupano di diritti umani. In particolare le autorità hanno intensificato il ricorso a ispezioni delle Ong. Inoltre, ha utilizzato le raccomandazioni del Gruppo d’azione finanziaria Internazionale -organismo intergovernativo che elabora e sviluppa strategie di lotta al riciclaggio di denaro ottenuto da azioni illecite- per classificare in modo arbitrario le Ong a rischio medio-alto di finanziamento del terrorismo. Nella relazione della Corte dei conti europea sono riportati i tentativi effettuati dalla Commissione per migliorare le condizioni in cui operano le organizzazioni internazionali, ma la responsabilità degli scarsi risultati è scaricata sulla mancanza di volontà politica da parte delle autorità nazionali.

Ma anche la situazione dei rifugiati, soprattutto dopo i terremoti del febbraio 2023, è particolarmente peggiorata. Amnesty denuncia rimpatri illegali in Paesi come la Siria e l’Afghanistan, maltrattamenti e aggressioni. Per Riccardo Noury, portavoce di Amnesty international Italia, lo schema di collaborazione tra Ue e Turchia prevede finanziamenti a prescindere dal costo umano eventualmente pagato: “In generale, tutti i fondi che le istituzioni europee hanno destinato, nell’ambito di accordi con Stati terzi, al controllo dell’immigrazione o alla gestione delle domande di asilo hanno risposto all’esigenza di tenere le persone lontane dai confini europei a tutti i costi, senza pretese del rispetto dei diritti delle persone interessate. Da un punto di vista politico, ma anche finanziario, la cooperazione dell’Unione europea con la Turchia è servita a peggiorare profondamente la situazione dei diritti umani delle persone migranti e richiedenti asilo rifugiate”.

In questo il piano tra Ue e Turchia è stato il progetto pilota, al quale si sono aggiunti negli anni altri accordi con Libia, Tunisia, Marocco e Niger, per citarne alcuni. Nascondere dietro alle promesse di fondi allo sviluppo quella che Noury definisce “l’ossessione europea del controllo dei confini” ha creato una dipendenza dell’Unione da questi Paesi per gestire la migrazione, rendendola anche debole e ricattabile dal despota di turno: “Lo sviluppo reale può avvenire solo a determinate condizioni, coinvolgendo la società civile e le organizzazioni dei diritti umani. Non può essere solo una pioggia di finanziamenti senza un reale monitoraggio di quello che ha prodotto sul territorio”.

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