Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Economia / Inchiesta

Inchiesta sui primi 15 anni di A2A, tra speculazione e servizi pubblici

In apertura la centrale termoelettrica A2A di Chivasso (Torino), affacciata sul Po. Ha una potenza installata di 1.237 MW e brucia gas fossile. È entrata in esercizio nel 2005 © Michele D’Ottavio / buenaVista photo

Nel gennaio 2008 nasceva la multiutility quotata in Borsa. Oggi è un colosso nazionale della produzione e vendita di energia e gas, e dell’incenerimento dei rifiuti. Che cosa c’è dietro l’immagine green e sostenibile della “Life company”

Tratto da Altreconomia 255 — Gennaio 2023

Sono passati esattamente 15 anni da quando è nata A2A Spa, la multiutility quotata in Borsa frutto della fusione tra le due ex società municipalizzate Aem, della città di Milano, e Asm, di Brescia, sancita il primo gennaio 2008. In occasione dell’anniversario è utile scattare un’istantanea delle attività di quello che oggi è diventato un colosso, i cui principali azionisti sono i Comuni di Milano e Brescia con il 25% a testa delle quote, mentre il restante 50% è in mano al mercato. Tra i soci privati ci sono anche grandi fondi esteri come BlackRock, Vanguard, M&G o propaggini di banche commerciali come JPMorgan o BNP Paribas. 

A2A non è più una vicenda solo lombarda: è infatti il primo operatore in Italia per tonnellate di rifiuti urbani trattati e inceneriti (da Brescia ad Acerra, da Bergamo a Milano, fino ad arrivare al forno di Corteolona, in provincia di Pavia), per volumetria di acqua riscaldata nelle reti urbane di teleriscaldamento (Milano, Sesto San Giovanni, Novate, Cassano d’Adda, Brescia, Bovezzo, Concesio, Bergamo e Varese), ma anche come secondo operatore per energia elettrica distribuita e per capacità installata da fonti di energia rinnovabili. È al nono posto per quota di popolazione servita nel ciclo idrico integrato e al quarto per energia elettrica venduta. L’agognata transizione ecologica del nostro Paese passerà dunque anche attraverso le azioni di A2A, attualmente guidata da Marco Patuano, presidente (già ad di Telecom Italia, Edizione Holding della famiglia Benetton, nel cda dell’Ac Milan fino al 2022), e da Renato Mazzoncini, amministratore delegato e direttore generale (già ad del Gruppo Ferrovie dello Stato). 

La società non perde occasione per promuovere di sé un’immagine fresca, sostenibile -ha sponsorizzato anche il Jova Beach Party 2022- e responsabile. “Ci mettiamo a disposizione delle nostre comunità e dei nostri clienti in tutto il Paese, attraverso servizi che sono parte della quotidianità e che possono contribuire concretamente al futuro sostenibile delle nuove generazioni -scrive sul suo portale-. Per loro promuoviamo la visione di un mondo più pulito, rispettoso dell’ambiente, dei territori e delle persone. Un cambio di prospettiva verso una nuova cultura della sostenibilità”. Questo spirito sarebbe riassunto nelle due parole che accompagnano ovunque il marchio della multiutility: “Life company”. 

Per vedere da vicino il “modello” industriale di A2A e misurare il concreto “cambio di prospettiva” verso la transizione energetica e l’economia circolare non ci si può però limitare a un logo o a un payoff. Occorre far parlare i bilanci e le relazioni della stessa società. L’ultima in ordine di tempo è la relazione semestrale al 30 giugno dello scorso anno. Nella prima metà del 2022 la società ha registrato a livello consolidato ricavi per circa 9,8 miliardi di euro. Erano 4,1 miliardi nello stesso periodo del 2021. L’esplosione dei fatturati rispetto al 2021 (+140%) è dovuta principalmente al “generalizzato incremento dello scenario energetico”, per usare le parole della multiutility. Tradotto: all’aumento speculativo dei prezzi sui mercati energetici all’ingrosso e su quelli retail di elettricità, gas e calore.

La quantità di rifiuti trattata da A2A all’interno del forno inceneritore di Acerra (Napoli) nel 2021 è di 732mila tonnellate. La struttura è di proprietà della Regione Campania e la multiutility lo gestisce su mandato del governo dal primo febbraio 2010

I settori in cui si muove A2A oggi sono cinque: “Generazione e trading”, “Mercato”, “Ambiente”, “Smart Infrastructures” e “Corporate”. Il primo sovrasta tutti gli altri in termini di ricavi (7,9 miliardi di euro sui 9,8 del periodo) e ha come obiettivo quello di gestire gli impianti di generazione “minimizzando i costi di esercizio e manutenzione” e “massimizzando il profitto derivante dalla gestione del portafoglio energetico attraverso l’attività di compravendita di energia elettrica, di combustibili (gassosi e non gassosi) e di titoli ambientali sui mercati all’ingrosso nazionali ed esteri”. Incluso “fare trading” sui mercati nazionali ed esteri “di tutte le commodities energetiche (gas, energia elettrica, titoli ambientali)”. La produzione netta di energia elettrica di A2A nel primo semestre 2022 si è attestata a quota 8.084 GWh, dietro solo a Enel ed Eni. L’80% di questa (6.477 GWh) è arrivata dalle centrali termoelettriche (da Piacenza a San Filippo del Mela, da Sermide a Ponti sul Mincio, da Chivasso a Monfalcone, e poi Cassano d’Adda, Gissi, Brindisi). E prevalentemente da quelle a ciclo combinato (a gas), seguite dagli impianti che bruciano ancora olio e carbone. Fonti fossili del tutto incompatibili con uno scenario di decarbonizzazione.

La produzione netta da fonti rinnovabili (1.607 GWh) ha registrato tra gennaio e giugno un tracollo del 30% rispetto al 2021, in particolare per gli effetti negativi sulla generazione idroelettrica della crisi idrica patita nel 2022. Ma se si sommano i GWh prodotti nei primi sei mesi del 2022 da A2A tramite impianti fotovoltaici (195 GWh) ed eolici (43) si supera di poco la sola produzione a olio (434). Nella generazione da prodotti petroliferi A2A non ha infatti confronti in Italia: come ricorda l’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (Arera) nella sua ultima relazione al Parlamento, nel 2021 il gigante ha assorbito quasi il 75% della produzione nazionale. La seconda in classifica, Saras, segue a grande distanza con appena l’11%, Enel è al 4,8%. In questo senso il “cambio di paradigma” di A2A appare quantomeno sfumato. 

In alto Renato Mazzoncini, amministratore delegato e direttore generale di A2A Spa. A fine novembre dello scorso anno ha manifestato il potenziale interesse della società per il forno inceneritore di Roma: “Quando ci sarà il Piano rifiuti della città vedremo” © Claudia Greco / Fotogramma

Poi c’è il settore “Mercato”, quello in cui la multiutility si occupa di vendere energia elettrica (10.456 GWh nei primi sei mesi del 2022 a oltre 1,4 milioni di clienti) e gas (1,5 miliardi di metri cubi a oltre 1,5 milioni di clienti), nel mercato libero così come in quello in regime di maggior tutela. Anche il comparto “Mercato” lo scorso anno ha visto esplodere i profitti per via dell’aumento dei prezzi di elettricità e gas. La società vende energia e gas attraverso la controllata A2A Energia (e anche con l’ex Acsm-Agam, oggi denominata Acinque), che con le sue sei sorelle-avversarie Acea Energia, Hera Comm, Eni Plenitude, Enel Energia, Edison Energia ed Engie Italia assorbe l’80% del mercato nazionale. E sono proprio queste società a esser finite sotto la lente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm), che a metà dicembre 2022 ha avviato nei loro confronti sette istruttorie e adottato altrettanti provvedimenti cautelari per presunte modifiche unilaterali illegittime del prezzo di fornitura di energia elettrica e di gas fossile. “Sulla base dei dati forniti dalle stesse imprese -ha detto l’Antitrust- risulta che i consumatori, i condomini e le microimprese interessati dalle comunicazioni di variazione delle condizioni economiche sono 7.546.963, di cui circa 2.667.127 avrebbero già subito un ingiustificato aumento di prezzo”. Il presidente di A2A Patuano ha difeso la società: “Siamo convinti di aver operato in assoluta buona fede”.

Il terzo ambito industriale in cui lavora A2A è quello dell’“Ambiente”, che comprende la raccolta rifiuti, l’igiene urbana, il “recupero” di energia e materia e infine i servizi alle imprese. I 714 milioni di euro di ricavi del settore nel primo semestre 2022 non sono paragonabili a quelli derivanti dalla produzione e dalla vendita di energia. A trainare anche in questo caso è stata la “dinamica molto positiva dei prezzi” di vendita di energia elettrica e calore degli impianti di incenerimento e l’incremento dei prezzi di conferimento dei rifiuti assimilabili agli urbani. Poi c’è l’unità “Smart Infrastructures”, dedita soprattutto allo sviluppo e alla gestione tecnico-operativa delle reti di distribuzione di energia elettrica (5.656 GWh nel primo semestre 2022), di trasporto e distribuzione di gas (1,7 miliardi di metri cubi nel periodo) e relativo servizio di misura tramite contatori. Quest’area -che registra un margine operativo lordo di oltre il 36% dei ricavi- ha in dote l’intero ciclo idrico integrato (36 milioni di metri cubi di acqua distribuita), così come la vendita di calore e di elettricità prodotti da impianti di A2A (e non) mediante reti di teleriscaldamento. Chiude la carrellata delle “business unit” quella “Corporate”, ovvero i servizi residuali di “guida, indirizzo strategico, coordinamento e controllo della gestione industriale” prestati alle singole unità del Gruppo.

Come per le attività svolte, anche il quadro degli investimenti rende un po’ più grigia l’immagine green della “Life company”. Stando alla relazione semestrale al 30 giugno 2022 del Gruppo, ammonterebbero infatti a 93 milioni di euro gli interventi di sviluppo e mantenimento degli impianti di distribuzione di energia elettrica, a 30 milioni quelli per lo sviluppo delle reti di teleriscaldamento -alimentate anche dagli inceneritori, con il contestato effetto di intrappolare interi territori ai forni, allungandone la vita-. A questi si aggiungono altri 94 milioni per investimenti sugli impianti di trattamento e smaltimento dei rifiuti, 43 milioni sulle centrali termoelettriche, sei milioni per quelle idroelettriche e solo otto milioni sugli impianti di energia da fonti rinnovabili.

Accanto a questa fotografia c’è spazio anche per un bilancio dell’operazione finanziaria di A2A e della sua “vita” in Borsa. Chi ci ha guadagnato? Una documentata risposta la fornisce Remo Valsecchi, che per oltre quarant’anni ha svolto l’attività di commercialista, revisore legale e consulente del lavoro. Per seguire il suo ragionamento è necessario fare un salto indietro alla fine degli anni Novanta. “È in quell’epoca che venne infatti incentivata la trasformazione delle vecchie municipalizzate in società per azioni, anche con consistenti agevolazioni fiscali -spiega Valsecchi-. Nacquero così tutte le società pubbliche di gestione dei servizi e tra queste anche Asm di Brescia, Aem di Milano e Amsa holding, che nel 2007 avviarono come detto una fusione per incorporazione in Aem che si perfezionò il primo gennaio 2008, assumendo la ragione sociale di A2A Spa”.

Il numero delle azioni e il capitale sociale sono rimasti sostanzialmente invariati da allora, che cosa significa? “Che la società non ha beneficiato di nuove risorse finalizzate al finanziamento degli investimenti -osserva Valsecchi-. È stata solo lo strumento per le manovre speculative finanziarie con acquisto e vendita di azioni da parte degli azionisti, investitori istituzionali o individuali”. In che senso? “Prendiamo ad esempio il patrimonio netto della società, che è pari alla differenza tra le attività e passività e rappresenta il valore contabile di proprietà dei soci. Nei bilanci delle società lo troviamo iscritto tra le passività perché, di fatto, è come se fosse un credito degli azionisti nei confronti della società. Bene, il patrimonio netto di A2A esistente alla data della fusione era pari a 3,7 miliardi di euro. Al 31 dicembre 2021, l’ultimo bilancio consolidato disponibile, questo è passato a 3,332 miliardi di euro, che in realtà si riduce di ulteriori 283 milioni di euro per effetti dei dividendi deliberati e distribuiti nel 2022”. Come ha fatto a diminuire? “Semplice: perché pur in presenza negli anni di perdite d’esercizio sono stati distribuiti dividendi per remunerare, sempre e comunque, gli azionisti. Detta in altra maniera: invece di distribuire parte degli utili sono stati distribuiti i crediti dei soci verso la società”. 

Parlano i dati. “Fino almeno al 2016 i dividendi staccati da A2A sono quasi sempre stati superiori al risultato dell’esercizio, che in varie occasioni è stato anche negativo. Eppure i dividendi sono stati distribuiti comunque e hanno assorbito le risorse finanziarie prodotte e parte delle riserve”. Sommando i dividendi che A2A ha pagato ai propri azionisti dal momento della fusione alla fine del 2021 si ottiene la cifra di 2,9 miliardi di euro. “Le società di gestione dei servizi pubblici hanno subìto un processo di privatizzazione motivato dalla necessità di maggiori investimenti, migliori servizi e minori costi per gli utenti -riflette Valsecchi-. Eppure la consistente distribuzione di dividendi talvolta anche superiore agli utili realizzati dimostra l’esatto contrario”.

A che cosa servono allora i finanziamenti, anche consistenti, che A2A contrae ogni anno? Per rispondere alla domanda Valsecchi scorre l’ultimo rendiconto finanziario relativo al 2021. Quell’anno la società ha contratto nuovi finanziamenti per 1,1 miliardi di euro. “Oltre 530,5 milioni sono serviti a rimborsare le rate dei finanziamenti in corso, 108,7 milioni per l’acquisto di azioni proprie, quasi 250 milioni per pagare i dividendi e nemmeno 46 milioni di euro, le briciole, per finanziare nuovi investimenti, quelli cioè non finanziati dai costi dell’utenza in bolletta”. È quella che Valsecchi chiama la “logica delle multiutility quotate in Borsa”. “Si è pensato in questo modo di finanziare le attività dei Comuni azionisti attraverso la cessione di parte delle azioni al mercato e ai privati, oltre alla partecipazione per circa il 50% dei dividendi distribuiti negli anni. C’è però un piccolo particolare: tutte queste entrate per i Comuni, che non hanno prodotto a mio parere alcun beneficio per la società, sono state prelevate dalle tasche degli utenti, cioè dei cittadini degli stessi Comuni soci. Perché non si è scelto di promuovere il benessere delle persone e dei territori con servizi qualificati e meno onerosi in bolletta, magari eliminando i dividendi e le fantasiose operazioni finanziarie che ho osservato e descritto?”. 

“Perché non si è scelto di promuovere il benessere delle persone e dei territori con servizi qualificati e meno onerosi?” – Remo Valsecchi

La “logica delle multiutility quotate in Borsa” si incrocia con il taglio dei trasferimenti da parte dello Stato agli enti locali negli ultimi dieci anni. Lo sa bene Corrado Conti, esperto di finanza pubblica, già dirigente al Bilancio della Provincia di Lecco e membro di Attac Italia (attac-italia.org). “I dividendi delle società partecipate non possono condizionare in alcun modo l’equilibrio finanziario dei Comuni. È assurdo pagare tariffe sempre più alte per garantire dividendi che servono ai Comuni per far fronte all’insufficienza dei trasferimenti erariali e che paradossalmente vanno a privati che speculano sul mercato finanziario”. Anche per questo motivo Conti, a nome di Attac Italia, auspica una “riforma radicale” della finanza locale basata su nuovi principi. “In questo senso va la campagna ‘Riprendiamoci il Comune’ che promuove, con il sostegno di tantissime realtà del Paese, due leggi di iniziativa popolare sulla riforma della finanza locale e sulla ripubblicizzazione della Cassa depositi e prestiti. Gli enti locali devono fare affidamento su risorse certe al di fuori dei mercati finanziari, fermando così la privatizzazione dei beni comuni naturali e di quelli sociali”. A questo, forse, dovrebbe tendere una vera “Life company”. 

Il 20 gennaio 2023 A2A ha inviato una replica alla nostra inchiesta che si può leggere integralmente qui

© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2024 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati