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Diritti / Inchiesta

Frontex mette a bando un servizio di traghetti per riportare i migranti in Turchia

Le nave belga Godetia all'interno dell'operazione Triton che vede la partecipazione anche degli assetti navali di Frontex © Commissione europea

A metà maggio l’Agenzia europea ha indetto una gara da due milioni di euro per un servizio di “trasferimento” via mare dalla Grecia di minimo 100 persone alla volta in forza del patto tra Ue e Turchia del 2016. Una fase inedita che segna l’avvio di respingimenti alla luce del sole e ignora le gravi e documentate violazioni dei diritti

A metà maggio di quest’anno l’Agenzia europea Frontex ha pubblicato un bando dal valore di due milioni di euro per organizzare il trasferimento di “passeggeri via mare”, almeno 100 per volta, dall’isola greca di Lesbo alla località di Dikili, sulle coste turche. La documentazione di gara consultata da Altreconomia segna l’inizio di una nuova fase alla luce del sole per la “strategia” di respingimento dei migranti verso la Turchia, a pochi giorni dalla rielezione del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan e dagli inquietanti video pubblicati dal New York Times sulle brutali modalità di respingimento della Guardia costiera greca.

È in questo contesto dunque che Frontex è pronta a prendere direttamente in mano la questione, assumendo un ruolo centrale nell’ambito del cosiddetto accordo Ue-Turchia del marzo 2016 sotto il quale “formalmente” dovrebbe rientrare questa nuova attività. “L’Agenzia avrà il monopolio della gestione di queste operazioni assumendo un ruolo che, in questi termini, non ha mai avuto in passato”, spiega Martina Tazzioli, ricercatrice al Goldsmiths College di Londra.

Le operazioni sono parte del meccanismo “1:1” previsto dall’intesa da sei miliardi di euro annunciata tra le istituzioni comunitarie (Consiglio europeo) e il governo di Ankara nel marzo 2016. Con l’obiettivo dichiarato di scoraggiare le persone ad affidarsi ai trafficanti, lo schema prevedeva che per ogni migrante giunto “irregolarmente” in Grecia e perciò respinto in Turchia, un altro sarebbe dovuto essere ricollocato tramite vie legali in un Paese europeo.

In realtà non è mai stato implementato in modo significativo: dal 2016 al 2022 sarebbero stati respinti “ufficialmente” indietro, dati dell’International rescue committee, 2.140 rifugiati mentre i reinsediati dal territorio turco verso l’Ue ammonterebbero a 36.763, tutti siriani (fonte è il ministero dell’Intero turco). La “sostanza” di quell’accordo era però quella di bloccare le partenze e, soprattutto, puntare tutto sui respingimenti informali: secondo la Ong Agean boat report, dal 2017 al giugno 2023 più di 284mila persone sarebbero state fermate dalla guardia costiera turca e 60mila respinte da quella greca.

E la citata inchiesta del New York Times di fine maggio ha ricostruito, con tanto di video in alta definizione, le procedure di respingimento messe in atto dalle autorità di Atene che, dopo aver prelevato a forza i naufraghi arrivati sul territorio, li riportano in mare su assetti della Guardia costiera per poi abbandonarli al largo delle coste turche su “barche di fortuna” per l’ultimo tratto. Una procedura definita “assolutamente inaccettabile” da parte della commissaria europea agli Affari interni Ylva Johansson che però in tutta risposta, attraverso Frontex, investe sui nuovi respingimenti alla luce del sole rispolverando lo zoppicante meccanismo del patto Ue-Turchia.

“Questi ricollocamenti sono stati sospesi nel marzo 2020 prima con la giustificazione della diffusione del Covid-19 poi perché il presidente Erdoğan ha smesso di accettare i ‘respinti’ di fronte al rifiuto delle istituzioni europee di fornire ulteriori finanziamenti -ricorda Tazzioli-. Evidentemente Frontex ha annunciato che presto queste operazioni riprenderanno”. 

L’appalto da due milioni di euro prevede la fornitura di traghetti che devono garantire “la capacità di imbarcare un minimo di cento passeggeri in aree chiuse [a cui si aggiungono] i ponti aperti e sedili al di fuori delle aree chiuse”. Deve essere prevista la possibilità di “limitare l’accesso al ponte esterno della nave” e i sedili dei “passeggeri” devono essere “singoli, fissi (senza panche) e disposti in file”. I bagni, inoltre, devono essere accessibili direttamente dall’area dei passeggeri senza la necessità di attraversare l’area “aperta”. Almeno uno dei traghetti messi a disposizione deve essere “interamente riservato al personale di Frontex”. Sulla nave deve essere poi garantito un servizio catering per tutti i “passeggeri di Frontex”: nello specifico “due panini confezionati senza carne di maiale: vegetariani o halal”, come se fossero “scontate” le nazionalità dei passeggeri, e soft drinks. Inoltre si sottolinea che è necessaria la presenza di un medico che deve disporre di un “kit di rianimazione di base comprendente farmaci di uso comune”. L’Agenzia sottolinea però che “il servizio medico può non essere richiesto in tutti i trasferimenti”. La stessa tipologia di traghetto utilizzata per i trasferimenti deve essere infine messa a disposizione di Frontex nel porto di Mitilene, a Lesbo, per “permettere all’Agenzia di svolgere esercitazioni per gli ufficiali di scorta al fine di prepararli alle operazioni di ritorno in uno scenario di ‘vita reale’”. Queste esercitazioni dureranno fino a due giorni. 

L’Agenzia stima due servizi di trasporto andata e ritorno al mese e un’esercitazione. Ma queste indicazioni “non sono vincolanti” e possono variare durante i due anni di contratto, rinnovabili per un periodo di 12 mesi e per un massimo di due volte. Appena cinque righe vengono dedicate nel bando al “contesto in cui si rende necessario il servizio” e che quindi giustifica la possibilità di svolgere questi “trasferimenti”. Viene specificato come detto che si tratta di operazioni che avvengono sotto il cappello del mai stipulato accordo Ue-Turchia e che “più informazioni sulla dichiarazione congiunta Ue-Turchia e sul piano per porre fine all’immigrazione irregolare sono disponibili nel comunicato stampa siglato il 18 marzo 2016”.

Viene citato un “comunicato stampa” perché giuridicamente non è stato firmato nulla di vincolante: come ricordato da Chiara Favilli, professoressa di Diritto dell’Unione europea all’Università di Firenze, è il “paradosso di un accordo che viene definito dichiarazione e sul piano materiale svanisce impedendo che sia contestato sul piano giuridico”. Quello che non c’è nella nota stampa, invece, sono i Paesi di provenienza che nel frattempo sono stati aggiunti tra coloro che vengono ricollocati in forza di quell’accordo: Afghanistan, Siria, Somalia, Bangladesh e Pakistan. “Le persone di queste nazionalità che arrivano in Grecia vivono di fatto in un limbo: la loro richiesta d’asilo viene dichiarata inammissibile ma dal marzo 2020 non venivano neanche riportati sulle coste turche. Una sorta di elefante nella stanza per le autorità greche che non sapevano cosa fare con queste persone”. Ora l’indirizzo dato sembra essere chiaro.

Il modus operandi è sintetizzato al settimo punto del capitolato. Sono infatti previste condizioni molto rigide per il contraente che deve seguire “prontamente e diligentemente le istruzioni di Frontex e delle autorità greche”, “applicare discrezione e riservatezza in relazione all’attività” con l’impossibilità di “documentare o condividere informazioni sull’attività con mezzi quali foto, video, commenti o condivisioni sui social media” e non può consentire “la presenza a bordo di passeggeri che non siano partecipanti alle attività non espressamente autorizzati da Frontex”. 

Il neo direttore esecutivo Hans Leijtens, che si è insediato all’inizio di aprile di quest’anno, sembra così seguire la via tracciata dal suo predecessore, Fabrice Leggeri. A nulla vale il fatto che il 9 marzo di quest’anno l’Agenzia per la prima volta sia stata costretta a comparire dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea: il caso promosso dall’avvocata tedesca Lisa-Marie Komp riguarda il rimpatrio nel 2016 di una famiglia siriana con quattro bambini piccoli che, pochi giorni dopo aver presentato richiesta d’asilo in Grecia è stata caricata su un aereo e riportata in Turchia su un volo gestito proprio da Frontex sempre nell’ambito dell’accordo Ue-Turchia.

La stessa “dinamica” che si vorrebbe replicare per mezzo dei traghetti: l’Agenzia, in altri termini, non si fa problemi nel non attendere l’esito di un procedimento che ha come oggetto proprio la stessa attività che verrebbe riproposta con i ferry. Altreconomia ha domandato a Frontex, a seguito dell’inchiesta del New York Times, quali azioni intenda intraprendere in merito alle pratiche della polizia di frontiera greca chiedendo espressamente se sia in discussione l’attivazione dell’articolo 46 del regolamento dell’Agenzia che prevede il ritiro degli agenti da un Paese qualora non vengano rispettati i diritti umani durante le operazioni di “controllo” dei confini. Nessuna risposta anche se il nuovo bando per traghettare centinaia di persone verso la Turchia parla da sé.

Le offerte per aggiudicarsi la commessa devono giungere a Frontex entro il 29 giugno, il 30 verranno aperte le buste per aggiudicare la gara e assegnare il servizio. I contraenti così come l’affidatario (cioè l’Agenzia) devono garantire che “si comporteranno in conformità con l’ordine pubblico, nel pieno rispetto dei diritti fondamentali sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”. Una clausola che sa di farsa.

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