Interni / Intervista
“Pensavo che non avremmo mai dimenticato i giorni del Covid-19. Invece li abbiamo rimossi”

Cinque anni fa l’immagine dei camion militari che portavano le bare delle vittime del Covid-19 via da Bergamo faceva il giro del mondo. Resta aperto il processo per il mancato adeguamento del piano pandemico e la battaglia legale dei familiari. Ne abbiamo parlato con la giornalista Gessica Costanzo, tra le prime a seguire il caso dall’epicentro del contagio
Era il 18 marzo 2020 quando l’immagine dei camion militari che portavano 73 bare delle vittime del Covid-19 via da Bergamo, perché i forni crematori non riuscivano più a smaltirle, faceva il giro del mondo.
A distanza di cinque anni c’è ancora chi ne mette in dubbio la veridicità, come se quello che è successo nella città lombarda, che ha pagato il maggior numero di vittime in proporzione alla popolazione nella prima ondata della pandemia, non fosse vero o degno di rispetto. Ne abbiamo parlato con la giornalista Gessica Costanzo, direttrice di Valseriana News e autrice con Davide Sapienza del libro “La Valle nel virus”. È stata tra le prime a raccontare quello che stava succedendo nell’epicentro del contagio.
Costanzo, sono passati cinque anni e c’è ancora chi mette in discussione quell’immagine. Che cosa risponde?
GC Se fa riferimento alle frasi pronunciate in Commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza sanitaria Covid-19 da un sindacalista della polizia che, ricontattato da alcuni colleghi, ha detto di non avere prove di quanto detto, cioè che su ogni camion ci fosse solo una bara e di essersi basato sul sentito dire, beh, dico che queste teorie hanno stancato. Io non ero presente la sera in cui è stata scattata la fotografia, ma c’ero tutti gli altri giorni in Val Seriana e a Bergamo e le testimonianze dei familiari e soprattutto degli addetti alle pompe funebri erano che le bare non ci stavano più da nessuna parte. C’è chi ha tenuto i defunti in casa anche per tre giorni, l’ho sperimentato personalmente, perché nessuno veniva a prenderli. Stiamo parlando soprattutto di persone molto anziane che a un certo punto non avevano più accesso agli ospedali e non si sapeva chi chiamare, cosa fare. L’eccesso di mortalità è dimostrato anche dai dati Istat, che parlano di circa 6.300 morti dal 20 febbraio al 31 marzo 2020, duemila in più degli anni precedenti a Bergamo e provincia. Non è accettabile che chi testimonia davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta, che è uno strumento previsto dalla Costituzione, si basi sul sentito dire. A me, come cittadina, al di là delle responsabilità processuali, interessa che venga fatta un’analisi seria, innanzitutto per non negare quello che è successo, come invece sta accadendo, poi per capire come migliorarci dal punto di vista organizzativo, di pianificazione e sanitario. Analisi che è mancata su tutti i piani, a partire da quello politico, perché questa storia, sia a destra sia a sinistra, è stata strumentalizzata ed è una storia che ha causato migliaia di morti.
Se dovesse selezionare un solo ricordo di tutto quel periodo quale sceglierebbe?
GC Ogni momento in cui uscivo con il cane per ricevere certe telefonate. Non potevo parlare continuamente di morte con un bambino per casa di due anni e mezzo e visto che durante il lockdown si poteva uscire per portare a spasso il cane, quello era il momento in cui ascoltavo le persone che mi chiedevano aiuto e mi raccontavano che cosa stava succedendo. Ricordo che guardavo in alto e mi sembrava di non vivere più sotto lo stesso cielo, in quei momenti pensavo che il mondo non sarebbe mai più tornato alla normalità, era la mia paura più grande. “Com’è possibile che stiamo vivendo tutto questo?”, pensavo. Non ce ne possiamo dimenticare. Ed è un dovere di tutti non farlo, anche se lontano da Bergamo è stato meno pesante. Qui vivevamo in una bolla di terrore.

A distanza di cinque anni, anche alla luce delle indagini e dei procedimenti giudiziari, che idea si è fatta? Perché Bergamo?
GC Oggi abbiamo diverse spiegazioni, che si potevano ipotizzare all’epoca e che sono state più o meno acclarate o documentate. La prima riguarda i grandissimi flussi che abbiamo a livello commerciale ed economico con l’Oriente e il Nord Europa, prevalentemente con la Germania. Per cui oggi sappiamo che questo virus era già qui da mesi e che la Cina non aveva allertato, ma soprattutto Bergamo ha avuto un impatto così alto perché non è stata istituita la “zona rossa”. L’ha documentato sia la perizia di Andrea Crisanti, che ha parlato di 2.000-4.000 morti in meno, se si fosse chiuso a fine febbraio-inizio marzo, e lo documenta il fatto che le curve epidemiche di mortalità di Codogno e di Vo’ Euganeo, dove sono state fatte, invece, le zone rosse, sono nettamente inferiori a quelle di Bergamo. La responsabilità è politica ed è del Governo Conte e di Regione Lombardia, perché la politica forse ha ascoltato la spinta economica -per me legittima, perché l’imprenditore fa l’imprenditore- nonostante avesse gli strumenti per decidere diversamente. Perché il presidente di Regione Lombardia, Attilio Fontana, e l’ex ministro della Salute, Roberto Speranza, firmano il decreto per chiudere Codogno e dieci Comuni limitrofi lo stesso giorno in cui arriva la notizia che a 100 chilometri da lì, ad Alzano Lombardo, ci sono i primi due casi di Covid-19, ma in questo caso nessuno fa niente. E così le persone hanno continuato a morire, perché qui tutti hanno continuato a lavorare e girare, fino a fine marzo, quando viene chiusa tutta l’Italia. Non hanno voluto tutelare questo territorio, con quale grado di consapevolezza non so.
A livello giudiziario a che punto siamo?
GC Nell’aprile del 2020 parte l’inchiesta della Procura di Bergamo, che si chiude nel marzo 2022 con venti indagati. Il procedimento viene diviso in più filoni: quello per epidemia colposa e omicidio colposo finisce al Tribunale dei ministri, perché coinvolge l’ex presidente del Consiglio Conte e l’ex ministro Speranza, ma viene archiviato e di fatto le responsabilità non vengono analizzate. L’altro filone sul piano pandemico non aggiornato, invece, è ancora aperto al Tribunale penale di Roma. Recentemente sono stati rinviati a giudizio l’ex numero due dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), Ranieri Guerra, all’epoca direttore generale del ministero della Salute e due tecnici del ministero. La prima fase processuale entrerà nel vivo a breve. Ed è grazie alle denunce dei familiari delle vittime, se è partito questo filone: l’Italia non era pronta a gestire una pandemia e ora verranno accertate le responsabilità.
Adesso esiste un piano pandemico aggiornato?
GC Sì. È in discussione alla Conferenza Stato-Regioni, stanno definendo i passaggi tecnici. Poi vedremo come verrà recepito.
Poi c’è l’ambito civilistico.
GC Alcuni dei familiari di #Sereniesempreuniti associazione familiari delle vittime Covid-19 (a cui Costanzo cura la comunicazione, ndr) hanno chiesto il risarcimento danni al governo e alla Regione Lombardia, ma il procedimento va molto a rilento. #Sereniesempreuniti ha fatto anche ricorso alla Cedu, la Corte europea dei diritti dell’uomo, per violazione del diritto alla salute. Il procedimento è al secondo step e sono pochissimi i ricorsi che ci arrivano: ora il governo dovrà rispondere alle domande della Cedu e poi si capirà se andrà a giudizio o meno.
Sul territorio ci sono molte iniziative per l’anniversario, ma le persone vogliono ricordare?
GC Tranne le persone più strettamente segnate o chi ha intrapreso questa battaglia di giustizia, che è soprattutto di verità e memoria, devo dire di no. C’è stata una rimozione collettiva, si è ricominciato tutto subito, lasciandosi alle spalle quel periodo, senza un’analisi anche da un punto di vista psicologico. In parte lo capisco, è un meccanismo di difesa, quindi non condanno la mia gente, ma personalmente ho chiesto aiuto. Credo che il lavoro di documentazione che abbiamo fatto avrà senso più avanti, è stato importante lasciare traccia di quel momento.
Si è imparata la lezione da un punto di vista sanitario?
GC La situazione dei medici di base in Val Seriana è drammatica, tantissimi Comuni sono scoperti, gli ambulatori vengono aperti in maniera centellinata, bisogna prenotarsi con l’app e il nostro è un territorio prevalentemente di anziani. E purtroppo stanno peggiorando anche i servizi ospedalieri, non per colpa degli operatori o dei medici, ma delle scelte politiche. Il reparto di maternità dell’ospedale di Alzano non ha mai più riaperto e una ragazza della valle in procinto di partorire deve farsi almeno 30-40 chilometri di strade di montagna per arrivare in ospedale.
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