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Crisi climatica / Approfondimento

La prima valutazione completa e aggiornata sulle tecniche di rimozione della CO₂

© Chris Leboutillier - Unsplash

Un rapporto coordinato dall’Università di Oxford e pubblicato a inizio anno ha raccolto e analizzato dati e informazioni sulle tecniche di rimozione dell’anidride carbonica il loro utilizzo e livello di sviluppo, e il loro apporto alle strategie di mitigazione. Ecco che cosa è emerso e come si inserisce nel processo di decarbonizzazione

I cambiamenti in atto nel clima sono il risultato diretto dell’aumento dell’anidride carbonica nell’atmosfera. Per questo, l’idea alla base delle attuali strategie di mitigazione dei cambiamenti climatici è ridurre le emissioni di CO₂ e, possibilmente, eliminare una parte di questo gas dall’atmosfera.

I modi per rimuovere l’anidride carbonica dall’aria sono diversi: alcuni fanno già parte delle politiche climatiche adottate da diversi Paesi, come la piantumazione di alberi; altri sono invece progetti di nuove soluzioni tecnologiche per la maggior parte ancora in fase di sperimentazione. Un rapporto coordinato dall’Università di Oxford, pubblicato lo scorso gennaio, ha raccolto e analizzato dati e informazioni per realizzare la prima valutazione completa e aggiornata sulle tecniche di rimozione della CO₂ (Carbon dioxide removal – Cdr), il loro utilizzo e livello di sviluppo, e il loro apporto alle strategie di mitigazione. Per la definizione di Cdr il report si rifà al Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (Ipcc) che la definisce come “attività messe in atto dal genere umano per catturare CO₂ dall’aria e immagazzinarla nella terra, nell’oceano, in formazioni geologiche o in prodotti”. Il testo inoltre specifica che l’anidride carbonica catturata deve provenire dall’atmosfera, non da fonti fossili, e lo stoccaggio successivo deve essere di lungo periodo, decenni o millenni, in modo che la CO₂ non venga reintrodotta in breve tempo nell’atmosfera. Non tutti i metodi di rimozione di CO₂ rispettano questi criteri.

Secondo il documento, attualmente vengono rimosse dall’atmosfera, tramite queste attività, circa due miliardi di tonnellate di CO₂ all’anno. Di queste, la quasi totalità (il 99,9%) viene rimossa attraverso tecniche di Cdr definite convenzionali legate all’utilizzo e alla gestione del suolo, principalmente attraverso l’espansione della superficie coperta da foreste e la gestione sostenibile di quelle esistenti. Solo lo 0,1% è invece rimossa da nuovi strumenti di Cdr come bioenergia con cattura e stoccaggio del carbonio (Beccs), il carbone vegetale biochar, la cattura e lo stoccaggio diretto del carbonio dall’aria (Daccs). Cifre che rimangono piuttosto basse e rappresentano solo il 5% dei circa 40 miliardi di tonnellate di CO₂ all’anno attualmente emesse. Per questo -suggerisce il report– oltre ad una accelerazione nella riduzione delle emissioni, è necessario aumentare la Cdr convenzionale e sviluppare nuove tecnologie di rimozione.

Sulla base dei risultati forniti dall’Ipcc, per limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C è necessario raggiungere emissioni nette di CO₂ pari a zero intorno alla metà del secolo. Significa che le emissioni rilasciate in atmosfera dovranno essere bilanciate dalla stessa quantità di rimozioni. “Gli scenari futuri indicano che la Cdr sia una condizione necessaria ma non sufficiente per raggiungere la neutralità climatica, essa stessa necessaria per rispettare gli Accordi di Parigi”, spiega Massimo Tavoni, professore di Economia ambientale al Politecnico di Milano e tra gli autori del terzo volume, Mitigazione dei cambiamenti climatici, del Sesto rapporto di valutazione dell’Ipcc.

La Cdr convenzionale è già attuata su larga scala. I rimboschimenti, la gestione sostenibile delle foreste e del carbonio nel suolo sono considerate valide opportunità che possono apportare benefici alla biodiversità, ma che sono comunque limitati dalla disponibilità di suolo e minacciati da eventi di disturbo -come gli incendi, per esempio- che potrebbero liberare in atmosfera il carbonio intrappolato dagli alberi e dai suoli. Secondo il report dell’Università di Oxford, queste strategie avranno ancora un ruolo predominante almeno fino al 2030 con possibilità di raddoppiare la capacità di assorbimento. “La rimozione della CO₂ è necessaria per compensare le emissioni che saranno difficili o impossibili da abbattere, come alcune emissioni dal settore agricolo o dall’industria pesante, e per assorbire la CO₂ in eccesso e pertanto ristabilizzare il clima”, continua Tavoni.

Diversi rapporti pubblicati nel corso del 2022 hanno evidenziato che gli impegni di riduzione delle emissioni presi dai Paesi che hanno firmato gli accordi di Parigi non sono sufficienti a limitare l’aumento della temperatura a 1,5 °C. Secondo l’Ipcc, se l’aumento della temperatura globale dovesse superare 1,5 °C –overshoot– per evitare gli impatti più gravi dei cambiamenti climatici il superamento dovrà essere solo temporaneo. Le strategie di Cdr sono quindi proposte come possibilità per ridurre la CO₂ in eccesso entro livelli sicuri, abbassare la temperatura media globale e riportare il clima in condizioni di stabilità.

L’Università di Oxford ha provato a calcolare quanta rimozione di CO₂ sarà necessaria. Se tra il 2020 e il 2030 il contributo maggiore alla mitigazione viene dalla riduzione delle emissioni, per i ricercatori la Cdr diventerà più importante nel lungo periodo. Nei percorsi che limitano il riscaldamento a 1,5°C o 2°C la quantità di CO₂ che è necessario rimuovere con la Cdr cresce fino a quasi cinque miliardi di tonnellate all’anno, entro il 2050.

Ma gli attuali impegni di riduzione delle emissioni dei Paesi, i Nationally determined contributions – Ndcs, prevedono di rimuovere entro il 2030 solo tra i 100 e i 650 milioni di tonnellate all’anno; più a lungo termine, entro il 2050, gli impegni solo di pochi Paesi stabiliscono una rimozione che varia dal miliardo e mezzo a poco più di due miliardi all’anno. È possibile limitare la dipendenza da un eccessivo uso di Cdr, come suggerito anche dall’Ipcc, aumentando le energie rinnovabili, riducendo la domanda di energia e limitando sempre di più i combustibili fossili. Meno CO₂ raggiungerà l’atmosfera, minore sarà la quantità che dovremo toglierne.

Per Massimo Tavoni, “la Cdr non deve sostituire la riduzione di emissioni tramite metodi tradizionali, ossia lo sviluppo delle rinnovabili. Dovrà essere complementare. Ad oggi tutti i metodi Cdr sono più costosi delle tecnologie verdi, quindi non hanno senso economico. Sicuramente abbiamo bisogno di ricerca su questo tema e anche di istituzioni e politiche che ne regolino gli incentivi, in modo da rendere la Cdr complemento e non sostituito della mitigazione”.

I governi stanno investendo nella Cdr. I dati raccolti dal report indicano che tra il 2010 e il 2022 sono stati destinati finanziamenti pubblici pari a circa 4,1 miliardi di dollari in questo settore. Gli Stati Uniti sono il Paese che sta investendo maggiormente (3,5 miliardi), mentre la Cina è al primo posto per il numero di brevetti registrati per queste tecnologie. Il report cita diverse aziende e gruppi industriali che hanno fatto annunci ambiziosi sullo sviluppo di strategie di Cdr, in particolare per Daccs, biochar e Beccs: l’European Biochar Industry Consortium, un gruppo industriale del biochar, Drax Global, azienda energetica britannica, e il produttore di energia elettrica in Svezia, Stockholm Exergi. Ma anche Chevron e ExxonMobil hanno investimenti in queste tecnologie. Nonostante questo, lo sviluppo industriale è attualmente molto inferiore ai potenziali obiettivi e resta da vedere se le aziende saranno in grado di raggiungerli.

Seppur l’attenzione verso queste strategie continui ad aumentare, c’è ancora un certo scetticismo sulla potenziale efficacia soprattutto dei più innovativi metodi della Cdr. La maggior parte sono ancora in fase iniziale di sviluppo: i costi sono ancora molto elevati, i benefici incerti e i rischi non del tutto conosciuti. Il ricorso su larga scala di queste tecnologie è ancora problematico a causa di questa elevata incertezza, inoltre pone una questione di giustizia sociale: “la Cdr permette una transizione più graduale, con minori rischi per gli investimenti legati alle fonti fossili e di aumenti di prezzi, anche al consumo. Questo è un beneficio sociale. Tuttavia, l’uso di Cdr aumenta le ingiustizie intergenerazionali. L’utilizzo della Cdr sposta lo sforzo di riduzione di emissioni avanti nel tempo, quindi su generazioni future che dovranno anche gestire i maggiori rischi climatici. Bisognerà vedere chi farà la Cdr. Probabilmente saranno grossi gruppi industriali che già operano nel settore fossile, o nuove società. In entrambi i casi, a vantaggio di pochi”, conclude Tavoni.

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