Crisi climatica / Attualità
L’Italia è al primo posto in Europa per i costi sanitari delle centrali a gas
L’inquinamento generato dalla combustione di gas fossile ha causato malattie e morti precoci il cui costo sanitario nel 2019 è stato stimato a 2,1 miliardi di euro. Eppure nel 2021 sono stati proposti 48 nuovi gruppi di generazione elettrica. La denuncia contenuta in un rapporto curato da Heal, ReCommon e Isde
Nel 2019 l’inquinamento causato dalle centrali a gas per la produzione di energia elettrica nei Paesi dell’Unione europea e del Regno Unito ha avuto un costo sanitario stimato in 8,7 miliardi di euro. In questa poco invidiabile classifica, l’Italia occupa la prima posizione con una spesa di 2,1 miliardi di euro seguita da Germania (1,7 miliardi), Regno Unito (1,1 miliardi) e Francia (850 milioni di euro). Questi costi sono dovuti alle conseguenze dirette sulla salute provocate dall’inquinamento dell’aria originato da questa attività e che in Europa ha provocato oltre 2.800 decessi prematuri, circa 15mila casi di problemi respiratori in adulti e bambini, oltre 4.100 ricoveri ospedalieri e più di cinque milioni di giorni di produttività persi per malattia.
È quanto emerge dalla ricerca “False fix: the hidden impacts of Europe’s fossil gas dependency” (“Una falsa soluzione: gli effetti nascosti sulla salute della dipendenza europea dal gas fossile”) realizzata da Health and environmental alliance (Heal) e presentata dall’organizzazione il 26 gennaio in una conferenza stampa congiunta con Medici per l’ambiente-Isde e ReCommon. “Sebbene la generazione di energia dal carbone sia la forma maggiormente inquinante di produzione energetica, la combustione di gas fossile non è priva di capacità inquinante. I suoi effetti sulla salute e i costi sanitari che ne derivano sono stati enormemente sottostimati nei dibattiti pubblici e politici, ma non possono più essere ignorati -ha dichiarato Vlatka Matkovic, senior health and energy officer di Heal-. Continuare a dipendere dai gas fossili è nocivo, soprattutto perché le centrali elettriche si trovano in aree densamente popolate, nelle quali una moltitudine di persone viene minacciata dagli effetti dell’inquinamento dell’aria”.
Lo studio ha preso in considerazione i dati relativi alle centrali a gas attive nei 27 Paesi dell’Unione europea e nel Regno Unito (per un totale di 922 unità). Di queste 247 si trovano in Germania, 111 in Italia, 93 in Francia e 68 in Spagna. L’analisi ha poi preso in considerazione le singole sostanze emesse e l’Italia figura sempre ai primi posti: nel 2019 gli impianti a gas del nostro Paese hanno prodotto 255 tonnellate di polveri sottili (ci precede solo dal Regno Unito, con 318 tonnellate), 15.262 tonnellate di ossidi di azoto (contro le 22.453 del Regno Unito) e 1.219 tonnellate di ammoniaca. L’Italia si piazza poi al primo posto per quanto riguarda le emissioni di anidride solforosa, con 410 tonnellate (seguita dalla Francia con 372 tonnellate).
Oggi le centrali a gas attive in Italia (con una potenza pari a 41 GW) forniscono circa la metà del fabbisogno del Paese. Ma non ci sono “spegnimenti”, in vista: al contrario, a fine 2021 le principali società del settore avevano presentato proposte per l’attivazione di 48 nuovi gruppi di generazione elettrica. Oltre alla conversione di quattro impianti a carbone ancora in funzione (Monfalcone, Civitavecchia, Fiume Santo, Fusina) sono partiti lavori per potenziare l’impianto di Ostiglia (MN). “Il gas non è un combustibile di transizione, come sostiene l’industria fossile, ma un combustibile che fa ammalare e uccide -sottolinea Antonio Tricarico, campaigner e ricercatore di ReCommon-. Occorre poi ricordare che questi impianti possono beneficiare di importanti sussidi pubblici grazie al meccanismo del capacity market”.
Questa situazione è frutto di una scelta politica compiuta una ventina d’anni fa, come ricorda Agostino Di Ciaula, presidente del Comitato scientifico di Isde-Medici per l’ambiente: “La cosiddetta legge ‘Sblocca-centrali’ del 2002 ha semplificato enormemente l’iter autorizzativo per l’attivazione di centrali elettriche a gas: nel volgere di pochi anni entrarono in funzione 46 impianti -ricorda-. Oggi il nostro Paese deve sostenere i pesanti costi sanitari, che ricadono su tutti i cittadini, di questa scelta che già allora appariva insostenibile. Tutti i problemi che avevamo denunciato all’epoca, dall’inquinamento atmosferico ai rischi sanitari, si sono purtroppo concretizzati e ora stiamo ripetendo lo stesso errore”.
ReCommon ha inoltre analizzato l’impatto, in termini di emissioni, delle singole società: Enipower (del gruppo Eni) viene indicato come il principale “inquinatore” italiano: le sue centrali emettono infatti circa il 20% delle emissioni di ossidi di azoto di tutto il parco elettrico a gas del Paese. “È inaccettabile che lo Stato, che controlla il 30% della società, prima incassi i dividendi e poi si sobbarchi il cento per cento degli impatti sanitari delle centrali di Eni -conclude Tricarico-. La revisione del Piano nazionale per l’energia e il clima, prevista per il 2023, dovrebbe mirare ad adottare l’obiettivo di un sistema elettrico libero da fonti fossili entro il 2035 e sollecitare un’ordinata eliminazione del gas entro quella data”.
A fronte di questa situazione Heal, Isde e ReCommon chiedono l’adozione di un calendario ambizioso per il completo abbandono di tutti i combustibili fossili -compreso il gas- evitando di affidarsi a false soluzioni che rallenterebbero questo percorso e provocherebbero ulteriori danni al clima e alla salute delle persone. “Da un punto di vista sanitario non c’è nessun motivo per sostituire una fonte di combustibile inquinante (il carbone, ndr) con un’altra quando sono disponibili alternative più sane, più pulite e più economiche: le rinnovabili -sottolinea il report-. Tutti gli sforzi, compresi quelli finanziari, dovrebbero essere concentrati a raggiungere un’Unione europea al 100% rinnovabile ed efficiente dal punto di vista energetico nel più breve tempo possibile”.
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