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Terra e cibo / Approfondimento

Un “pane di comunità” che valorizza le realtà locali e tutela la biodiversità

Da Monghidoro a Firenzuola, agricoltori, mugnai e panificatori lavorano insieme nella Comunità dei Grani alti dell’Appennino. Un progetto di filiera chiusa del grano nato per “custodire” e salvaguardare sementi e lavorazioni antiche

Tratto da Altreconomia 245 — Febbraio 2022
Un campo di grano nei terreni di Monghidoro. Nel Comune in provincia di Bologna è attivo dagli anni Cinquanta il Forno Calzolari dove lavorano 28 persone © Marta Amanti

Nei terreni del Comune di Monghidoro, in provincia di Bologna, nel corso del 2022 si inizieranno a piantare i semi della Comunità dei Grani alti dell’Appennino. Nata formalmente solo alla fine del 2019 in collaborazione con Slow Food, la comunità è un progetto di filiera chiusa del grano attivo da vent’anni. Dalla semina di antiche varietà locali recuperate fino alla preparazione del pane, tutto il percorso avviene sull’Appenino tosco-emiliano tra Firenzuola (FI) e Monghidoro. Agricoltori, mugnai e panificatori lavorano insieme: condividono la scelta delle materie prime e le tecniche di lavorazione biologica in campo con l’obiettivo di tutelare la biodiversità, custodire grani tradizionali e rafforzare le realtà locali.

“La prima varietà di grano antico che abbiamo seminato in campo, come comunità, è stata il Verna. Siamo poi passati ad altre tipologie che ci sembravano interessanti per la panificazione come l’Ardito, il Fiorello, il Virgilio e l’Abbondanza. Abbiamo collaborato con enti di ricerca come la Rete Semi Rurali, l’Università di Bologna e il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria”, spiega Alessandro Ropa dell’azienda Ca’ di Bartoletto, biologica dagli anni Novanta, uno dei sei agricoltori della filiera.

“Si tratta di varietà tipiche di queste terre. Sono grani ‘alti’ perché raggiungono un metro e mezzo di altezza, una taglia superiore rispetto a quella dei grani che si sono imposti dopo la ‘rivoluzione verde’. Nella ricerca agricola la tendenza era stata infatti selezionare specie moderne adatte per la pianura con una taglia bassa che consiglia il diserbo per avere una resa superiore. Ma noi non volevamo usare pesticidi”, prosegue Ropa. Oltre ai grani in purezza, estesi su un totale di 30 ettari, la Comunità coltiva anche le popolazioni evolutive che ricoprono 25 ettari. Nei campi di Ca’ di Bartoletto, per esempio, si trovano 22 parcelle con 22 popolazioni diverse. “L’inizio del percorso non è stato facile ma ce l’abbiamo fatta condividendo le nostre conoscenze -continua Ropa-. Un punto di forza è proprio il confronto continuo che c’è tra di noi”. Il progetto di seminare in un campo collettivo mira proprio a potenziare questa parte della filiera per arrivare a commercializzare i semi della comunità.

“Qui gli alberi respirano insieme al grano e tutto questo rimane nel pane che prepariamo e mangiamo. La qualità dei prodotti inizia dal lavoro in campo” – Matteo Calzolari

I produttori che fanno parte della comunità sottoscrivono un disciplinare che prevede l’obbligo della coltivazione con metodi biologici, in alcuni casi anche biodinamici, a un’altitudine non inferiore ai 400 metri. La coltivazione avviene in particelle di ridotte estensioni, delimitate da siepi e canali, in un paesaggio ancora ricco di boschi e lontano da contesti di forte urbanizzazione. I grani sono macinati a pietra nel mulino di Carlo Foralossi a Firenzuola: l’impianto, risalente all’Ottocento, utilizza l’energia meccanica prodotta dalla corrente del fiume Santerno, condotta alla ruota del mulino attraverso una diga e un canale.

“La macinazione a pietra consente di sollecitare il meno possibile il grano, i cui principi rimangono tutti contenuti nella farina, e di rispettare le sue caratteristiche chimiche e fisiche. I risultati sono molto buoni in particolare quando si lavora un prodotto integrale”, spiega Carlo Foralossi che gestisce il mulino, eredità di famiglia, l’unico rimasto ancora attivo nella zona. Lo sfarinato che si ottiene con la macinazione a pietra contiene tutto il chicco di grano, compreso il germe e la crusca. Dopo la macinazione, avviene il processo di setacciatura. “Realizzo una farina integrale di tipo 1 e 2, senza processi di raffinazione. Ci muoviamo già da un prodotto di estrema qualità ed è questo che fa la differenza”.

La comunità dei Grani alti organizza a cadenza regolare le “veglie”, momenti in cui chi prende parte a questa filiera di montagna si incontra per condividere e confrontarsi sulle produzioni © Marta Amanti

A usare la farina è il forno Calzolari di Monghidoro. Attivo dalla fine degli anni Cinquanta, è oggi gestito da Matteo Calzolari, figlio del fondatore Franco: “Quando abbiamo deciso di aprire la comunità, abbiamo pensato che il primo elemento da stabilire fosse la retribuzione del grano acquistato dagli agricoltori locali. Che deve seguire un giusto prezzo e non le oscillazioni del mercato e della Borsa del grano”. Il disciplinare prevede un prezzo fisso che va dai 60 ai 70 euro al quintale per chi produce. “Abbiamo voluto riconoscere un valore alla materia prima e lo abbiamo deciso tra di noi, ascoltandoci”.

La comunità organizza a cadenza regolare le “veglie”, momenti aperti in cui chi prende parte a questa filiera di montagna si incontra per parlare delle produzioni, di che cosa succede nei campi e di come organizzare momenti di condivisione e divulgazione con cittadini e sostenitori. Una delle occasioni in cui sono state presentate le caratteristiche del progetto è stata la rassegna “Forni e fornai”, tenuta a Monghidoro nell’estate 2021: due giornate nelle quali sono stati organizzati dibattiti, laboratori sulla panificazione e proiezioni di documentari cui hanno partecipato anche la rete dei Panificatori agricoli urbani e la cooperativa Terra di resilienza di Caselle in Pittari (SA) che recupera grani autoctoni a rischio scomparsa nel Cilento. Il prossimo appuntamento sarà a maggio.

“Riscoprire la farina macinata a pietra è stato il primo passo per le successive trasformazioni. Quando l’ho appoggiata sul bancone, ho intuito che conteneva i segni di un cambiamento”, prosegue Calzolari che oltre a Monghidoro, dove lavorano 28 persone, ha aperto cinque negozi a Bologna e vende i suoi prodotti anche nel Mercato Ritrovato del capoluogo. La lavorazione del pane avviene usando il lievito madre, rinforzato da 20 anni, con tipologie che vanno dal pane al farro e ai grani antichi fino a quello al germe di grano. Sono realizzate anche gallette di mais, usando la materia prima di Marco Lelli, agricoltore della comunità che coltiva mais Ottofile giallo. Ogni mese il forno crea una nuova forma che utilizza i prodotti di stagione. A marzo, per esempio, è il momento del pane con germogli di erba medica e lo sciroppo d’acero. “Il pane di gennaio è preparato usando i prodotti che rimangono di solito quando finiscono le cene del periodo natalizio: mandarini, arance e noci in un impasto di grano antico, segale, semola di grano duro -spiega Calzolari-. Sono molto legato al pane che prepariamo nel mese di giugno. Si chiama ‘Rubando ciliegie’ ed è fatto con ciliegie, ortica, fieno in un impasto di semola, segale e grani antichi. È come se fosse una corsa sull’erba, sprigiona gli stessi odori del bosco”.

La panificatrice Karen Lopes mentre mostra come si prepara il pane, usando il lievito madre, in occasione dell’evento “Forni e fornai” organizzato a Monghidoro nell’estate 2021 © Marta Amanti

A lavorare in laboratorio insieme a Calzolari c’è Karen Lopes, diplomata in Scienze gastronomiche presso l’Università di scienze gastronomiche di Pollenzo (CN). Arrivata per un tirocinio, è stata poi assunta a tempo indeterminato. “Ogni giorno procediamo con il rinfresco del lievito madre -spiega Lopes-. Pesiamo le farine, prepariamo l’impasto. La fermentazione dura tra le cinque e le sei ore. Dopo avviene la spezzatura e la cottura”. Lopes è la creatrice di uno dei pani venduti nel forno, preparato interamente a mano con farina al 100% e con il lievito madre rinfrescato con la crusca.

“A Monghidoro il forno è diventato un luogo di incontro, è un catalizzatore della comunità e facilita le relazioni. È una questione centrale. La Comunità dei Grani alti, infatti, non è limitata ai soli risvolti economici del progetto, quindi sostenere i produttori locali -spiega Lopes-. Vuole creare contatti, rafforzare le relazioni, unire le generazioni anche attraverso il pane”. Per il 2022 ci sono nuovi obiettivi: censire i forni ancora esistenti nelle borgate dell’Appennino, riattivarne uno e rafforzare progetti di turismo responsabile. Una prima esperienza è stata “Mangirò”, percorsi di enogastronomia in cui si mostrano i campi e il forno della comunità in una giornata, organizzata in estate, che prevede una passeggiata di 12 chilometri sui boschi dell’Appenino. “Qui gli alberi respirano insieme al grano e tutto questo rimane nel pane che prepariamo e mangiamo -conclude Matteo Calzolari-. La qualità dei nostri prodotti nasce dal lavoro che facciamo in campo. Inizia tutto da là”.

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