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L’Italia accelera sui “nuovi Ogm” ma le soluzioni naturali alla crisi climatica in campo ci sono già

Sandy Ravaloniaina © Unsplash

Da Paese da sempre in prima linea nella lotta contro gli Organismi geneticamente modificati a pioniere delle Tecniche di evoluzione assistita (Tea). Dopo il caso del “RIS8imo” piantato in provincia di Pavia e sradicato a fine giugno, si affacciano altre due colture sperimentali, una vite e un pomodoro. Il punto della situazione, gli interessi sui brevetti e l’alternativa delle popolazioni evolutive e resilienti

A maggio di quest’anno è stato piantato per la prima volta in Italia un “nuovo Ogm”. Si chiama “RIS8imo”. È un riso a cui sono stati inattivati tre geni per ottenere la resistenza al brusone, una grave patologia fungina. La sperimentazione dell’Università Statale di Milano era stata autorizzata a marzo dal ministero dell’Ambiente. Oggi il campo, seminato a maggio a Mezzana Bigli (PV), non esiste più. Qualcuno tra il 20 e il 21 giugno è entrato e ha sradicato le piante.

Ma come ha fatto il nostro Paese, da sempre in prima linea nella lotta contro gli Ogm, a diventare uno dei più strenui sostenitori dei cosiddetti “nuovi Ogm”, arrivando ad autorizzarne persino la semina in campo aperto? Parte della risposta la si può trovare nel nome dato alle nuove tecniche di ingegneria genetica, New genomic techiniques (Ngt), che in italiano è stato tradotto con Tecniche di evoluzione assistita (Tea).

La narrazione di chi spinge per rompere l’argine costruito attraverso il principio di precauzione è che in laboratorio si sta riproducendo quello che già avviene in natura, solo in modo più rapido ed efficiente. Ma in gioco ci sono tre questioni non di poco conto: la sicurezza del cibo che arriva sulle nostre tavole, la proprietà intellettuale dei semi e, di conseguenza, la sovranità alimentare, cioè chi decide veramente cosa mangiamo.

Ma facciamo un passo indietro. Gli Ogm di prima generazione risalgono ai primi anni Settanta. Sono organismi geneticamente modificati attraverso l’introduzione nel Dna di geni di altre specie, per questo sono anche detti transgenici. Le Tea compaiono nei primi anni 2000, ma la vera rivoluzione arriva nel 2012 con lo sviluppo della tecnologia CRISPR/Cas9. A metterla a punto Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna, che hanno dimostrato come le “forbici molecolari” possono essere programmate per tagliare il Dna di qualsiasi cellula vivente, sia questa animale, umana o vegetale. Scoperta che nel 2020 gli è valsa il premio Nobel per la Chimica.

In pratica con le “forbici molecolari” si può editare direttamente il genoma di una pianta per “amplificare” o “silenziare” alcune funzioni, oppure inserire dei geni provenienti da altri organismi, ma della stessa specie. Non si parla più quindi di transgenesi, ma di cisgenesi o mutagenesi. Modificazioni considerate diverse da quelle dei vecchi Ogm perché potenzialmente simili a quelle che avvengono in natura. Ed è proprio su questa ipotetica somiglianza che si gioca la partita dei sostenitori dei nuovi Ogm. Ipotetica perché se alcune applicazioni producono effetti previsti, c’è sempre il rischio legato “a cambiamenti inattesi nella composizione della pianta che potrebbero dar luogo a problemi nutrizionali, di allergenicità e tossicità”. A dirlo è l’Agenzia francese per la sicurezza sanitaria dell’alimentazione, dell’ambiente e del lavoro (Anses).

In Italia è sempre prevalso il principio di precauzione e infatti la coltivazione di Ogm è ancora oggi completamente vietata. Ma a giugno del 2023 si è aperto uno spiraglio, senza neppure lo spazio per un dibattito pubblico. Grazie a un emendamento al Decreto siccità, presentato da Luca De Carlo (Fratelli d’Italia) e Raffaele Nevi (Forza Italia) del 30 maggio 2023, è stata autorizzata la sperimentazione in campo di piante sviluppate con le Tea per tutto il 2024 e prorogata quest’anno al 2025.

L’Italia accelera e per una volta anticipa l’Europa, dove il processo di deregolamentazione è avviato ma tuttora in corso. Il 7 febbraio il Parlamento europeo ha infatti approvato il nuovo regolamento della Commissione che smantella la Direttiva 2001/18, eliminando le misure di tracciabilità, etichettatura e valutazione del rischio per una certa categoria di piante modificate con le Tecniche di evoluzione assistita. Per arrivare al testo definitivo manca ancora però il parere del Consiglio dell’Ue, cioè dei ministri dell’Agricoltura degli Stati membri.

“Le Ngt sono fondamentali per rafforzare la sicurezza alimentare dell’Europa e rendere più verde la nostra produzione agricola”, ha detto la relatrice Jessica Polfjärd (Partito popolare europeo) subito dopo il voto a Strasburgo.

Già negli anni Novanta gli Ogm venivano pubblicizzati con la promessa di creare colture in grado di sconfiggere la fame nel mondo, ridurre l’uso di insetticidi e semplificare il lavoro agli agricoltori. Ma nulla di tutto questo si è avverato. Le persone che soffrono la fame, secondo la Fao, negli ultimi anni sono aumentate anziché diminuire. La quantità di principi attivi è raddoppiata e le piante che sono diventate più resistenti sono le infestanti.

I Paesi contrari ai nuovi Ogm in Ue, tra cui Polonia e Ungheria, temono un’ondata di brevetti già oggi richiesti dalle più grandi multinazionali, come dimostra un report del Centro Internazionale Crocevia: Bayer-Monsanto, Corteva, Basf e Syngenta hanno depositato 139 brevetti in Ue e non aspettano altro che la deregulation. Dare la possibilità di brevettare i semi realizzati con le Tea e togliere l’obbligo di tracciabilità significa capovolgere l’onere della prova: l’azienda proprietaria del seme potrà infatti imputare il furto del brevetto al contadino, a cui in realtà è stato contaminato il campo. Toccherà a lui dimostrare di non aver rubato niente e di essere al contrario il soggetto leso.

Francesco Panié di Crocevia è autore insieme al collega Stefano Mori del libro “Perché fermare i nuovi Ogm”. Durante un incontro a Cascina Caremma di Beseate (MI) organizzato da La Terra Trema quest’estate ha spiegato come mai non si dovrebbero liberalizzare le Tea. Le preoccupazioni riguardano i brevetti ma anche questioni sanitarie e ambientali. In particolare, c’è il problema della “biocontaminazione che questi Ogm non tracciati possono causare e l’impossibilità per i consumatori di evitarli nelle loro scelte di acquisto”.

Per Gabriele Barrocu di Associazione Rurale Italiana (Ari) “l’Italia ha perso la leadership mondiale di Paese libero da Ogm. Per di più senza nessuna discussione pubblica, nessuna valutazione seria dei rischi, in particolare relativi ai danni economici dei settori come biologico, Dop e Igp”. Per questo Ari sta proponendo ai Comuni una delibera per vietare la sperimentazione dei Tea in difesa della biodiversità.

L’incontro a Cascina Caremma organizzato da La Terra Trema

Sull’altro fronte invece “si continua a lavorare alla sperimentazione in campo delle Tea senza trasparenza, con colture forse già rilasciate, forse no, senza parere del ministero dell’Ambiente”, fa sapere Panié. Il riferimento è a due colture sperimentali -una vite e un pomodoro- pubblicate sul registro europeo dei campi prova ma di cui non c’è traccia né dell’autorizzazione del ministero né della valutazione del rischio dell’Ispra. Per questo il primo luglio è stata presentata da Angelo Bonelli di Alleanza Verdi e Sinistra un’interrogazione parlamentare di cui si è al momento ancor in attesa di risposta.

Ma in realtà delle soluzioni naturali al cambiamento climatico in campo ci sarebbero già, solo che chi ha potere decisionale ha scelto di puntare su altro. Si chiamano popolazioni evolutive, sono state sviluppate dal genetista Salvatore Ceccarelli e si basano sul miglioramento genetico partecipativo. Le principali caratteristiche delle popolazioni sono la gestione del seme da parte del contadino e la loro estrema adattabilità alle condizioni territoriali e climatiche.

Giuseppe Li Rosi è custode di semi e fondatore di Simenza, associazione per la tutela della biodiversità siciliana. Da quattordici anni usa le popolazioni per far rinascere sementi locali da dare a una rete di agricoltori che le coltivano in biologico. Quest’anno, per la siccità estrema che ha colpito e sta colpendo la Sicilia, negli appezzamenti dove non è arrivata neppure una goccia d’acqua ha perso buona parte del raccolto. “Ma in quelli toccati dalle rare piogge che hanno sfiorato l’isola, la resa per ettaro ha retto il colpo. Questo è un dato molto positivo -dice Li Rosi-. In più quei chicchi per me rappresentano un patrimonio genetico: l’anno prossimo avremo un seme naturalmente pronto a rispondere a un nuovo eventuale fenomeno siccitoso”.

Visti i risultati con il frumento, la Rete Semi Rurali dal 2017 ha attivato il programma “Riso Resiliente” per creare una popolazione evolutiva di riso. Il risultato è che oggi ci sono due aziende del Biodistretto del riso piemontese che la producono. Non solo, entro luglio -fa sapere Daniela Ponzini- verrà notificato al ministero che è stato costituito un nuovo materiale eterogeneo di riso, il primo in Italia. Se entro sessanta giorni non riceveranno obiezioni, si avrà a disposizione una nuova semente adatta al biologico e in grado di rispondere ai cambiamenti climatici.

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