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Luci e ombre del Pnrr sui servizi educativi all’infanzia

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Il Piano prevede risorse per 4,6 miliardi di euro ma non affronta il problema della formazione e degli stipendi di educatori e docenti. La rubrica a cura dell’Osservatorio internazionale per la coesione e l’inclusione sociale (OCIS)

Tratto da Altreconomia 256 — Febbraio 2023

Negli ultimi anni l’Italia ha compiuto una scelta di assoluta rilevanza: stanziare 4,6 miliardi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) per investimenti in asili nido e scuole dell’infanzia. Un obiettivo ambizioso: con tale cifra è possibile raddoppiare il tasso di copertura pubblica dei servizi alla primissima infanzia (zero-tre anni) che oggi si attesta al 15%, arrivando all’obiettivo del 33% fissato dal Pnrr.

L’attuazione di tale misura sta però proseguendo tra varie difficoltà. Proprio per sensibilizzare la politica rispetto alla centralità del tema, l’11 gennaio 2023 Alleanza per l’infanzia e la rete EducAzioni hanno pubblicato un documento sullo stato dei servizi educativi rivolti alla fascia d’età zero-sei anni per invitare il governo a intervenire.

Alcune delle attuali difficoltà sono legate alla capacità dei Comuni di progettare e realizzare servizi educativi come i nidi, che nel 2020 erano stati attivati solo dal 57% delle amministrazioni comunali. Per poter usufruire dei fondi, il Pnrr richiedeva agli enti locali una capacità di progettazione non indifferente. Tuttavia, nel decennio passato, il personale dei Comuni si è ridotto di circa un quarto, a causa del sostanziale blocco del turnover, così come si è contratta la capacità di spesa per via dei tagli nei trasferimenti statali.

È all’interno di questo quadro che dovrebbe avvenire il raddoppio dei posti nido disponibili ipotizzato dal Piano nazionale di ripresa e resilienza. Inoltre fino a ora non si è dedicata sufficiente attenzione alla programmazione di un numero adeguato di educatori da inserire in tali servizi.

Solo il 57% dei Comuni italiani nel 2020 avevano avviato asili nido sul proprio territorio

In contrasto con gli investimenti dedicati a costruzione e ristrutturazione degli spazi destinati a questi servizi, si osserva sia una carenza di docenti nella scuola dell’infanzia (con un previsto aggravamento nei prossimi dieci anni a causa dei pensionamenti già pianificati che ne dimezzeranno il numero) sia del grande fabbisogno di educatori per i nuovi servizi previsti dal Pnrr, stimabile in circa 32mila unità. A fronte di tali criticità non si coglie un’adeguata capacità propulsiva da parte del governo nazionale -né quello passato né quello attuale- verso una progettazione articolata e congiunta tra atenei, amministrazioni regionali ed enti locali affinché verga formato un numero sufficiente di educatori e docenti.

I problemi di scarsità di personale nei servizi educativi nella fascia d’età zero-tre anni vengono da lontano. È in corso da anni una forte crisi vocazionale. Le studentesse e gli studenti che accedono a questo percorso formativo sono in numero relativamente inferiore se confrontato con il fabbisogno. Inoltre la giungla contrattuale, le differenze salariali a seconda del gestore del servizio, le più basse retribuzioni rispetto agli insegnanti delle scuole dell’infanzia e primarie, assieme alle scarse opportunità di carriera, sono elementi che contribuiscono a creare una limitata attrattività del lavoro professionale in questi servizi.

Se l’Italia non riuscirà a sviluppare una strategia efficace che assicuri contemporaneamente migliori condizioni di lavoro e un aumento quantitativo degli educatori e delle educatrici, non solo si rischierà di costruire nidi per poi lasciarli vuoti, ma si metterà a repentaglio la qualità educativa del lavoro svolto all’interno di tali strutture.

Emmanuele Pavolini insegna Sociologia economica all’Università di Macerata ed è componente del Comitato scientifico di OCIS

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