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Cultura e scienza / Intervista

Davide Sapienza. Una geografia intima

Davide Sapienza, classe 1963, vive a Songavazzo, un piccolo paese della Val Seriana ©shutterstock

Attraverso i suoi cammini geopoetici lo scrittore invita chi viaggia a esplorare e percepire i territori che attraversa. Per nutrire il pensiero con le emozioni e vivere esperienze “vere” in una società che ha messo al centro la velocità

Tratto da Altreconomia 251 — Settembre 2022

È un geopoeta, ma dice di non fare geopoesia, bensì geopoetica. Non fa teoria, insomma, e per spiegarti di che cosa si tratta prende a prestito quello che di solito si dice dello zen: “So cos’è, ma è difficile da spiegare, è qualcosa da praticare”. Parola di Davide Sapienza, 59 anni, già critico musicale, discografico, traduttore, scrittore e giornalista. Oltre che marito della cantante Cristina Donà, padre e -per l’appunto- geopoeta.

Sapienza, ci spiega che cos’è la geopoetica?
DS È l’unione di geo e di poíēsis, che in greco significa “il fare dal nulla”, la scintilla dell’immaginazione e della fantasia, con la Terra. È ciò che vedi nel territorio: percorrendolo, esplorandolo, vivendolo e soprattutto percependolo -la percezione è il vero sesto senso- arrivi a quello che io chiamo la “fotosintesi cerebrale”. Cioè, attraverso le percezioni e le emozioni dai nutrimento -come lo zucchero e la luce per le piante- al pensiero, soprattutto con quello che nella nostra società anaffettiva manca, ovvero l’aspetto emozionale del legame alle cose. Non è solo stare nel momento, il famoso “qui e ora”: bisogna percorrere il mondo con questo taglio. Io lo faccio, nella vita e nella scrittura.

Lei è famoso per essere autore di cammini e cronache geopoetiche. Che cosa sono?
DS I cammini geopoetici sono un’esperienza sensoriale e culturale di lettura di sé stessi nel paesaggio: in una società come la nostra, che non si permette più di non fare nulla -un tempo potevamo annoiarci- in cui si va veloci per non affrontare i problemi, c’è bisogno di esperienze vere. Percorro e racconto questi cammini, e se, leggendomi, a qualcuno viene voglia di andarci, ho raggiunto il mio obiettivo. Non si deve fare quello che dico io ma quello che si vuole e si sente: è la geografia che da fisica diventa intima. I miei non sono mai semplici reportage di descrizione, la montagna per me è un po’ una scusa per parlare di cose più profonde. La natura cambia in continuazione e questo cambiamento mi spinge a riflettere su come mutiamo noi umani. È una riflessione poetica in questo senso.

“La natura cambia in continuazione e questo cambiamento mi spinge a riflettere su come mutiamo noi umani. È una riflessione poetica in questo senso”

Sono più le vite che ha vissuto o i libri che ha scritto?
DS Ho vissuto solo una vita ma ho sempre cercato di seguire i miei orizzonti personali: dalla passione per il mondo della musica, per esempio, è venuto il lavoro di critico musicale, il primo libro al mondo sugli U2 e l’impegno da discografico. Ma ho sempre saputo di volermi dedicare alla scrittura. Fin da giovane componevo poesie e avevo una visione della natura diversa, per me gli elementi parlano, sono un animista. Non mi trovavo, finché ho scoperto autori come Herman Hesse, Bruce Chatwin e Barry Lopez. Tutto quello che avevo nella testa e che avevo scritto era anche nelle loro pagine.

Tanto da diventare il traduttore di Barry Lopez. Come ha fatto?
DS Fin da ragazzo ero innamorato dell’inglese, per la mia generazione la musica è stata importantissima: traducevo le canzoni in italiano e mio padre mi abbonò all’edizione americana di Rolling Stones. Poi sono sempre stato un grande lettore. Sono il traduttore di Jack London e ho scritto numerosi libri in inglese. Se sommiamo i miei a quelli tradotti arriviamo a una sessantina. Quando ho scoperto Lopez, ho pensato: “È così che voglio scrivere”. L’ho cercato subito e lui ha dato fiducia a un rockettaro, fino a chiedere che fossi io a tradurre il suo ultimo libro. Lo sto facendo: “Horizon” è il libro più importante degli ultimi trent’anni.

Il rifugio Coca, sulle Alpi Orobie in provincia di Bergamo. Il territorio della Val Seriana è stato analizzato e raccontato dal punto di vista geografico da Sapienza nel libro “La valle nel virus” © shutterstock

La “Valle nel virus”, il libro che ha scritto con la giornalista Gessica Costanzo sulla pandemia di Covid-19 in Val Seriana, sembra esulare un po’ dal suo percorso.
DS Per me niente è casuale. Abito in Val Seriana dal 1990 e conosco da anni Gessica e la sua serietà. Il libro è suo, io posso essere considerato il produttore, anche se ho scritto il capitolo iniziale, quello in cui spiego dov’è e come è fatta la Val Seriana. Se non guardi una mappa e non conosci il paesaggio non puoi capire: la Lombardia è la regione più inquinata d’Europa e un virus respiratorio dove poteva diffondersi se non qui? Il Cnr lo ha confermato ma i poeti arrivano prima della scienza, perché a differenza degli scienziati non devono dimostrare niente.

Ora a che cosa sta lavorando?
DS Oltre a Horizon, sto lavorando a un progetto per Bodo, la città norvegese Capitale europea della cultura 2024. Un progetto che comprenderà cammini geopoetici al circolo polare artico, una performance, un podcast e un poetic journal. E poi mi sto dedicando alla seconda serie del podcast “Nelle tracce del lupo” con Lorenzo Pavolini. Lopez diceva: “Devi sempre chiederti: a cosa servo io?”.

Che lupi racconta?
DS È un racconto nel viaggio con il lupo, che ci chiede come stiamo noi oggi. Orizzonti aperti che suggeriscono sviluppi inediti, nelle tracce selvatiche.

“La montagna è il luogo delle risorse per definizione, a partire dall’acqua, e questo ci deve far riflettere molto. È il granaio del futuro”

Negli anni Novanta lei si è trasferito in un Comune montano di 600 abitanti. Negli ultimi anni si registra un ritorno alla montagna specie dei giovani. Che cosa ne pensa? Che consigli dà loro?
DS Io ho scelto di vivere a Songavazzo (BG) per sentire lo spazio e il silenzio, oltre che per respirare aria pulita. La visione periferica è quella che permette di vedere davvero il mondo, secondo me. E quando cammino per le Alpi Orobie ho la sensazione di essere un privilegiato. Negli ultimi 10-15 anni noto come prima cosa una tendenza all’aumento dell’andare a camminare. E non è solo per via degli incentivi, che possono non sempre fare bene all’agricoltura di montagna. Camminando incontro sempre più coppie giovani che gestiscono le malghe o gli alpeggi ed è bellissimo il fatto che possano presidiare la montagna. Hanno un’espressione realizzata, quasi inconscia, gli leggi in faccia un senso di libertà. È un lavoro che richiede una dedizione totale e quello che mi viene da dire -ma dare consigli è presuntuoso- è che se hai una visione, se credi in una cosa, allora puoi realizzarla.

Che ruolo può giocare la montagna nel cambiamento climatico?
DS L’Italia si è dimenticata che il 43% della sua superficie è montuosa e che è fatta di province. Per fortuna la relazione con la terra e con il cibo non si è mai persa: ogni 30 chilometri abbiamo unicità straordinarie. La montagna è il luogo delle risorse per definizione, a partire dall’acqua, e questo ci deve far riflettere molto. È il granaio del futuro e la sua ruvidità ce lo ricorda, ma è stata devastata da questa classe politica. Mancano la competenza e l’amore, l’affettività per la terra. Basti pensare alle Olimpiadi di Milano-Cortina 2026. Consiglio di leggere la “Bolla olimpica” di Silvio La Corte (Mimesis edizioni): dimostra perché sarà una catastrofe economica e un colpo alla montagna. Ovviamente qualcuno ci guadagnerà. Sono decenni che idealisti come me propongono alternative per la realizzazione di un rapporto più intimo con la montagna: meno persone ma che per via di quel legame torneranno più spesso. La medicina è nella percezione.

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