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In Libano si riaccende l’ostilità verso i rifugiati siriani. Il ruolo dell’Unione europea

La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen con il presidente dell'Assemblea nazionale del Libano, Nabih Berri, al centro, e il presidente della Repubblica di Cipro, Nikos Christodoulides © Commissione europea

Il presunto coinvolgimento di un gruppo di cittadini siriani nell’assassinio di un esponente politico libanese a inizio aprile ha provocato ondate di violenza e riattivato la propaganda politica, con promesse di rimpatri immediati a danno degli oltre 1,5 milioni di profughi. L’Ue, intanto, spalleggia Cipro e stanzia fondi per impedire le partenze via mare e fornire assistenza al rimpatrio in cosiddette “aree sicure”

Il 7 aprile di quest’anno l’esponente politico libanese Pascal Sleiman è stato sequestrato mentre guidava verso casa, di ritorno dal funerale di un parente. Secondo la ricostruzione delle autorità, il suo corpo sarebbe stato ritrovato il giorno dopo, oltre il confine con la Siria. Un gruppo di cittadini siriani è stato perciò accusato del rapimento e dell’omicidio.

È la miccia che ha riacceso le ostilità verso i migranti siriani presenti nel Paese, provocando una nuova ondata di violenza e alimentando il discorso d’odio della classe politica libanese.

Le circostanze dell’omicidio di Sleiman, coordinatore a Jbeil del partito cristiano Forze libanesi (Fl), restano ancora oggi poco chiare e la versione ufficiale non convince del tutto. Sullo sfondo ci sono infatti le violenze settarie e i delitti politici che hanno caratterizzato il Libano in un passato anche recente e una prolungata crisi istituzionale e sociale che tiene il Paese in scacco da anni. Alcuni esponenti delle Fl hanno puntato il dito più o meno esplicitamente su Hezbollah, il partito-milizia sciita sospettato di diversi omicidi mirati tra cui quello, meno di un anno fa, di un altro membro del gruppo cristiano, Elias Hasrouni, o su altri gruppi filo-siriani.

Più inverosimile resta l’ipotesi del coinvolgimento di persone rifugiate, eppure l’episodio ha scatenato delle conseguenze proprio su di loro. “L’ondata di violenza contro i siriani seguita all’omicidio di Sleiman è una delle più rilevanti, anche se non è stata l’unica nel corso degli ultimi anni”, spiega Marco Magnano, giornalista indipendente e cooperante per la Ong Armadilla in Libano e Siria. “Non si è trattato però di pogrom popolari, ma piuttosto di gruppi organizzati e prevalentemente afferenti ai due grandi partiti della destra cristiana: le Forze libanesi e le Falangi libanesi -continua Magnano-. L’impressione è che si stesse cercando una scusa, in un momento in cui le campagne d’odio contro i siriani avevano già preparato il terreno e sobillato parte della popolazione”. 

Questa nuova fiammata di ostilità si inserisce in un contesto complesso, composto da una serie di fattori diventati ormai strutturali e da avvenimenti recenti. Il Libano è il Paese che ospita il maggior numero di rifugiati pro-capite, provenienti soprattutto dalla vicina Siria. Circa 800mila persone sono registrate ufficialmente come rifugiate, ma dal 2015 il governo ha chiesto all’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) di smettere di registrarli e secondo le autorità libanesi i siriani sarebbero circa 1,5 milioni. Dal 2019 il Libano sta affrontando una durissima crisi economica, che ha portato circa la metà della popolazione a vivere sotto la soglia di povertà. Anche i migranti siriani sono colpiti dalle carenze del sistema economico e finanziario (si stima che nove rifugiati su dieci richiedano assistenza umanitaria per soddisfare i bisogni di base), ma una parte della popolazione percepisce gli sfollati come un fardello che aggrava la situazione e rende più difficile la ripresa.

Secondo Magnano, dopo il 2019, parti sempre più significative del Libano hanno smesso di percepirsi come un Paese benestante (“nonostante le fragilità del sistema economico fossero già presenti da tempo”), e di conseguenza anche la considerazione dei rifugiati siriani è diventata sempre più negativa. “Il pregiudizio verso i siriani non riguarda solo la credenza, smentita dalle statistiche, che abbiano portato a un aumento della criminalità, ma anche la percezione di una competizione per le risorse”, spiega il cooperante. In questo scenario, all’indomani dell’assassinio di Sleiman, la classe politica libanese ha trovato un terreno fertile per canalizzare il risentimento dei cittadini e riattivare politiche securitarie. A fine aprile nel governatorato del Nord le pattuglie delle forze di sicurezza hanno cominciato a controllare i documenti e i requisiti legali per la permanenza dei cittadini siriani nel territorio. Ai migranti delle città settentrionali di Kfeifan, Kouba e Boustane al-Aassi è stato notificato lo sfratto entro due giorni, senza segnalare un luogo di accoglienza alternativo.

A complicare ulteriormente la situazione dei siriani in Libano, che secondo Magnano “vengono trattati come cittadini di serie C”, sono intervenute le tensioni con il governo di Cipro. L’isola, che si trova a circa 250 chilometri dal Paese, ha lamentato negli scorsi mesi un incremento delle partenze di migranti dalle coste libanesi per raggiungere l’Europa. Secondo le stime dell’Unhcr dall’inizio di quest’anno ad aprile circa quattromila persone, in prevalenza siriane, sono arrivate a Cipro: il 17% in più rispetto allo stesso periodo del 2023. Il 14 aprile il presidente Nikos Christodoulides ha annunciato la sospensione dell’esame delle richieste di asilo dei cittadini siriani e ha parlato di “arrivi di massa”. Secondo Marco Magnano si tratta tuttavia di “cifre non così rilevanti, che potrebbero essere tranquillamente gestite se solo ci fosse la volontà politica”.

La strategia europea, oltre che cipriota, sembra però andare in senso opposto. Il 2 maggio la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il presidente Christodoulides si sono recati in visita a Beirut, dove hanno annunciato lo stanziamento di un pacchetto di aiuti da un miliardo di euro per il Libano da erogare in quattro anni. Il finanziamento “aiuterà il Libano a rafforzare i servizi di base come l’istruzione, la protezione sociale e la sanità, e a stimolare le riforme economiche nel Paese colpito dalla crisi”, ha dichiarato von der Leyen. La maggior parte della cifra (736 milioni di euro) sarà destinata a sostenere “le sfide che il Libano deve affrontare per ospitare i rifugiati siriani e gli altri sfollati”, come ha aggiunto la presidente. Il meccanismo “non è senza precedenti -commenta Magnano-, assomiglia in scala più piccola a quello che abbiamo già visto succedere con la Turchia per la rotta balcanica”. Human rights watch, con altre sette organizzazioni, ha richiesto alle autorità libanesi e all’Unione europea di “rispettare i proprio obblighi di diritto internazionale e non rimpatriare forzatamente i rifugiati in Siria finché non saranno soddisfatte le condizioni per un ritorno sicuro, volontario e dignitoso”. Secondo le Ong infatti il finanziamento annunciato dall’Ue non mira soltanto a impedire le partenze dei siriani verso le coste europee ma anche a fornire assistenza al rimpatrio dei siriani nelle cosiddette “aree sicure” del Paese, spesso citate dai politici libanesi per giustificare i ripetuti appelli al rientro dei profughi in Siria.

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