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I legami invisibili tra uomo e ambiente prendono forma al “Resilienze Festival” di Bologna

Dal 9 al 12 settembre al via la manifestazione culturale ideata da Kilowatt. Una quattro giorni di incontri, proiezioni, workshop e arte immersiva per indagare il nostro rapporto con gli ecosistemi

L'installazione artistica "Clams" di Marco Barotti © Resilienze Festival

“Resilienze Festival”, rassegna ideata e prodotta dall’associazione Kilowatt, esplora i legami invisibili e le interconnessioni che attraversano gli ecosistemi. In programma dal 9 al 12 settembre alle Serre dei Giardini di Bologna, un cartellone di presentazioni, proiezioni, workshop e installazioni artistiche che propongono percorsi interdisciplinari per discutere di ecosistemi, risorse naturali e filiere sostenibili.

A essere portato in scena è il terzo atto di una manifestazione culturale iniziata nel settembre 2020 e giunta ora alla sua conclusione. Dopo “la semina” e “coltivare con cura”, le prime tappe di cui si è composta la manifestazione, arriva ora la fase del “raccolto” dove si osservano i risultati di un anno di lavoro dedicato ad ampliare il pubblico, e le reti finora tessute, oltre i confini locali.

Resilienze” nasce dal bisogno di parlare della relazione sbilanciata tra uomo e ambiente e dall’esigenza di “riconnettersi agli ecosistemi che parlano comunicandoci la nostra invadenza”, spiega ad Altreconomia Massimo Tiburli Marini, parte da Kilowatt e tra gli organizzatori dell’evento. “Tirando i fili non visibili, ci si può riconnettere a quanto ci circonda. E sono gli artisti in mostra che aiutano a farlo”.

L’arte è lo strumento scelto per orientarsi nella complessità delle tematiche proposte attraverso linguaggi che vanno dalla musica all’illustrazione fino alla realtà virtuale e alle installazioni multimediali. È il caso di Marco Barotti, uno dei più significativi artisti esposti a “Resilienze” e per la prima volta allestito in Italia. L’obiettivo principale del suo lavoro è la creazione di “ecosistemi tecnologici”, come metafora dell’impatto dell’uomo sul Pianeta, che hanno il fine di aumentare la consapevolezza da parte di chi osserva. “Le opere di Barotti vengono da una lunga ricerca sui temi legati all’ambiente e alla sostenibilità”, prosegue Tiburli Marini. “Pensiamo a ‘Clams’, uno dei lavori in mostra. Sono conchiglie realizzate in eco-plastica che contengono alcuni sensori: questi ricevono stimoli da una sonda posizionata sul fiume Reno che registra i dati sull’inquinamento dell’acqua. Le conchiglie si aprono e chiudono in base alle sollecitazioni ricevute e ai dati registrati. Fanno rumore e il loro suono è un allarme”.

L’uso delle nuove tecnologie aiuta a indagare le forme nascoste degli ecosistemi. È il percorso che propone il VR Pavillon, progetto curatoriale sostenuto dal Gruppo Hera, che contiene opere di realtà virtuale, selezionate da Sara Tirelli -artista multimediale, regista e curatrice- che affrontano con estetiche e linguaggi diversi il tema di una natura alterata, creando mondi immersivi per immaginare nuove prospettive sul futuro del Pianeta. Si concentra invece sull’“oro blu” la mostra collettiva “Parlo acqua”, composta da 20 opere di artisti noti ed emergenti, risultato di una call internazionale aperta lo scorso 22 aprile in occasione della giornata mondiale della Terra, curata da Ka Nuovo Immaginario Migrante con il sostegno del Comune di Ancona e promossa dal Water Grabbing Observatory.

Tra le proposte, tavole rotonde su come praticare un uso consapevole dei big data per la sostenibilità e sullo stato di salute, in Italia e nel mondo, del giornalismo ambientale. L’attenzione è rivoltA anche alle filiere sostenibili del pane attraverso incontri e workshop organizzati insieme alle rete dei Panificatori agricoli urbani (Pau). Tra i documentari presentati “Aquarela” del regista russo Victor Kossakovsky che, girato in 96 fotogrammi al secondo, accompagna il pubblico in un viaggio attraverso la bellezza trasformativa dell’acqua.

“L’ultima tappa di ‘Resilienze’ è insieme un chiudere e un riaprire”, conclude Massimo Tiburli Marini. “È la fine della nostra esplorazione del tema dei legami invisibili. Ma è il punto di inizio di quanto accadrà in un secondo momento e che vivrà in modo organizzato nel nostro spazio ‘Serra madre’ a Bologna. Sarà un centro di produzione e di sperimentazione per indagare le tematiche ambientali nelle connessioni tra arte, imprese e centri di ricerca. Il luogo di una ricerca permanente”.

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