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Crisi climatica / Approfondimento

Fotografare le emissioni “invisibili” della raffineria Eni in Basilicata

La torcia del Centro Olio di Val d’Agri, utilizzata per la combustione dei gas di scarto prodotti nello stabilimento. Nel 2021 le analisi di ReCommon avevano individuato concentrazioni di composti organici volatili oltre i 250 microgrammi al metro cubo, pari a quelli di alcune delle città più inquinate al mondo, come Pechino © Giorgio Santoriello

Un monitoraggio di ReCommon svolto insieme a realtà locali mostra livelli elevati di inquinanti intorno al Centro Olio di Val Agri, gestito dal colosso fossile italiano. I rilievi delle agenzie pubbliche e dell’azienda sono messi in discussione

Tratto da Altreconomia 280 — Aprile 2025

Il gigante fossile Eni, la più importante multinazionale italiana, è conosciuto per le sue attività di ricerca e sfruttamento di petrolio e gas nei quattro angoli del Pianeta, tanto che l’azienda si vanta di essere “presente in 61 Paesi” dove impiega 32mila persone. Troppo spesso ci si dimentica però che Eni è molto attiva anche nel nostro Paese, in particolare in Basilicata, dove è impegnata a sfruttare da una trentina d’anni il più grande giacimento su terraferma dell’Europa occidentale. Le licenze concesse a Eni autorizzano l’estrazione di 104mila barili di petrolio al giorno, sebbene negli ultimi anni la produzione non superi le 40mila unità.

Una storia solo apparentemente di successo, se è vero che la Basilicata continua a essere una delle Regioni più povere d’Italia. Lo certificano numerosi dati, basta citarne alcuni particolarmente significativi estrapolati dai rapporti dell’Istat: nel decennio 2013-2023 ha perso 23mila giovani, mentre la decrescita demografica tra il 2011 e


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