Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Ambiente / Opinioni

Il ritorno degli Ogm. L’alternativa è in campo

Nuove tecnologie si affacciano sulla scena agricola promettendo rivoluzioni genetiche. Un film già visto. Un altro modello di ricerca e innovazione è possibile. La rubrica della “Rete Semi Rurali” a cura di Riccardo Bocci

Tratto da Altreconomia 234 — Febbraio 2021
© Chuttersnap - Unsplash

Vi ricordate degli Ogm? Sembra un argomento datato, fuori moda, ma una nuova ondata di modernizzazione scientifica sta per travolgere il mondo agricolo. Venti anni fa la retorica degli Ogm prometteva un futuro fatto di colture transgeniche di prima generazione (le piante resistenti agli insetti e tolleranti gli erbicidi), di seconda (resistenti a stress biotici e abiotici) e di terza (produttrici di medicine e vaccini). Poi quella realtà non si è realizzata (solo la prima generazione è arrivata sul mercato) e l’agricoltura è sopravvissuta anche se solo una piccola parte dei sistemi agrari ha sposato il transgenico. Nessuno, però, si è preso la briga di confrontare le profezie con i risultati e oggi una nuova tecnologia è all’orizzonte, venduta anche questa come una rivoluzione inarrestabile e foriera di un radioso futuro per l’agricoltura.

21 milioni di euro: la somma investita dal ministero delle Politiche agricole per sviluppare in Italia la ricerca sugli Nbt

Stiamo parlando delle nuove tecnologie di miglioramento genetico vegetale, note con l’acronimo inglese di Nbt (New plant breeding techniques). Certificato il fallimento degli Ogm classici, gli Nbt stanno entrando con forza nel panorama politico per rinverdire un logorato paradigma riduzionista e, ovviamente, risolvere i problemi mondiali dell’agricoltura. In questa narrazione la ricerca agricola è presentata come un modello lineare verso il progresso, senza spazio per strade alternative. O si scelgono le Nbt o si perde il treno della competizione globale e si chiudono le porte all’innovazione. Ma c’è un problema. La Corte di giustizia europea nel 2018 ha equiparato le Nbt agli Ogm, prevedendo lo stesso iter autorizzativo. Con un’aggravante: legare Ogm a Nbt vuol dire a livello mediatico rischiare di avere la stessa diffidenza da parte dei cittadini. Ecco allora che il mondo scientifico si sta organizzando per evitare gli errori di comunicazione del passato. Intanto un bel cambio di nome per renderle più appetibili: Tea, Tecniche di evoluzione assistita. E poi incontri e pressioni con politici e sindacati per favorirne l’accettabilità e aprire i cordoni della borsa. Non va dimenticato che lo sviluppo di queste tecnologie ha bisogno di forti investimenti in ricerca.

I primi a capitolare sono stati i sindacati. Anche la Coldiretti, ferma avversaria degli Ogm, ha firmato nel gennaio 2020 un accordo strategico con la Società di genetica agraria (Siga) finalizzato a cambiare la normativa europea per non equiparare Nbt a Ogm e aprire alla sperimentazione in campo.

Il mondo politico non si è fatto attendere. Nel dibattito parlamentare di fine 2020, su una serie di decreti legislativi sulle sementi è emerso chiaramente l’indirizzo della politica: “Farsi promotore in sede comunitaria di una iniziativa legislativa per poter disciplinare in maniera diversa Ogm e Nbt, come strumento necessario a tutelare il modello di agricoltura del nostro Paese e al tempo stesso a non impedire e anzi sostenere i processi di ricerca e sperimentazione strategici per garantirne prospettiva e sostenibilità”. Le conclusioni dei lavori della Commissione agricoltura del Senato nel luglio 2020, inoltre, impegnano il governo a “indirizzare la ricerca pubblica sulle Nbt nella direzione delle varietà vegetali locali […] al fine di ripristinare e preservare la biodiversità agricola”. La quadratura del cerchio è compiuta: le Nbt non sono solo l’unico progresso possibile ma anche la strada per conservare la diversità agricola.

La partita, però, è appena iniziata. Il diverso modello di ricerca e innovazione -partecipato, decentralizzato e non riduzionista- che sta emergendo nelle campagne è lì a dimostrare che una narrazione alternativa esiste. Va solo ascoltata.

Riccardo Bocci è agronomo. Dal 2014 è direttore tecnico della Rete Semi Rurali, rete di associazioni attive nella gestione dinamica della biodiversità agricola

© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.