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Cultura e scienza / Intervista

Franca Ongaro, una vita contro i muri

Franca Ongaro e, alle sue spalle, il marito Franco Basaglia © Alberta Basaglia

La moglie dello psichiatra Basaglia ha avuto un ruolo fondamentale nel superamento dei manicomi in Italia e nell’applicazione della legge 180. Un saggio racconta la sua storia ancora poco conosciuta

Nel 1969 nelle librerie italiane esce un volume fotografico dal titolo esplicito “Morire di classe”. Le immagini -scattate da fotografi del calibro di Gianni Berengo Gardin e Carla Cerati- mostrano uomini seminudi legati ai letti, donne dallo sguardo perso nel vuoto che vagano per cortili polverosi dei manicomi italiani. “Quegli scatti hanno fatto scandalo e hanno permesso all’opinione pubblica di comprendere le reali condizioni di vita dei ricoverati nei manicomi: persone spogliate della loro identità e di ogni dignità -racconta Annacarla Valeriano, storica e saggista, già autrice di studi e ricerche sul tema della salute mentale e dei manicomi del nostro Paese-. Grazie a quel libro gli italiani presero coscienza del fatto che i manicomi erano luoghi in cui venivano rinchiusi gli elementi di disturbo della società, i più poveri, i diseredati. In una parola, gli ultimi”.

A volere quel volume è stata Franca Ongaro, moglie e stretta collaboratrice di Franco Basaglia, fin da quanto questi ha assunto l’incarico di direttore dell’ospedale psichiatrico di Gorizia, nel 1961. “Capirono fin da subito che il manicomio era il luogo in cui le persone finivano a causa dell’appartenenza a una classe sociale svantaggiata. E lì spesso morivano”, spiega Valeriano, che alla vita e al pensiero di Ongaro ha dedicato il saggio “Contro tutti i muri” (Donzelli editore, 2022).

Che ruolo ha avuto Franca Ongaro nella chiusura dei manicomi?
AV Non era una filosofa, né sociologa o psicologa. Era una donna di cultura, aveva studiato e si era diplomata al liceo classico. Amava scrivere ma non era laureata. Il suo più grande merito è stato quello di aver introdotto la prospettiva sociologica nella psichiatria italiana, ad esempio traducendo e facendo conoscere nel nostro Paese i saggi del sociologo Erving Goffman, che per primo ha denunciato le condizioni dei malati di mente nei manicomi degli Stati Uniti. Queste opere hanno contribuito in maniera fondamentale a disvelare le mistificazioni del potere psichiatrico rispetto alla supposta cura dei malati.

Perché è importante accendere un faro su questa figura?
AV Perché con il suo lavoro accanto a Franco Basaglia, ha contribuito a demolire i manicomi. Lo ha fatto materialmente negli anni in cui il marito era direttore dell’ospedale psichiatrico di Gorizia (tra il 1961 e il 1968) lavorando all’interno dell’équipe, occupandosi dei pazienti e interessandosi alle loro storie. Introducendo una prospettiva sociologica tra le mura dell’istituzione psichiatrica ha ha intuito che per interpretare e comprendere la malattia mentale era necessario risalire a ciò che l’aveva causata. E queste radici spesso affondavano nella società. E qui torniamo al senso di “Morire di classe”.

Eppure Franca Ongaro non ha goduto di particolare attenzione nel corso degli anni, come mai?
AV Penso che questo sia legato a diversi fattori. Innanzitutto perché ha iniziato a fare cultura negli anni Sessanta: un periodo di grandi trasformazioni, ma in cui le identità di genere sono ancora ben definite lungo un asse “maschile-femminile”. Era quindi molto difficile per una donna inserirsi in un ambito di ricerca che era ancora in larga parte maschile. Ongaro, inoltre, aveva un carattere schivo ed è rimasta nell’ombra della personalità strabordante del marito.

Annacarla Valeriano ha studiato storia contemporanea all’Università di Teramo, ha lavorato presso l’Archivio della memoria abruzzese della fondazione Università di Teramo. Con Donzelli ha pubblicato “Malacarne. Donne e manicomio nell’Italia fascista” e “Ammalò di testa. Storie dal manicomio di Teramo”.

Ongaro ha dedicato molto tempo e molta energia alla scrittura, sistematizzando gli appunti e i testi del marito, a lungo è stata presentata semplicemente come la “segretaria” di Basaglia. Dal suo saggio però emerge una figura molto diversa.
AV Esattamente: i coniugi Basaglia hanno lavorato in strettissima sinergia. I testi e i saggi pubblicati con il nome di Franco nascevano da discussioni infinite tra i due, che spesso si prolungavano per settimane. Poi, da quel coacervo di riflessioni, da pagine e pagine di appunti sparsi Franca traeva un “distillato” in cui condensava il pensiero del marito -un pensiero a volte anche scompaginato ed eccentrico- per consegnarlo agli altri. Il loro lavoro era stretto al punto tale che, studiando le carte dell’archivio conservato sull’isola di San Servolo, è difficile distinguerle.

Dopo la morte di Franco Basaglia, nel 1980, in che modo Ongar0 ha continuato le sue lotte?
AV Nel 1982 è stata eletta senatrice nelle liste di Sinistra indipendente e ha svolto un ruolo determinante per l’assistenza psichiatrica in Italia: il 13 maggio 1978 era stata promulgata la legge 180, la cosiddetta “Legge Basaglia” che ha chiuso i manicomi, ma la norma era ancora largamente inapplicata. Le Regioni, a cui era delegato il compito di predisporre le strutture e i finanziamenti per la presa in carico delle persone, erano state inadempienti. La principale battaglia di Franca Ongaro è stata proprio quella di fare in modo che la legge 180 venisse messa in pratica nei territori: ha elaborato due disegni di legge che hanno gettato le basi per la creazione dei Dipartimenti di salute mentale e ha difeso la legge che porta il nome del marito dai tanti attacchi portati avanti da chi voleva riportare indietro le lancette dell’orologio. Franca Ongaro è stata tra i protagonisti di quella cultura dei diritti che ha lasciato tracce profonde nella storia del nostro Paese.

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