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Diritti / Inchiesta

La stretta repressiva sui giovani. Dagli Ipm alle comunità-ghetto

Alcuni giovani reclusi nell’Ipm di Nisida (NA) © Yarin Trotta del Vecchio
Tratto da Altreconomia 280 — Aprile 2025

Sovraffollamento, psicofarmaci e privatizzazione: la giustizia minorile è in crisi. Un anno fa, il 22 aprile 2024, l’arresto di 13 agenti accusati di abusi e torture sui giovani reclusi all’Istituto penale per minorenni “Beccaria” di Milano sembrava aver segnato il punto di non ritorno di un sistema che, dopo essere stato per anni un’eccellenza, si era incrinato ed era necessario mettere in discussione. Non è successo, anzi.

Il 70% delle carceri minorili italiane ha più ragazzi che posti e la “soluzione” proposta dal governo è l’apertura di quattro nuovi Istituti penali per minorenni (Ipm) e di comunità ad “alta-intensità” per giovani con disagio psichico. “La luce si è spenta -spiega Susanna Marietti, coordinatrice nazionale di Antigone, associazione che monitora le condizioni di vita nei penitenziari italiani-. Non solo nelle celle dove i ragazzi storditi dormono fino a tardi senza trovare un motivo per alzarsi ma anche fuori, sull’idea di una giustizia minorile che rifiuta il mero contenimento per far spazio a un intervento realmente educativo”.

Uno degli effetti della crisi del sistema è l’aumento generalizzato dell’uso di psicofarmaci. Vengono utilizzati tranquillanti “minori” come il Diazepam e il Lorazepam, appartenenti alla famiglia delle benzodiazepine, ma anche antipsicotici, prescrivibili per patologie come la schizofrenia che hanno un importante effetto di contenimento dei comportamenti antisociali. Per questa seconda famiglia di farmaci, gli antipsicotici, la spesa pro-capite tra il 2022 e il 2024 aumenta vertiginosamente: a Torino del 43%, a Nisida (NA) del 237%, nell’Istituto femminile di Pontremoli (MS) del 435% e a “Casal di Marmo” a Roma del 32%. “Spesso i minori che arrivano in Istituto hanno disturbi del comportamento -spiega il neuropsichiatra infantile Enrico Nonnis che per alcuni anni ha lavorato nel Centro di prima accoglienza (Cpa) di Roma-. Si ricorre al farmaco per questo motivo oppure per sopperire all’astinenza dovuta a una dipendenza già presente prima dell’ingresso”.

Alcuni dati sembrerebbero confermare questa tendenza. Secondo l’annuale ricerca “ESPAD® Italia” realizzata dal Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), l’11% degli adolescenti intervistati ha dichiarato di fare uso di farmaci senza prescrizione medica, la percentuale più alta mai registrata da quando è cominciato lo studio nel 2010. Inoltre, un elemento ormai consolidato all’interno degli Istituti, è il cambiamento della popolazione reclusa.

Se nel 2015 tra i primi cinque Paesi di origine dei minori entrati negli Ipm si trovava Romania (759), Marocco (518), Serbia (81), Bosnia ed Erzegovina (64) e Croazia (54), dieci anni dopo “sparisce” l’Est Europa. Al 30 novembre 2024, dati del ministero della Giustizia alla mano, Tunisia (176), Egitto (102) e Marocco (93) coprono il 41% degli ingressi totali. “Sono soprattutto minori stranieri non accompagnati -spiega Marietti-, i reietti del sistema d’accoglienza che si ritrovano in strada e spesso sviluppano dipendenze e grosse difficoltà nella gestione di loro stessi”.

L’ingresso in Ipm acuisce così quello che si vive fuori e il sovraffollamento, la precarietà degli spazi e la riduzione delle attività che si possono svolgere fanno crescere la tensione. Alcuni neuropsichiatri sentiti da Altreconomia sottolineano come il calcolo rischio-beneficio nella somministrazione di uno psicofarmaco a un giovane recluso in carcere è diverso rispetto all’esterno. Il pericolo di comportamenti aggressivi verso gli altri o di gesti autolesivi e dimostrativi molto gravi fa sì che il farmaco diventi il male minore. “In un contesto simile -sottolinea Michele Miravalle, coordinatore nazionale dell’osservatorio di Antigone- la salute individuale non è più la priorità. Al primo posto c’è l’ordine”. Così è stato per diversi anni nell’Ipm Beccaria.

A metà aprile 2024 la Gip Stefania Donadeo notificava l’arresto a 13 agenti e la sospensione di altri otto in servizio nella struttura per aver perpetrato “un sistema consolidato di violenze reiterate, vessazioni, umiliazione e pestaggi di gruppo”. L’altra faccia degli abusi erano gli psicofarmaci. L’Azienda socio-sanitaria territoriale milanese (Asst) ha fornito le dosi medie giornaliere “DDD” relative all’Istituto, ovvero il metodo di calcolo utilizzato dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) per misurare l’adeguatezza prescrittiva dei farmaci. In cinque anni (2020-2024) l’aumento nell’utilizzo di antipsicotici e benzodiazepine è stato del 110%.

Una crescita preoccupante soprattutto se raffrontata con altri due Istituti per cui Altreconomia ha ottenuto dati comparabili: nel 2023 l’utilizzo di antipsicotici e benzodiazepine a Milano è stato di 8,3 volte superiore rispetto a Bologna e 3,3 in più di Firenze, una forbice che si riduce nel 2024 (rispettivamente 4,8 e 2,4) solamente per il netto aumento dei consumi negli altri due.

“Non è vero che un carcere sedato è più tranquillo, quando aumenta la somministrazione cresce la tensione: il servizio perde il controllo” – Laura Mannarini

“Questi numeri tra un anno non saranno più così alti. Penso che sui dati del 2024 abbia inciso anche uno stock di magazzino che avevamo e abbiamo reso alla farmacia -assicura la dottoressa Laura Mannarini, diventata responsabile sanitaria dell’Istituto lombardo dallo scorso luglio-. Meno del 10% dei ragazzi ha una diagnosi meritevole del servizio specialistico e io non credo che i disturbi del comportamento possano avere un farmaco come soluzione nell’intero percorso di cura ma solo al momento dell’ingresso in Ipm. Non è vero che un carcere sedato è più tranquillo, quando aumenta la somministrazione cresce la tensione: il servizio perde il controllo perché i farmaci diventano merce di scambio e ricatto tra i ragazzi. Infine bisogna considerare gli effetti che le terapie hanno una volta usciti dall’istituto”.

Sempre di più, infatti, le comunità educative all’esterno sono restie ad accettare ragazzi che provengono dagli Ipm. “Inserire chi sta assumendo una terapia diventa un problema -spiega Matteo Avalli, presidente di Fuoriluoghi, cooperativa che opera in Lombardia e gestisce diversi servizi per minori-, perché non abbiamo personale specializzato e ci ritroviamo a gestire le acuzie di chi si vede interrompere bruscamente la somministrazione”.

L’importo in euro della retta giornaliera previsto per le comunità ad alta intensità per giovani sottoposti a provvedimento penale “con disagio psichico e/o disturbi da uso di sostanza” è di 320 euro. La cifra è più del doppio della retta per le comunità educative (147 euro)

Circa il 20% dei reclusi in uscita dal circuito penale viene accolto in una struttura, con difficoltà crescenti su tutto il territorio nazionale a trovare posti disponibili. Anche per questo motivo, a settembre 2022, il Dipartimento per la giustizia minorile ha previsto nuove comunità in ogni Regione che fossero una via di mezzo tra quelle strettamente educative già esistenti e quelle terapeutiche. A farsi avanti come luogo di sperimentazione di questa pratica sono state la Lombardia, l’Emilia-Romagna e la Campania.

Il ministro della Giustizia Carlo Nordio con il sottosegretario Andrea Ostellari © governo.it

Il 17 febbraio 2025 a Casteggio (PV) è entrata in funzione la prima comunità ad alta intensità per giovani sottoposti a provvedimento penale “con disagio psichico e/o disturbi da uso di sostanza”. Entro fine anno ne apriranno altre due, a Porlezza (CO) e a Torre Boldone (BG), per un totale di 36 posti. La retta giornaliera garantita è di 320 euro (più del doppio dei 147 euro per le comunità educative) e sarà coperta per il 60% dall’Azienda sanitaria territoriale e per il restante 40% dal Dipartimento per la giustizia minorile.

“Non ci convince l’idea che i ragazzi più fragili vengano concentrati tutti insieme nello stesso luogo -spiega Paolo Tartaglione, presidente della cooperativa Arimo e membro del Coordinamento nazionale delle comunità accoglienti (Cnca)-. Sia da un punto di vista culturale sia per la gestione concreta di queste comunità dove l’elemento sanitario rischia di sovrastare quello educativo”.

La struttura di Casteggio sarà gestita dalla Recovery for life spa, un’azienda che offre servizi di riabilitazione psicologica e psichiatrica con poca esperienza sul fronte del penale minorile. La società che si è aggiudicata l’appalto è stata fondata, tra gli altri, dallo psichiatra Maurizio Mauri che oggi controlla il 31% del capitale sociale (606mila euro). Il restante è suddiviso tra la “Lovo compagnia partecipazioni industriale Srl” (46,5%), holding che si occupa di consulenza aziendale soprattutto in ambito immobiliare, e Athena fh spa (20%), la società della famiglia Nalini che ha come core business i sistemi di refrigerazione dell’aria.

“La preoccupazione è il ‘dove lo metto’ che viene prima del ‘che cosa faccio’. L’opposto di ciò che aveva reso la giustizia minorile un fiore all’occhiello” – Michele Miravalle

Le altre due comunità invece sono state affidate alla Cooperativa Stella, con sede a Gallarate (VA). Nata nel 2005 e specializzata nella gestione di servizi socio-assistenziali rivolti ai minori, gestisce già altre comunità educative in Lombardia e il Centro di prima accoglienza di Bologna. È nota anche nell’ambito immigrazione: attualmente si occupa come mandataria della cooperativa Matrix del Centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) di Gradisca d’Isonzo (GO) mentre nel 2019 ha partecipato alle gare pubbliche (senza vincerle) relative ai Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Milano e Gradisca d’Isonzo, in cordata con la Engel Srl (poi Martinina Srl), oggi a processo per le condizioni in cui versavano i trattenuti nel Cpr lombardo.

“Il problema non è di per sé la gestione privata: storicamente in Italia la giustizia minorile si è sviluppata anche grazie al ruolo del privato sociale, di realtà medio piccole con precisi approcci culturali -chiarisce Miravalle-. Il rischio è che oggi si tratta di grandi gruppi d’impresa esclusivamente orientati al business. E poi il vero problema è alla base: se la preoccupazione sono i contenitori puoi costruirne quanti vuoi ma non basteranno mai”. Da questo punto di vista, la direzione del Governo Meloni sembra essere chiara.

Sono 50 i neomaggiorenni trasferiti il 24 marzo da diversi Ipm italiani in una sezione speciale del carcere “Dozza” di Bologna, che versa in condizioni critiche

Un anno dopo l’adozione del “Decreto Caivano”, che ha generato un aumento del 16,4% degli ingressi in dodici mesi, il ministero della Giustizia ha annunciato a ottobre 2024 l’apertura di quattro nuovi Ipm a Rovigo, L’Aquila, Lecce e Santa Maria Capua Vetere (CE). A metà febbraio invece da via Arenula è arrivato il provvedimento a firma del ministro della Giustizia Carlo Nordio che prevede il trasferimento 50 neomaggiorenni dal circuito minorile nel carcere “Dozza” di Bologna, che già versa in condizioni critiche. “La preoccupazione del ‘sistema minorile’ oggi è il ‘dove lo metto’ che viene prima del ‘che cosa faccio’ -conclude Miravalle-. Si tratta di una soluzione che aumenta il numero di giovani ristretti, perché più posti avrai e più crescerà la tendenza a occuparli. L’esatto opposto di quello che aveva reso il sistema italiano un fiore all’occhiello nel mondo”.

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