Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Diritti / Inchiesta

Pma, diritto per poche: l’accesso alle cure pubbliche è un lungo travaglio

© istockphoto.com

A vent’anni dalla legge sulla Procreazione medicalmente assistita ci sono ancora forti diseguaglianze tra Nord, Sud e Isole. L’accesso al servizio, dal primo aprile, dovrà essere garantito dal “pubblico”. Che rischia di essere impreparato

Tratto da Altreconomia 267 — Febbraio 2024

Dal primo aprile 2024 la procreazione medicalmente assistita (Pma) entrerà ufficialmente nei Livelli essenziali di assistenza (Lea) approvati nel 2017. Dopo un’attesa durata anni, tutte le coppie eterosessuali sposate o conviventi potranno rivolgersi alle strutture pubbliche e ricevere -gratuitamente o dietro il pagamento di un ticket– i trattamenti necessari a superare un problema di infertilità. “Con questo provvedimento, per la prima volta in Italia, i percorsi di procreazione medicalmente assistita avranno un riconoscimento all’interno del Sistema sanitario nazionale e l’infertilità sarà considerata una malattia che deve essere curata”. Antonino Guglielmino, ginecologo ed ex presidente della Società italiana della riproduzione umana (Siru), è ottimista: “Ci sarà finalmente una procreazione medicalmente assistita ‘a chilometro zero’”.

Un traguardo raggiunto nell’anno in cui si celebra una doppia ricorrenza: il ventennale dell’approvazione della legge 40 del 19 febbraio 2004 che disciplina il ricorso alle pratiche di Pma e i dieci anni dalla sentenza 162 della Corte costituzionale che il 10 giugno 2014 ha dichiarato l’illegittimità del divieto di fecondazione eterologa, aprendo così alle coppie la possibilità di accedere a questo trattamento anche nel nostro Paese. Sebbene non manchino le difficoltà (dalle disparità territoriali alle limitazioni ancora imposte dalla normativa) nel 2021 sono state trattate in tutta Italia poco più di 86mila coppie, in aumento rispetto alle 70mila del 2014. A fotografare la situazione è l’ultima Relazione al Parlamento sull’attuazione della legge 40, pubblicata a novembre 2023. L’esito di queste procedure è stata la nascita di poco più di 16mila bambini, pari al 4,2% dei circa 400mila nati nel 2021: un dato non irrilevante in un Paese in cui si registra un calo costante della natalità.

Numeri destinati ad aumentare. Nel momento in cui queste prestazioni verranno garantite in tutta Italia dalla sanità pubblica è verosimile pensare che proverà a percorrere questa strada anche chi aveva rinunciato a costruire una famiglia a causa dei costi del privato: dai 3.500 ai settemila euro per una fecondazione omologa (utilizzando i gameti della coppia) e dai cinque ai novemila euro per un ciclo di eterologa in cui si fa ricorso a ovociti o spermatozoi (o entrambi) da donatori.

“La domanda potrebbe quasi raddoppiare”, prevede Guglielmino ricordando che però in Italia le strutture pubbliche sono in numero inferiore rispetto a quelle private: su un totale di circa 340 centri iscritti al Registro nazionale della procreazione medicalmente assistita presso l’Istituto superiore di sanità, quelli privati sono 221. Ma se si prendono in considerazione solo i centri di secondo e terzo livello (che eseguono gli interventi più complessi: dalla fecondazione in vitro al prelievo chirurgico degli spermatozoi, necessari per risolvere i casi più seri di infertilità maschile) quelli pubblici sono 72 a fronte di 17 privati convenzionati (tra cui due importanti strutture milanesi come l’Istituto clinico Humanitas e l’ospedale San Raffaele) e 113 privati. Tra queste ultime figurano molte strutture di piccole dimensioni ma anche realtà importanti come le cliniche del gruppo IviRma (attivo in nove Paesi, tra cui gli Stati Uniti, con oltre 70 centri) e di Eugin (fondato nel 1999 a Barcellona, controllato dal fondo d’investimento spagnolo Ged e dallo statunitense Kkr).

La quota di bambini nati nel 2021 in Italia da tecniche di procreazione medicalmente assistita è del 4,2%. In termini assoluti sono circa 16mila, un numero destinato a crescere: il servizio pubblico, ora è chiamato a garantire le cure assorbendo anche le domande delle famiglie che, per i costi elevati del privato, avevano rinunciato

“Il rischio è che il pubblico non sia in grado di assorbire la domanda di Pma che fino a oggi non poteva essere soddisfatta perché le coppie non trovavano sul territorio un centro pubblico a cui rivolgersi o perché non avevano le risorse per affrontare un percorso nel privato -sottolinea Guglielmino-. Nelle Regioni del Centro-Sud e nelle Isole in particolare si evidenzia una situazione assolutamente carente”.

Non è però realistico pensare che le molte criticità che ancora vincolano l’accesso alla Pma possano essere superate dal primo aprile 2024. A partire dalle profonde disparità territoriali: un fenomeno reso particolarmente evidente dagli spostamenti di migliaia di coppie, provenienti soprattutto dal Sud, verso quelle Regioni che, anche in mancanza dell’approvazione dei Lea, hanno potuto erogare queste prestazioni con risorse proprie. La Relazione al Parlamento evidenzia come nel 2021 il 25,5% dei cicli “sia stato effettuato su pazienti che non risiedono nella Regione di appartenenza del centro”. Un dato che sale al 41,5% se si prende in considerazione l’eterologa. A esercitare l’attrazione più forte sono soprattutto la Lombardia (il 28% dei cicli sono stati effettuati su pazienti provenienti da fuori Regione), la Toscana (54,9%) e il Lazio (35,5%).

Ma le difficoltà non sono solo di tipo pratico. “C’è un problema di disinformazione: tanti medici di base e molti ginecologi non sanno dove indirizzare chi non riesce a concepire naturalmente -spiega Guglielmo Ragusa, responsabile del centro Pma dell’Azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona-. Inoltre, in buona parte dei centri pubblici, ci sono liste d’attesa di alcuni mesi solo per svolgere la prima visita, un appuntamento a cui spesso i pazienti arrivano senza aver nemmeno svolto alcuni esami fondamentali che permetterebbero di indirizzare meglio, da subito, il percorso senza perdere altro tempo”.

Il 10 giugno 2014 la Consulta ha dichiarato l’illegittimità del divieto di fecondazione eterologa, aprendo così alle coppie la possibilità di accedere a questo trattamento anche nel nostro Paese

C’è poi chi -per legge- non può nemmeno bussare alle porte di un centro pubblico: a differenza di quanto avviene in altri Paesi europei, la legge italiana vieta l’accesso alle tecniche di Pma alle donne single e alle coppie omosessuali. Per loro la sola possibilità è rivolgersi a un centro (privato) in Spagna, Repubblica Ceca o Danimarca. “La legge sulle unioni civili del 2017 permette alle persone dello stesso sesso di formare una famiglia ma non di accedere alla procreazione medicalmente assistita -commenta Gianni Baldini, avvocato e direttore della Fondazione Pma Italia-. Chi si rivolge a cliniche straniere rischia di incorrere in situazioni come quella di Padova”. Il riferimento è alla decisione della Procura del giugno 2023 di contestare gli atti di nascita di 33 bambini e bambine nati a partire dal 2017 da coppie formate da due mamme e trascritti all’anagrafe cittadina dal sindaco Sergio Giordani. Un provvedimento arrivato a pochi mesi di distanza da una circolare con cui il ministero dell’Interno sollecitava i prefetti a comunicare ai primi cittadini uno stop alla registrazione dei genitori non biologici nei certificati di nascita dei bambini nati all’estero da procreazione assistita o gestazione per altri.

“C’è un problema di disinformazione: tanti medici di base e ginecologi non sanno dove indirizzare chi non riesce a concepire naturalmente” – Guglielmo Ragusa

Ma i nodi critici legati alla legge 40 e alle sue applicazioni non finiscono qui. Dopo la sentenza della Corte costituzionale del 2014 che ha sancito l’illegittimità del divieto della fecondazione eterologa il numero delle coppie che vi hanno fatto ricorso è passato dalle 2.083 del 2015 alle 11.584 del 2021. “L’eterologa è una macchina senza benzina: oggi la quasi totalità dei trattamenti viene effettuata con gameti importati dall’estero, con un costo importante -spiega Baldini-. La normativa europea prevede che la donazione sia volontaria e gratuita ma lascia agli Stati la possibilità di fissare un rimborso per indennizzare i donatori per le ore di lavoro perse, lo stress psico-fisico e il costo dei farmaci necessari alla stimolazione ormonale per la componente femminile. L’Italia non ha recepito questo aspetto”.

Le coppie che si sono sottoposte a un ciclo di fecondazione eterologa in una Regione diversa da quella di residenza sono il 41,5%. In Lombardia quasi una paziente su tre viene da fuori Regione, in Toscana il 54%

Il risultato è sconfortante: secondo i dati del Registro nazionale dal 2019 (anno in cui sono stati fissati i criteri per la selezione) solo tre donne in tutta Italia hanno donato i propri ovociti. “È necessario ora che i Lea siano aggiornati per includere un rimborso per chi li dona al pari di quelli che vengono effettuati nei Paesi da cui l’Italia importa gameti, nel rispetto del divieto di non commercializzazione che vige in tutta Europa -aggiunge Filomena Gallo, segretaria generale dell’associazione Luca Coscioni-. Chiediamo poi vengano inserite anche le indagini diagnostiche sull’embrione, che sono lecite per legge ma che non sono previste dai Lea”.

Si tratta di accertamenti che, nel caso ad esempio di una coppia portatrice di patologie genetiche trasmissibili, vengono effettuati sugli embrioni prodotti in vitro prima del loro trasferimento nell’utero della madre per selezionare solo quelli sani. “In questi anni la diagnosi pre-impianto ha permesso la nascita di tanti bambini sani -commenta Laura Pisano, presidente dell’associazione di pazienti ‘L’altra cicogna’-. A mio avviso, selezionare gli embrioni che non sono portatori di patologie importanti non è egoismo. Si tratta di decisioni che riguardano la libertà di scelta della coppia”. Anche in questo caso il mancato inserimento della procedura nei Lea determina una discriminazione ai danni di quanti non possono permettersi di pagare privatamente.

A vent’anni dalla legge 40 una riflessione sulla sua piena applicazione e sul ruolo del sistema sanitario nazionale è sempre più importante. “Si prevede un aumento delle coppie che accederanno ai centri Pma per crescenti problemi di infertilità, legati anche a cause ambientali, all’inquinamento o all’obesità che è in crescita anche in Italia -riprende Guglielmo Ragusa-. Inoltre la ricerca del primo figlio avviene in età sempre più avanzata”.

“L’eterologa è una macchina senza benzina: oggi quasi totalità dei trattamenti viene effettuata con gameti importati dall’estero, con un costo importante” – Gianni Baldini

A questo potenziale aumento della domanda guardano con molto interesse anche società e fondi privati di investimento, come spiega Lucy van de Wiel, fondatrice del Reproduction Research Cluster del King’s College di Londra: “Negli ultimi dieci anni il settore della fertilità ha registrato una crescita significativa e si prevede che continuerà ad aumentare raggiungendo un valore di 36 miliardi di dollari nel 2026 -spiega ad Altreconomia-. Viene considerata un’area in cui le persone continueranno a spendere denaro, anche in presenza di una situazione economica peggiore, perché considerano una priorità il fatto di avere figli”. Una tendenza già evidente in quei Paesi dove la sanità è fortemente privatizzata (come Stati Uniti e Australia) ma l’Europa e l’Italia non fanno eccezione.

A gennaio 2023 il fondo statunitense Kkr ha acquisito per tre miliardi di euro il gruppo Ivi Rma, che si presenta come “il gruppo leader a livello mondiale nel settore della fertilità” e che recentemente (fine novembre scorso) ha consolidato la sua posizione acquisendo anche parte delle attività della spagnola Eugin. Kkr -che nel novembre 2023 ha acquistato la rete Tim- muove così le pedine più importanti del settore, dopo avervi fatto ingresso nel 2021 con l’acquisizione della spagnola GeneraLife, uno dei principali player europei che gestisce trenta cliniche in Spagna, Portogallo, Svezia, Repubblica Ceca e Italia. Nel nostro Paese il fondo, proprio attraverso GeneraLife (che detiene il 100% del capitale di Ivi Rma Italia srl), controlla le principali società che gestiscono, tra gli altri, il centro procreazione assistita Demetra di Firenze, il centro Livet di Torino, la clinica “Valle Giulia” di Roma, i centri GeneraLife di Milano, Marostica, Umbertide (PG) e Cagliari.

© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2024 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati