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Diritti / Reportage

La scuola di gomme per i beduini palestinesi resiste ancora, presa di mira dai coloni

© Anna Maria Selini

È sotto ordine di demolizione praticamente da quando è stata costruita, nel 2009, eppure regge il colpo. Realizzata con 2.200 pneumatici grazie al supporto della Ong Vento di terra in Cisgiordania, ha permesso ai bambini della comunità di Khan al Ahmar, minoranza della minoranza, di evitare dieci chilometri a piedi per poter studiare. Oggi però è a rischio a causa dell’insediamento di coloni armati e molto aggressivi. Il nostro reportage

Lasciata Gerusalemme, dalla strada a scorrimento veloce che porta a Gerico, si imbocca un sentiero sterrato, che si contorce tra le valli e le colline di sabbia, dove vivono sparsi, come olive rimaste a terra, i beduini.

Siamo in area C, quella che per gli Accordi di Oslo è a completo controllo israeliano, oltre che la più grande di tutte le aree: è pari, infatti, al 60% della Cisgiordania.

Lungo il tragitto e una volta arrivati, si incontrano baracche di lamiera, container coperti da teli di plastica, cisterne per l’acqua e pezzi di arredi. I beduini sono palestinesi originariamente nomadi e, infatti, soltanto un edificio, qui a Khan al Ahmar, dà l’impressione di essere fatto per rimanere, con il prato all’inglese sintetico, la recinzione e le pareti piene murales: è la famosa scuola di gomme.

In molti pensano non esista più, invece, la serie di piccoli edifici costruiti nel 2009 dalla Ong milanese Vento di terra, per i bambini della comunità beduina di Khan al Ahmar, esiste e resiste, tra vecchi coloni “amici” e nuovi molto più minacciosi.

“Per costruirla furono impiegati 2.200 pneumatici -racconta Serena Baldini, responsabile per la Palestina di Vento di terra- furono gli stessi abitanti a chiederci una scuola. A quei tempi non era scontato e semplice entrare in contatto con le tribù beduine e fu grazie al padre di una nostra operatrice, per l’appunto beduino, che iniziammo a relazionarci con loro. I beduini vivono senz’acqua corrente ed elettricità, con bisogni di base evidenti e il fatto che ci chiedessero una scuola ci sembrò particolarmente significativo e ispirante. I bambini della comunità prima andavano a piedi fino a Gerico, per più di dieci chilometri, con un altissimo tasso di abbandono scolastico”.

Ma perché una scuola fatta di copertoni? “Perché nell’area C -continua Baldini- i palestinesi sono soggetti a vincoli enormi per costruire, per i beduini è praticamente impossibile; quindi, bisognava trovare un’idea che fosse non troppo visibile, per non richiamare subito la polizia, che non mettesse a rischio la comunità e che fosse anche un processo condiviso. Furono coinvolti brillanti architetti, l’idea era non usare ruspe per scavare le fondamenta, in giro c’erano un sacco di pneumatici usati, la spesa era a basso costo e così è nata la scuola di gomme”. Smontabile, ecologica e inattaccabile da un punto di vista legale.

Gli pneumatici sono stati impilati e uniti con un composto a base di sabbia, il risultato sono piccoli edifici tondeggianti e senza spigoli, ognuno per un’aula scolastica, adagiati sul prato verde. Accanto c’è il campo giochi, le sedute e i saliscendi sono fatte sempre di gomme.

“Ci studiano 170 bambini e bambine, dai sei ai quattordici anni -spiega Abu Khamis, il portavoce della comunità- apparteniamo alla tribù dei Jahalin, in totale dal Mar Morto a qui siamo in tremila e siamo dei rifugiati”.

I beduini, essendo in origine nomadi, non rientrano però tra i palestinesi che vivono nei campi profughi gestiti dall’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite per i profughi palestinesi. Di fatto sono una minoranza della minoranza, poco tutelata anche dalla stessa Autorità nazionale palestinese.

“Il nostro ministro dell’Educazione, se vuole venire a visitarci -continua Abu Khamis- deve chiedere il permesso agli israeliani. Ci piacerebbe molto vederlo”.

La scuola è stata consegnata al ministero dell’Educazione palestinese, che gestisce i programmi e invia i docenti da Gerusalemme Est e dal resto della Cisgiordania. Docenti di frontiera, che ogni giorno devono affrontare le difficoltà di movimento a cui sono soggetti tutti i palestinesi, aumentate considerevolmente dopo il 7 ottobre 2023, e aggiungervi quelle per arrivare dai beduini.

Khan al Ahmar è circondata da colline e come avviene spesso in Cisgiordania sulla cima delle colline ci sono le colonie, ovvero insediamenti israeliani illegali per il diritto internazionale.

Fino a qualche mese fa il rapporto tra la comunità beduina e i vicini era tutto sommato buono. Una manciata di coloni, decisamente un’eccezione, negli anni si è avvicinata al villaggio, fino ad aiutare i beduini nella causa per la demolizione della scuola di gomme e dell’intero complesso. Si tratta di israeliani che non rivendicano il possesso divino della terra, come i coloni più aggressivi, ma che hanno deciso di vivere in area C per il basso costo delle case. Anche se tecnicamente e per i palestinesi restano dei coloni.

La scuola, come numerosi edifici beduini della zona, è sotto ordine di demolizione praticamente da quando è stata costruita. Dopo la causa intentata dallo Stato israeliano, dalle colonie e da una società stradale, la Corte suprema israeliana si è espressa una prima volta nel 2009, invitando le parti a trovare un accordo. Le autorità israeliane negli anni successivi hanno presentato un piano per ricollocare i beduini, che però l’hanno respinto, così come gli organismi internazionali.

Nel maggio 2018, la Corte suprema israeliana si è infine pronunciata a favore della demolizione e pochi giorni dopo l’esercito aveva cercato di sgomberare i beduini, attaccando loro e i numerosi attivisti arrivati da tutto il mondo per sostenerli.

Negli anni, secondo Amnesty International, le autorità israeliane hanno demolito venticinque abitazioni del villaggio, che aveva oltre 160 strutture, tra cui una moschea e un ambulatorio.

Il trasferimento forzato di persone sotto occupazione costituisce una grave violazione della Quarta convenzione di Ginevra. La deportazione o il trasferimento, totale o parziale, della popolazione di un territorio occupato, all’interno o all’esterno dello stesso, costituisce un crimine di guerra anche ai sensi dell’articolo 8 dello Statuto di Roma del Tribunale penale internazionale.

“Alcuni coloni sono venuti a sostenere la nostra causa alla Corte Suprema a Gerusalemme -spiega Abu Khamis- e si sono presentati anche nel villaggio per fermare i bulldozer. Ma il problema è che da cinque mesi sono arrivati dei nuovi coloni molto aggressivi. Stanno creando un sacco di problemi agli studenti, che per venire a scuola passano a piedi vicino alla colonia, li attaccano anche con i cani. Bambini di sette e otto anni. Io chiamo la polizia e i militari, ma non succede niente. Perché la polizia e i coloni sono la stessa cosa ormai”.

Abu Khamis mostra delle immagini scattate nel villaggio, tra le case e dentro la scuola: ci sono dei giovani armati con fucili semiautomatici, che si aggirano sul prato, tra le aule colorate.

“Ci confiscano gli animali -continua il portavoce- fanno volare dei droni sulla scuola e i bambini e le donne sono terrorizzati. Non succede solo qui, ormai attaccano ovunque in Cisgiordania e la polizia non li ferma, anzi. Un giorno mia figlia è stata portata in prigione perché è intervenuta in difesa di un bambino della comunità, che era stato preso dai coloni. Questa è mia figlia -dice mostrando la foto- sta andando ad aiutare i bambini. I coloni hanno chiamato la polizia e quando è arrivata cosa hanno fatto? Hanno arrestato mia figlia e l’hanno portata in prigione; ci è rimasta un giorno e per farla uscire ho dovuto pagare diecimila shekel (2.500 euro)”.

Un’immagine immortalata da Abu Khamis delle aggressioni dei coloni israeliani nel villaggio

Tra le foto c’è anche quella dei bulldozer che nel 2018 cercarono di abbattere la scuola: “Questo è il sostegno delle persone non appartenenti alla comunità, che erano venute da tutto il mondo per aiutarci -continua Abu Khamis- c’erano palestinesi, britannici, italiani, americani. La loro solidarietà e il tam tam mediatico allora avevano funzionato, ma i media adesso non parlano nemmeno di quello che succede a Gaza”.

La paura dei beduini è quella di tutti i palestinesi: vedere demolite le proprie case, la scuola di gomme ed essere costretti ad andarsene, tra difficoltà e attacchi sempre più pesanti.

Vento di Terra sta per partire con un nuovo progetto, che comprende lavori di manutenzione leggera nella scuola, che nel tempo ha subito alcune modifiche anche a opera di altre associazioni, e supporto psicosociale per i bambini e le bambine della zona.

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