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Dagli screening neonatali alle terapie anti-tumorali. I “nuovi” Lea sono ancora al palo

© Walter Otto, unsplash

La mancata approvazione del “Decreto tariffe”, previsto per il febbraio 2018, blocca l’entrata in vigore dei Livelli essenziali di assistenza. Aumentano così le disparità territoriali tra le Regioni e le disuguaglianze territoriali. Le associazioni chiedono al governo di intervenire per sbloccare la situazione

Per due anni, tra il settembre 2019 e il 2021, oltre 92mila bambini nati negli ospedali del Lazio e della Toscana sono stati sottoposti a un innovativo screening neonatale per l’identificazione precoce dell’atrofia muscolare spinale (Sma) una patologia che, nelle sue forme più gravi, può portare alla morte prima del compimento dei due anni di età. Il test ha permesso di diagnosticare a 15 bambini la patologia già nei primissimi giorni di vita e di somministrare tempestivamente nuovi farmaci, disponibili in Italia dal 2017, che bloccano il decorso della malattia. “Ogni anno nel nostro Paese nascono circa 70 bambini con Sma -spiega ad Altreconomia Daniela Lauro, vicepresidente dell’associazione Famiglie Sma e responsabile del progetto per lo screening neonatale-. Nelle forme meno gravi il decorso della patologia porta questi piccoli a non poter camminare e ad avere gravi problemi respiratori, mentre nei casi più severi l’esito è fatale. La diagnosi precoce unita alle terapie farmacologiche rappresenta un punto di svolta fondamentale: i bambini non sviluppano la sintomatologia, non necessitano di carrozzine e ventilatori, hanno uno sviluppo psico-motorio sovrapponibile a quello di tutti gli altri. Questo significa anche evitare ospedalizzazioni lunghe e costose per il sistema sanitario”.

A quasi due anni dalla conclusione della sperimentazione, però, non tutti i neonati italiani vengono sottoposti allo screening neonatale precoce per l’atrofia muscolare spinale: solo alcune Regioni -tra cui Toscana, Lazio, Puglia, Campania e Liguria- attualmente offrono ai neo genitori questa possibilità. A dicembre 2022 anche la Regione Veneto ha approvato un decreto ad hoc per inserirlo tra le prestazioni a cui tutti possono accedere, mentre Abruzzo e Lombardia dovrebbero aggiungersi a breve.

Il motivo di questa discrepanza è puramente burocratico: i “nuovi” Livelli essenziali di assistenza (Lea) -previsti dal Dpcm 502 del 12 gennaio 2017, che ha aggiornato quelli precedenti risalenti al 2001- non sono pienamente operativi su tutto il territorio nazionale “in quanto non sono ancora stati emanati i decreti che fissano le tariffe massime dell’assistenza specialistica ambulatoriale e protesica, rendendo così non fruibili le nuove prestazioni”, si legge in un documento pubblicato il 29 settembre 2022 dal Servizio studi della Camera dei deputati che ricorda come la legge di Bilancio 2018 avesse posto il 28 febbraio 2018 come “termine ultimo per l’emanazione dei decreti sulle tariffe”. Termine che “non risulta finora soddisfatto”. Questo stallo, inoltre, ha impedito un ulteriore aggiornamento delle prestazioni riconosciute come essenziali ormai sei anni fa aggiungendone di nuove come, appunto, lo screening precoce per la Sma.

Ma facciamo un passo indietro. L’acronimo Lea indica i servizi sanitari, gli accertamenti diagnostici ma anche le strumentazioni come protesi e ausili tecnologici per le persone con disabilità che il Servizio sanitario nazionale (Ssn) fornisce gratuitamente o dietro il pagamento di una quota di partecipazione, il cosiddetto ticket. I Lea rappresentano dunque la garanzia che tutti i cittadini, dalla Sicilia alla Lombardia, abbiano le stesse possibilità di accesso alle cure. Nel 2017 sono state inserite tra i livelli essenziali di assistenza nuove prestazioni ad altissimo contenuto tecnologico come l’adroterapia (una forma di radioterapia per il trattamento e la cura di tumori spesso inoperabili o resistenti ai trattamenti tradizionali) o l’enteroscopia con microcamera ingeribile, la tomografia retinica. È stato rivisto l’elenco delle malattie rare (con l’inserimento di oltre 110 nuove entità) mentre per quanto riguarda l’assistenza protesica, all’elenco del 2001 sono stati aggiunti software tecnologicamente più avanzati come gli apparecchi acustici a tecnologia digitale, sistemi di riconoscimento vocale e i puntatori ottici che rappresentano l’unico strumento di comunicazione con il mondo esterno per le persone con gravissime disabilità.

La mancata approvazione del Decreto tariffe segna una profonda spaccatura nell’erogazione dei servizi sanitari e, di conseguenza, nella garanzia del diritto alla salute: da un lato ci sono le Regioni che hanno la possibilità di erogare prestazioni e servizi aggiuntivi rispetto ai Lea con risorse proprie. Dall’altro quelle che si trovano in Piano di rientro, con l’obiettivo di riequilibrare i conti dei servizi sanitari regionali (a oggi sono Abruzzo, Calabria, Campania, Lazio, Molise, Puglia e Sicilia oltre alle commissariate Molise e Calabria) e che possono erogare solo prestazioni e servizi indicati dai “vecchi” Lea del 2001. “Questa situazione crea gravi disuguaglianze e penalizza i cittadini che vivono nelle Regioni che non possono erogare prestazioni ‘extra Lea’ e quindi sono costretti a migrare, se possono permetterselo, verso altri territori per potersi curare. In barba ai principi di universalismo e solidarietà del nostro Servizio sanitario”, spiega ad Altreconomia Annalisa Mandorino segretaria generale di Cittadinanzattiva, organizzazione che da anni sollecita le istituzioni a superare questa impasse.

Nella seconda metà del 2022 una rinnovata attenzione delle istituzioni al tema aveva fatto ben sperare le associazioni e i pazienti: era stato infatti definito il testo del Decreto tariffe la cui discussione finale era stata calendarizzata per il 28 settembre in Conferenza Stato-Regioni. “Il nostro auspicio era che si arrivasse all’approvazione definitiva in tempi brevi, anche per non sprecare il lavoro svolto in tutti quei mesi. Ma la Conferenza ha dichiarato che c’erano ulteriori questioni economiche da chiarire e non se ne è fatto nulla”, commenta amaramente Mandorino.

“Questo mancato ampliamento del perimetro dei diritti esigibili dei cittadini rappresenta un ulteriore colpo ai redditi delle famiglie, su cui vengono scaricati i costi per esami e prestazioni sanitarie”, aggiunge Tonino Aceti, fondatore e presidente di Salutequità, osservatorio per la valutazione della qualità delle politiche per la salute. È il caso, ad esempio delle coppie infertili che vogliono fare ricorso alla procreazione fecondazione assistita per avere un figlio: mentre in Lombardia o in Toscana gli esami e gli interventi vengono garantiti dai sistemi sanitari regionali dietro il pagamento di un ticket, chi vive in Regioni come la Sicilia può accedere a questi servizi solo a pagamento, con costi per migliaia di euro.

Al ritardo nell’implementazione dei Lea si aggiunge poi un ulteriore e paradossale elemento: tra il 2016 e il 2020 associazioni di pazienti, società scientifiche e produttori di tecnologie sanitarie hanno sottoposto 300 richieste di valutazione all’apposita Commissione nazionale per l’aggiornamento dei Lea come ricostruisce la “Relazione sullo stato sanitario del Paese 2017-2021” del ministero della Salute. Ma solo dopo lo sblocco del Decreto tariffe sarà possibile inserire anche le prestazioni ritenute idonee dalla Commissione tra i livelli essenziali di assistenza.

Tra le persone in attesa c’è anche Giusy Fabio, vicepresidente dell’Associazione italiana sindrome fibromialgica (Aisf), una malattia invalidante i cui sintomi più comuni sono un dolore muscolo-scheletrico che può colpire diverse parti del corpo, astenia e difficoltà a dormire. “Le persone che ne soffrono in tutta Italia sono circa due milioni -spiega- ma non essendo riconosciuta come malattia rara nei Lea non abbiamo diritto alle esenzioni e siamo costretti a pagare esami e terapie di tasca nostra: ma chi non può permetterselo spesso rinuncia anche a curarsi. Sappiamo che la Commissione ha approvato l’inserimento della fibromialgia nei Lea, ma è tutto bloccato”.

Oltre all’urgenza di arrivare in tempi brevi all’approvazione del Decreto tariffe, Aceti riflette anche sulla necessità di semplificare e modificare l’iter per l’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza: “Il meccanismo che abbiamo oggi è troppo pesante, non è al passo con i tempi ed è inadeguato rispetto ai bisogni delle persone. Prestazioni, terapie, esami diagnostici si evolvono molto rapidamente e serve quindi un sistema di approvazione flessibile, dinamico e rigoroso che consenta di tenere il passo”. Una realtà a cui fare riferimento già esiste ed è l’Agenzia italiana per l’approvazione del farmaco (Aifa): “Svolge un lavoro costante di valutazione per decidere se un nuovo medicinale debba essere rimborsabile o meno. E il percorso si conclude con una semplice determina, senza il bisogno di ulteriori passaggi burocratici. Questo meccanismo dovrebbe essere traslato sui Lea, ad esempio istituendo un organo ad hoc, che riceva le domande di aggiornamento, le valuti e chiuda in tempi certi il percorso autorizzativo”.

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