Diritti / Intervista
Le famiglie di oggi e di ieri, un crocevia di fenomeni tra presunta “naturalità” e asimmetrie

Chiara Saraceno, sociologa e professoressa emerita dell’Università di Torino, è stata tra le prime in Italia ad aver studiato la famiglia e i suoi cambiamenti. Nel suo ultimo libro “La famiglia naturale non esiste” restituisce un quadro lucido dell’evoluzione dei ruoli all’interno delle relazioni familiari e nei rapporti di genere, analizzando resistenze e pregiudizi nella parità dei compiti familiari
La famiglia e le sue trasformazioni, Chiara Saraceno ha iniziato a studiarle nel 1969. È stata tra le prime in Italia, diventando sociologa nell’epoca in cui furono poste le basi della materia e gli studiosi provenivano da altre discipline, come la filosofia e l’economia. Fino al 2008 è stata docente di Sociologia della famiglia, prima presso l’Università di Trento e poi alla facoltà di Scienze politiche dell’Università di Torino di cui oggi è professoressa emerita.
Nel suo ultimo libro “La famiglia naturale non esiste”, pubblicato da Laterza a febbraio 2025, guidata dalle domande della giornalista Maria Novella De Luca, Saraceno parte dalle rivoluzioni dei consumi e delle tecnologie domestiche nel Dopoguerra e, passando per le lotte femministe e i fondamentali anni Settanta -in cui si ottiene la legge per il divorzio (la 898 del 1970), la legalizzazione della contraccezione (1971) e quella per l’aborto (legge 194 del 1978), e vengono poste le basi per l’abolizione del matrimonio riparatore e del delitto d’onore (1981)- arriva fino ad oggi, restituendoci un quadro lucido dell’evoluzione dei ruoli all’interno delle relazioni familiari da cui derivano i principali cambiamenti demografici e sociali del Paese.
L’ultimo tassello di questo lungo percorso lo fotografa invece l’Istat che grazie agli ultimi indicatori demografici pubblicati a fine marzo 2025 descrive le famiglie del presente come sempre più “strette”. La loro dimensione media è infatti scesa, in 20 anni, da 2,6 componenti agli attuali 2,2, a causa dell’aumento quasi del 42% di quelle unipersonali; con un calo importante del tasso di fecondità, che oggi è pari a 1,18 figli per donna e supera così il minimo storico di 1,19 del 1995, anno nel quale sono nati 526mila bambini contro i 370mila del 2024.
La famiglia, grazie e a partire da Saraceno, non smette dunque di essere al centro delle riflessioni, degli studi ma anche delle strumentalizzazioni di chi non ne riconosce le diverse forme che può assumere, attaccandosi a un’idea di “naturalità” che la sociologa mette in discussione.
Professoressa Saraceno perché ha scelto di studiare la famiglia?
CS Quando nel 1968 ho iniziato a lavorare come assistente all’Università di Trento si è verificata una congiuntura fortunata che ha incontrato il mio interesse e un momento storico in cui il movimento delle donne contestava radicalmente la divisione netta dei ruoli dentro la famiglia. Quindi al di là della denuncia bisognava cominciare a studiarla. È lì che ho capito che in Italia i dati statistici disponibili erano scarsissimi e così anche gli studi. La letteratura sociologica esistente era statunitense, francese o tedesca. Ed è stato interessante scoprire come un Paese così fortemente basato sul valore e sull’assetto familiare fosse così poco attento a studiarlo. Anche se poi ho capito che c’era una spiegazione: la famiglia faceva parte del dato per scontato, dell’ordine naturale dell’esistenza.
Per cui da un lato era difficile occuparsene e dall’altro era ritenuto non necessario se non quando non funzionava o era deviante. Eppure la famiglia è un crocevia, un contenitore di tantissimi altri fenomeni che riguardano non solo i rapporti uomo-donna e tra le generazioni ma anche come si forma l’offerta di lavoro, chi decide o può lavorare e quindi chi si trova a rischio di povertà, e ancora, come funziona il welfare, che cosa questo dà per scontato e che cosa no e così via. Come è definita e chi ne fa parte è inoltre una condizione per accedere a determinati benefici o diritti. Ad esempio, finché non riconosciamo la coppia genitoriale dello stesso sesso, non solo uno dei due genitori non avrà diritto al congedo ma il bambino avrà diritto a meno tempo genitoriale. Quindi sono definizioni giuridiche, quelle che riguardano la famiglia, che però hanno degli impatti reali sulla vita delle persone.
Lei scrive che si va sempre di più verso una divisione dei ruoli familiari che non è fondata sul sesso, ma sulle capacità, sulla predisposizione, sul desiderio. Eppure c’è ancora una resistenza alla parità dentro le famiglie. Che cosa ne pensa?
CS Il padre accudente è sicuramente una delle principali modifiche nel modello maschile. Il cambiamento nella paternità può essere quasi paragonato a quello dell’entrata delle donne nel mercato del lavoro che, in passato, è stato uno dei fattori che hanno comportato trasformazioni importanti nel modello di genere sia maschile sia femminile. Tuttavia rimane ancora un’asimmetria nella divisione del lavoro di cura che è maggiore nel caso in cui le donne sono casalinghe e minore quando hanno un’occupazione. Oggi il padre accudente viene definito “mammo” con un’accezione negativa, come se fosse uno debole. Dietro a questo c’è una preoccupazione che deriva da uno stereotipo nato con la famiglia borghese nucleare che ha creato questo squilibrio di genere non solo nella divisione del lavoro pratico ma anche nelle competenze relazionali e genitoriali.
Secondo questo preconcetto, infatti, nella maternità c’è l’accudimento, l’accoglienza, la simbiosi e quindi la permissività, l’incapacità di dettare la regola e nel paterno, che è distaccato e distante, c’è la norma, la legge. Eppure le madri, nella maggior parte dei casi, sono quelle che si occupano quotidianamente dei bambini fin dalla loro nascita e sono le prime a stabilire le regole, dal “non toccare lì, non si fa così, si mangia così” etc. Quello che, secondo me, deve eventualmente preoccupare nella società attuale non sono i padri accudenti, quanto i genitori che, non volendo essere autoritari, cessano anche di essere autorevoli, di assumersi la distinzione generazionale e si mettono al pari dei figli. Ma il figlio non è uguale al genitore, e non perché sia inferiore, ma perché il genitore ha la responsabilità di metterlo al mondo e non solo fisicamente, ma proprio nel senso di farlo stare al mondo.
Veniamo al cuore del suo ultimo libro, la famiglia naturale esiste?
CS Il problema è piuttosto che cosa si intende per famiglia naturale, cioè che cos’è la natura della famiglia? Questa era una questione che affannava anche gli antropologi che fino alla metà degli anni Settanta hanno cercato di capire se ci fosse un’unità minima comune alla varietà dei modi di fare famiglia. Ma poi hanno gettato la spugna. Neppure il legame madre/figlio ha un valore fondativo della famiglia in tutte le culture. Aggiungo che se anche noi guardiamo al modello della famiglia considerata oggi “standard” nella maggioranza dei Paesi, quindi quella che è caratterizzata dall’esistenza di una coppia di persone di sesso diverso, troveremo magari una stessa forma ma non uguali contenuti.
Quando, in “Amoris laetitia”, papa Francesco scrive, parlando proprio di famiglia naturale, che è fondata sull’amore in realtà fa riferimento a un tipo di famiglia che è quella contemporanea occidentale. Quello che per lui è naturale, in realtà è stato uno sviluppo avvenuto relativamente poco tempo fa. Il riconoscimento delle famiglie omogenitoriali è l’esito inevitabile, non solo delle loro lotte, ma anche di questa trasformazione. Se le famiglie oggi non sono più basate sulla convenienza e neanche sulla procreazione, come in passato, ma sull’amore, se questo è il fondamento che noi oggi ci aspettiamo, allora non c’è nessuna differenza tra una eterosessuale e una omosessuale. La vera questione è dunque stabilire quali sono i legami di corresponsabilità, di cura duratura nel tempo che meglio garantiscono sia la solidarietà sia l’autonomia e la libertà individuale.
Quali fenomeni studierebbe oggi se tornasse all’università?
CS Studierei le famiglie lunghe, cioè il fatto che si facciano pochi figli ma che più generazioni convivano nello stesso tempo. Si finisce per diventare, a volte, non solo genitori del proprio sposo o sposa, ma anche genitori della propria madre o del proprio padre, pur rimanendo però a lungo anche figli. Se avessi più tempo mi concentrerei su questo, non solo in relazione al rapporto generazionale ma anche in merito ai rapporti di intimità ovvero quando ci si trova nella situazione di rompere il tabù dell’intimità tra genitori e figli. Soprattutto tra figli maschi e madri, questo è un tabù fortissimo. Mentre un uomo accetta più facilmente le cure di una figlia, perché l’accudimento è visto come qualcosa di femminile. Penso che sarebbe un fenomeno interessante da approfondire in una società che invecchia e in cui queste situazioni sono sempre più frequenti.
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