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“Il terremoto ci ha sconvolto tutti, adulti e bambini”. Voci e testimonianze da Gaziantep

Una serra costruita nella cittadina turca di Gaziantep dopo il sisma del 6 febbraio per accogliere le famiglie sfollate

Il racconto dagli operatori dell’Al Anees Center for children with special needs di Gaziantep, una delle città turche alla frontiera con la Siria più colpite dal sisma del 6 febbraio. Il dottor Zakreia Almohammad, fondatore del centro che assiste i bambini siriani con disabilità, fa il punto della situazione dal campo

Il terremoto che ha colpito la Turchia meridionale e la Siria nella notte tra il 5 e 6 febbraio ha segnato una nuova pagina di dolore e morte per milioni di persone. Le due scosse più potenti, rispettivamente di magnitudo 7,8 e 7,6, hanno fatto crollare interi villaggi e quartieri. Sono oltre 41mila le vittime accertate a oggi, migliaia i feriti e milioni gli sfollati tra i due Paesi. Il bilancio delle persone che hanno perso la vita è purtroppo destinato a crescere a causa dei ritardi nei soccorsi e delle immani proporzioni dell’evento. Nella Siria del Nord ci sono ancora intere aree isolate, dove i pochi uomini e mezzi a disposizione stanno lavorando incessantemente per estrarre dalle macerie i sopravvissuti. Si moltiplicano gli appelli per consentire l’ingresso degli aiuti umanitari e delle squadre di soccorso dai valichi di frontiera chiusi a causa delle tensioni nell’area. Tensioni e opposti interessi che vanno a discapito di milioni di civili bisognosi di cure mediche, viveri, beni di prima necessità. I convogli umanitari hanno potuto accedere in Siria dal valico di Bab al Hawa, al confine con la Turchia, in una delle aree più colpite, solo dopo il terzo giorno dal sisma. Troppo tardi, denunciano i soccorritori e i civili lasciati soli di fronte a questa ennesima crisi nella crisi.

Le macerie di una via di Gaziantep, di fronte alla sede del Centro Al Anees

L’imbarazzante politicizzazione dell’emergenza umanitaria, che la Siria già viveva a causa di oltre dodici anni di conflitto, ha ulteriormente fatto emergere la necessità di un’urgente soluzione politica che consenta fermare le ostilità, alleviare le sofferenze dei civili e permettere l’inizio di una nuova pagina. La sicurezza in Siria permetterebbe anche il rientro in patria per milioni di profughi, tra cui quelli che ormai da anni vivono in territorio turco, spesso in condizioni di grande precarietà. Il sisma, per queste persone, in prevalenza donne e bambini, è stato un nuovo colpo al cuore. In migliaia, dopo essere riusciti tra mille difficoltà ad allontanarsi dalle violenze e aver ricominciato a vivere, si sono ritrovati nuovamente senza un tetto sopra la testa, nella più totale vulnerabilità. Le conseguenze di questa nuova crisi nella crisi sono molto pesanti, in particolare per i bambini più fragili.

Abbiamo contattato nuovamente il dottor Zakreia Almohammad, fondatore dell’Al Anees Center for children with special needs di Gaziantep, una delle città frontaliere più colpite dal sisma, che avevamo intervistato lo scorso giugno per raccontare la situazione dei bambini e delle loro famiglie.

“Il sisma ci ha sconvolto tutti, adulti e bambini. La violenza e la rapidità del succedersi delle scosse ci hanno letteralmente traumatizzati. Nemmeno la guerra è stata così. Lì le violenze erano in qualche modo più diluite nello spazio e nel tempo”, racconta il terapeuta. Il dottor Almohammad descrive quegli attimi con amarezza. “Quando ci siamo resi conto di quello che era successo e di essere ancora vivi, siamo scesi in strada ed è stato un momento indescrivibile di angoscia e paura. C’erano palazzi crollati nel quartiere, persone ferite, persone che piangevano. Era buio e sembrava tutto irreale”. Dopo il primo pensiero rivolto alla famiglia, il medico è corso verso il palazzo che ospita l’istituto dove opera in favore di bambini con disabilità profughi siriani, verificando che per fortuna non era crollato. All’interno c’erano danni e crepe, ma la struttura è rimasta in piedi ed è stata successivamente dichiarata ancora agibile, diventando temporaneamente un punto di accoglienza per due delle famiglie dei bambini assistiti, le cui madri operano nel team di Al Anees. “Stiamo affrontando l’emergenza in fasi diverse. La prima è stata l’accertarsi delle condizioni di tutti i bambini che abbiamo in cura e del loro familiari. Sono rimasti tutti sfollati ma vivi e questo è stato un sollievo grande. Vivi, sì, ma ancor più vulnerabili di prima. Le persone sono scese in strada con addosso solo i propri abiti e il clima in questo periodo è particolarmente rigido, aveva nevicato”. Trovare un riparo è stato il secondo pensiero dopo la fuga dalle case.

Famiglie sfollate con bambini con disabilità vengono indirizzate verso un capannone agibile diventato punto di accoglienza a Gaziantep

“Poche ore dopo il sisma, dopo aver passato tanto tempo in strada, tra la neve e il freddo pungente, siamo stati indirizzati verso una serra di quelle che si usano per le coltivazioni. All’interno ci siamo ritrovati in decine, tutti con bambini, turchi e siriani. Abbiamo provato a dire che era una specie di avventura per incontrare nuovi amici e passare del tempo insieme”, racconta Asmaa, una delle terapeute del centro, madre di una bimba con disabilità psicofisiche. Trovare le parole, i gesti, gli sguardi per calmare e rassicurare i piccoli di fronte a quello scenario è stato per tutti molto difficile, se non impossibile.

“Nei primi due giorni le madri erano in qualche modo ancora forti, capaci di trasmettere ai figli un senso di stabilità. Era l’istinto di sopravvivenza a reggerle”, spiega la logopedista Shoroq, madre di un bambino autistico. “Poi sono sopraggiunte la stanchezza dovuta alla mancanza di sonno, acqua potabile e cibo sufficiente, che insieme al dolore per le notizie sulle vittime, all’angoscia per il protrarsi di nuove scosse e al fragore dei continui crolli hanno determinato un calo delle energie e della reattività notevole”.

Il terapeuta ha iniziato a fare la spola tra i diversi punti della città dove si sono riversate le famiglie assistite, per dare loro conforto e visitare i bambini. “Abbiamo lavorato molto in questi ultimi due giorni soprattutto sul sostegno alle madri dei bambini. La situazione si è capovolta. bambini erano traumatizzati e spaventati, raggiungendo livelli al limite dell’isteria e le loro madri sono a loro volta crollate, non sapendo come reagire”, continua Almohammad.

Il dottor Zakreia Almohammad, fondatore dell’Al Anees Center for children with special needs a Gaziantep, in Turchia

Molte delle madri passavano le giornate chiuse in casa ad accudire i figli con patologie e non autosufficienti e questo ha fatto sì che non imparassero mai la lingua turca. Questo vuol dire che se prima erano isolate e vulnerabili, ora lo sono ancora di più. “Non sanno come chiedere aiuto, non riescono a comprendere le indicazioni, gli avvisi, gli appelli. Questo è un elemento spesso sottovalutato, che però invece è di grande importanza”, aggiunge il medico.

Alcune tende in un parco di Gaziantep

Doha, psicologa ed esperta in psicologia dei processi di apprendimento, volontaria, ha messo il suo numero a disposizione delle madri per dare loro supporto psicologico, sostegno e indicazioni su come affrontare questa drammatica situazione. Anche lei e la sua famiglia sono rimasti sfollati. Manca ancora il gas e nel centro, finalmente riaperto dopo il via libera dei vigili del fuoco, ci si riscalda con le stufe. “Sto dando appuntamento ai famigliari per consulenze personalizzate, è importante che ci sentano vicini. Chi riesce ci raggiunge qui, altrimenti vado io da loro o ci sentiamo telefonicamente”. Dall’Italia l’organizzazione Il Cuore nel mondo, che da tempo sostiene la struttura con l’acquisto di attrezzature specialistiche e la costruzione di aule dedicate all’insegnamento, ha attivato immediatamente una raccolta fondi. “Nell’immediato verranno acquistati d’urgenza in loco cibo terapeutico, farmaci e abbigliamento invernale per i bambini segnalati dai volontari come più in crisi al momento attuale. Il nostro sostegno proseguirà anche nelle fasi successive, non li lasceremo mai soli”, afferma Claudia Ceniti, presidente e fondatrice de Il Cuore nel mondo.

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