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Crisi climatica / Approfondimento

L’illusione dell’idrogeno “verde” che non aiuta la transizione in Europa

© Mike Benna, unsplash

Le multinazionali europee del gas puntano sullo sviluppo di pipeline con un piano da oltre 80 miliardi di euro. Ma non è detto che la produzione di questa forma di energia abbia un minore impatto sull’ambiente. A partire dall’acqua

Tratto da Altreconomia 252 — Ottobre 2022

L’idrogeno è tra le “soluzioni” alla crisi climatica più amate dalle corporation fossili e su cui fanno perno le diverse strategie per la decarbonizzazione dell’Unione europea. Non fa eccezione “RePower Eu”, il pacchetto di strategie presentato lo scorso maggio e orientato a “liberare” l’Unione dalla dipendenza dalla Russia per le forniture di gas, petrolio e carbone, ma anche da altre materie prime, entro il 2030. L’Ue fa riferimento all’idrogeno per lo più in maniera neutra, senza cioè specificare come o dove dovrà essere prodotto, con l’ambizione di arrivare a un’Europa decarbonizzata nel 2050 in cui l’unico idrogeno utilizzato sarà quello “verde”, ma aprendo nel frattempo a idrogeno di vari tipi. 

Ridurre le emissioni di CO2 -ammesso che l’impatto sia reale- è solo un aspetto della questione energetica, e non è detto che sia sinonimo di minori impatti sull’ambiente o che contribuisca alla costruzione di un modello energetico e produttivo più sostenibile, democratico e giusto. Non è un caso che le principali imprese del gas europee, tra cui spicca l’italiana Snam, abbiano aspettato solo qualche giorno dall’uscita di “RePower Eu” per presentare il loro piano, la European hydrogen backbone initiative (Hbe), che mette nero su bianco quali sarebbero gli investimenti necessari a concretizzare “una visione condivisa” (quella delle corporation del gas appunto) per “un’Europa climate-neutral”, resa possibile da “un fiorente mercato dell’idrogeno rinnovabile e a basse emissioni di carbonio”. 

Il piano è quello di creare le infrastrutture necessarie per sviluppare un mercato dell’idrogeno e Snam è in prima fila in questo processo, controllando gran parte delle infrastrutture, con i suoi oltre 50mila chilometri di gasdotti di cui vuole completare il retrofitting per adattarli al trasporto proprio dell’idrogeno. L’obiettivo delle corporation non è la decarbonizzazione né tanto meno la sostenibilità, ma la produzione di idrogeno di ogni colore (non solo “verde”) e non solo per alcuni settori difficili da decarbonizzare. 

Un piano da 80-143 miliardi di euro, che secondo Snam e le sue consorelle si può strutturare su ben cinque corridoi, o rotte, di importazione da completarsi entro il 2030, con un perno importante proprio in alcune delle infrastrutture di importazione controllate dalla società italiana, come il gasdotto TransMed, Trans Austria gas (Tag), l’interconnessione Italia-Slovenia-Ungheria e Trans adriatic pipeline (Tap), che andrebbero riadattate con risorse pubbliche per renderle pronte al trasporto di una quantità minima di idrogeno.

© Gabriel Vigorito

Gli sviluppi degli ultimi mesi rendono sempre più chiaro che gli interessi mossi dalla prospettiva di un “mercato dell’idrogeno” guardano al profitto e alla possibilità di utilizzare le risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza -anche sfruttando le modifiche attuabili grazie a “RePower Eu”- più che a una soluzione sostenibile per la crisi climatica. 

I dati sulla sostenibilità della filiera dell’idrogeno “verde”, contenuti nel rapporto “Studio sulla sostenibilità economica della filiera di produzione dell’idrogeno verde per una hydrogen backbone italiana” aprono diversi interrogativi. Secondo il rapporto, pubblicato il 28 luglio e che si basa su una ricerca elaborata da Leonardo Setti (Università di Bologna) e Sofia Sandri (Centro per le comunità solari) per ReCommon, il punto di partenza è chiarire di quale filiera dell’idrogeno parliamo, come verrà costruita, quali saranno i suoi impatti e quanto sarà sostenibile. 

L’obiettivo delle corporation non è la sostenibilità ma la produzione di idrogeno e non solo per i settori difficili da decarbonizzare

Per ora l’unico riferimento sono tre modelli, solamente teorici, previsti dal governo italiano per la produzione di idrogeno “verde”. Le variabili che distinguono i tre modelli hanno a che fare con alcuni aspetti cruciali: se l’energia rinnovabile e l’idrogeno vengono prodotte nello stesso sito dove quest’ultimo verrà utilizzato, oppure se l’energia o l’idrogeno, o entrambi, devono essere trasportati su distanze anche di migliaia di chilometri, allungando “fisicamente” la filiera, come propongono Snam e le sue consorelle europee. Vi è poi una quarta possibilità: ovvero quella che non ci sia lo spazio fisico sufficiente a produrre sia l’energia rinnovabile necessaria sia l’idrogeno per raggiungere le quantità stimate dal governo italiano e dalla Commissione europea nei piani di decarbonizzazione sopra nominati, per cui questo combustibile dovrà necessariamente essere importato da Paesi esterni all’Unione europea. Paesi come l’Ucraina, dove secondo la Commissione Ue l’idrogeno potrebbe “derivare” da energia nucleare: “non-fossile”, ma tutto fuorché sostenibile.

Sman gestisce 50mila chilometri di gasdotti e sta lavorando per completarne il retrofitting e adattarli così al trasporto dell’idrogeno. La società italiana è in prima fila nell’European hydrogen backbone initiative

Scopriamo così che il trasporto su lunga distanza dell’idrogeno porta con sé un dispendio di energia importante: per trasportarlo serve una potenza di compressione circa tre volte maggiore rispetto a quella dei normali gasdotti, ammesso che il trasporto di idrogeno al 100% divenga realmente fattibile. Se consideriamo l’attuale sistema di distribuzione del gas fossile tramite gasdotti in Italia, per mantenere un pari flusso energetico in una eventuale pipeline di idrogeno occorrerebbero circa 20 TWh di energia elettrica solo per alimentare i ricompressori, cioè l’equivalente di quanto viene prodotto da circa 20 GW di impianti fotovoltaici, che corrispondono alla potenza fotovoltaica installata attualmente in Italia. Serve energia anche per stoccare, comprimere e trasportare l’idrogeno, tanto più se in forma liquida, così come è necessaria energia anche per le navi a idrogeno di cui si sente parlare: l’evaporazione di questa sostanza in forma liquida è stimata a circa lo 0,4% al giorno, questo significa che dopo quattro mesi il contenuto energetico veicolato risulterebbe dimezzato, rendendo complesso l’utilizzo, ad esempio, dell’idrogeno per conservare e trasferire energia da una stagione all’altra. Nell’ipotesi di una nave gasiera adattata al trasporto di idrogeno e alimentata dallo stesso, considerando l’equivalente di carburante necessario per un viaggio di andata e ritorno di 30 giorni tra la Cina e l’Europa, circa un settimo dell’idrogeno trasportato servirebbe ad alimentare la nave stessa. 

Per trasportare l’idrogeno serve una potenza di compressione circa tre volte maggiore rispetto a quella dei normali gasdotti

Per produrre un chilogrammo di idrogeno da elettrolisi occorrono circa nove litri d’acqua, quindi per una tonnellata ne servono ben novemila litri. Per generare le 700mila tonnellate di idrogeno l’anno entro il 2030 previste nella strategia italiana, servono circa 6,3 milioni di metri cubi d’acqua l’anno. Ovvero circa 0,6 miliardi di metri cubi nel 2050: lo 0,3% del consumo europeo di acqua dolce. 

Infine lo spazio fisico necessario a installare gli impianti di energia rinnovabile dedicati in maniera esclusiva a produrre idrogeno: per raggiungere l’obiettivo del piano strategico italiano di una potenza di elettrolizzatori pari a cinque GW bisognerebbe realizzare 50 elettrolizzatori da 100 MW, per cui sarebbe necessaria una superficie complessiva di 550mila ettari di parco eolico o 43.100 ettari di parco fotovoltaico: 5.500 chilometri quadrati equivalgono alla superficie delle province di Modena e di Reggio Emilia messe insieme. Solo una quantità molto limitata di idrogeno “verde” verrebbe prodotta in loco, mantenendo la narrazione sulle hydrogen valley come la facciata green che nasconde una filiera ben più lunga e tutt’altro che sostenibile. 

Lo spazio “Fossil free” è curato dalla Ong ReCommon. Un appuntamento ulteriore -oltre alle news su altreconomia.it– per approfondire i temi della mancata transizione ecologica e degli interessi in gioco

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