Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Diritti / Attualità

L’accesso alla procreazione medicalmente assistita è negato in molte Regioni

© John Looy, unsplash

Dalla Puglia alla Sicilia le coppie che non riescono ad avere figli non trovano centri adeguati sul territorio e non possono nemmeno rivolgersi alle strutture in altre Regioni. E la situazione è ancora più complessa per chi deve fare ricorso alla fecondazione eterologa

Serena e suo marito desiderano un figlio ma una diagnosi di sterilità ha (per il momento) congelato i loro sogni. “Ho 34 anni, ma i miei valori ormonali sono bassi e in rapida diminuzione, così abbiamo deciso di fare ricorso alla procreazione medicalmente assistita (Pma) -racconta ad Altreconomia la donna, il cui nome è stato modificato per tutelarne la riservatezza-. Nel 2021 ho contattato i principali ospedali della Sicilia per effettuare questa procedura con il sistema sanitario nazionale. Ma il ticket in Regione è molto elevato: poco meno di tremila euro, cui si devono aggiungere le spese per gli esami medici, i farmaci, la crioconservazione dei gameti, eventuali test genetici. La spesa arriva facilmente a quattro-cinquemila euro. Soldi che noi non abbiamo”.

La donna decide così di rivolgersi a una struttura in Lombardia, dove il costo a carico delle pazienti per la stessa procedura è di soli 36 euro. “A maggio 2022 avrei dovuto iniziare la stimolazione: era già tutto pronto e avevo persino prenotato i voli per Milano e l’albergo. Quando il mio medico di base mi ha comunicato che il sistema sanitario regionale mi aveva negato il nullaosta per effettuare le procedure in Lombardia mi è crollato il mondo addosso”. Il 9 maggio 2022, infatti, la Regione Sicilia ha emanato una circolare con cui ha disposto il blocco della compensazione interregionale. In altre parole: le istituzioni sanitarie dell’isola non rimborsano più le prestazioni erogate da altre Regioni ai propri cittadini alla ricerca di un figlio.

Per capire come siamo arrivati a questa situazione occorre fare un passo indietro. “Nel 2017 le procedure per la procreazione medicalmente assistita sono state inserite nei Livelli essenziali di assistenza (Lea): questo avrebbe dovuto garantire un’erogazione ugualitaria su tutto il territorio nazionale, ma non è successo. Affinché questo avvenisse, infatti, era necessaria l’approvazione di un decreto che fissasse le tariffe per le singole prestazioni”, spiega Giacomo D’Amico, docente di Diritto costituzionale all’Università degli Studi di Messina e presidente dell’associazione Hera di Catania che affianca le coppie in questo complesso percorso. In mancanza del decreto tariffe, per quanto riguarda la procreazione medicalmente assistita, le Regioni si sono mosse in ordine sparso: da un lato quelle dotate di risorse economiche proprie e strutture adeguate che erogano queste prestazioni; dall’altro zone del Paese (in particolare le Regioni del Sud) in cui questo non avviene “perché i Lea non sono stati attivati e mancano le risorse necessarie regionali”, denunciavano già in una lettera aperta datata 4 febbraio 2022 gli operatori dei centri pubblici e privati convenzionati della Pma invitando i ministeri competenti e la Conferenza Stato-Regioni a risolvere al più presto la situazione. “Fino a quando gli aspiranti genitori hanno avuto la possibilità di recarsi fuori Regione non ci sono stati particolari problemi -continua D’Amico-. La sospensione delle compensazioni per la mobilità interregionale e la mancata entrata in vigore del decreto tariffe hanno determinato un’intollerabile situazione di stallo: per queste coppie, che spesso arrivano ai centri a un’età abbastanza avanzata, la tempistica è fondamentale”.

“Mi sento una cittadina di serie B: pago le tasse ma non ho diritto ad accedere a questi trattamenti come chi vive in un’altra parte d’Italia -sospira Serena-. Il nostro non è un capriccio: con mio marito abbiamo persino pensato di trasferirci ma con il lavoro e il mutuo acceso da poco non ci è possibile”. Difficile avere un’idea di quante siano le coppie siciliane che si trovano in questa situazione. Quel che è certo è che il fenomeno non riguarda solo l’isola: per Anna e Roberto, che vivono in provincia di Brindisi, il sogno di mettere al mondo un secondo figlio si è trasformato in un incubo burocratico. Nel febbraio 2017 la coppia si è rivolta al centro di Pma dell’ospedale San Paolo di Milano per risolvere un grave problema di infertilità: “Mio marito soffre di una severa azoospermia, una condizione caratterizzata dalla totale assenza dei gameti nel liquido seminale. Qui in Puglia non ci sono centri in grado di effettuare il complesso intervento chirurgico che ci ha permesso di prelevare gli spermatozoi, per questo ci siamo rivolti a una struttura in Lombardia”, racconta Anna che, fortunatamente, è rimasta subito incinta.

La doccia fredda arriva però nel 2019, quando la coppia decide di avere un secondo figlio ma scopre che per tornare in Lombardia e riprendere le terapie in un centro dove sono già conosciuti dai medici è necessario un nullaosta che deve essere rilasciato dall’Azienda sanitaria locale. “Quando sono andata a chiedere informazioni all’Asl di Brindisi gli impiegati non sapevano nemmeno di che cosa stessi parlando. E a oggi non abbiamo ancora ricevuto risposta -ricorda Anna-. Il materiale genetico di mio marito è crioconservato a Milano ma non posiamo utilizzarlo perché non ci viene permesso di fare il trattamento al San Paolo. Spostarlo è complicato e c’è il rischio che si danneggi irreparabilmente durante il trasporto: non sappiamo cosa fare”.

A rendere ancora più paradossale la situazione è il fatto che a metà maggio 2022 -dopo ben cinque anni di attesa- il Tavolo tecnico ministeriale per la prevenzione e la cura dell’infertilità ha definito le tariffe per le singole prestazioni (comprese quelle per la procreazione medicalmente assistita, ma non solo) che il Sistema sanitario nazionale dovrà rimborsare alle Regioni e che sono state accolte dal ministero della Salute: “È stato difficile trovare un equilibrio, ma finalmente sono stati fissati importi omogenei in tutta Italia”, dice ad Altreconomia Filippo Maria Ubaldi, ginecologo e presidente della Società italiana di fertilità e sterilità (Sifs). Il cosiddetto “decreto tariffe” è stato trasmesso il 19 settembre alla Conferenza Stato-Regioni ma l’approvazione del testo non è affatto scontata, come ha dichiarato Antonio Gaudioso, capo della segreteria tecnica del ministro della Salute, a Quotidiano sanità, paventando persino il rischio di una bocciatura.

Tuttavia, la risoluzione di questo specifico problema potrebbe non essere sufficiente a mettere la parola fine (almeno nel breve periodo) alle profonde differenze territoriali nell’accesso alle procedure di procreazione medicalmente assistita. Secondo l’ultima Relazione al Parlamento sull’applicazione della legge 40/2004 grazie alle tecniche di Pma nel 2019 in Italia sono nati 14.162 bambini (pari al 3,4% del totale), in Lombardia e Toscana questa percentuale sale rispettivamente al 6% e al 7%, in Regioni come Puglia e Sicilia si scende all’1,5% e al 2%. Sempre nel 2019 il 27% dei cicli di fecondazione assistita effettuati nelle strutture pubbliche o convenzionate con il Sistema sanitario nazionale hanno riguardato pazienti provenienti da fuori Regione. Con punte del 33,4% in Lombardia (su circa 15mila cicli) e del 55% in Toscana (5.932).

“Ci sono Regioni con centri più organizzati ed efficienti, che riescono quindi a ottenere buoni risultati, mentre in altre i risultati sono un po’ inferiori. E questo porta le coppie a spostarsi per cercare una struttura dove hanno maggiori possibilità di successo -commenta Ubaldi-. La procreazione medicalmente assistita è una procedura i cui risultati si basano su tecnologie, abilità degli operatori di laboratorio e dei biologi che lavorano con i gameti, esperienza dei medici. Servono spazi e attrezzature adeguati; ma soprattutto la volontà di far funzionare bene questi centri. Per avere una struttura d’eccellenza, tutto deve funzionare alla perfezione. Purtroppo, quello che riscontriamo, è come talvolta manchi proprio la volontà”.

E la situazione è ancora più complessa per le coppie che necessitano un percorso di fecondazione eterologa, consentita in Italia solo con i gameti femminili. “I ritardi in questo ambito sono enormi e la responsabilità è politica -osserva Antonino Guglielmino, ginecologo e presidente della Società italiana della riproduzione umana (Siru)-. Il ministero della Salute non ha mai organizzato campagne per incentivare la donazione di ovociti, che oggi in Italia può essere solo gratuita, con il risultato paradossale che siamo costretti a reperirli all’estero: il 96% dei gameti femminili usati nelle procedure in Italia viene da banche straniere”. A tutto questo si aggiunge la scarsissima informazione in materia. “Ancora oggi, a otto anni dalla sentenza della Corte costituzionale (162/2014), incontro pazienti che mi chiedono se in Italia è possibile fare la fecondazione eterologa con il Servizio sanitario nazionale -conclude Guglielmino-. Nel nostro Paese non è mai stata fatta una seria campagna di informazione sulla procreazione medicalmente assistita. Mancano linee guida nazionali che, ad esempio, diano le informazioni necessarie ai medici di famiglia, i primi che devono orientare i pazienti lungo questo percorso. Le abbiamo presentate ufficialmente a luglio 2021, non abbiamo ancora ricevuto un riscontro”.

© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2024 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati