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Crisi climatica / Approfondimento

Le lotte per la salute a Coronel, una delle “zone di sacrificio” del Cile

L'esterno della centrale di Bocamina © Marina Forti

In cinque aree urbane del Paese si concentrano attività industriali contaminanti che danneggiano la salute della popolazione e l’ambiente. Ma lo Stato, da sempre, resta a guardare. Anche la multinazionale italiana Enel è coinvolta

Tratto da Altreconomia 250 — Luglio/Agosto 2022

La gente le chiama “zone di sacrificio”: il nome è stato adottato inizialmente dalle organizzazioni ambientaliste, ma in Cile tutti le conoscono. Sono cinque aree urbane situate in diverse regioni dove si concentrano attività industriali contaminanti che danneggiano la salute della popolazione e che soffrono di uno storico abbandono da parte dello Stato. Oltre alla diffusione di malattie respiratorie croniche, periodicamente occupano le prime pagine dei giornali per intossicazioni di massa. L’ultima è avvenuta a inizio giugno nella zona di Quintero e Puchuncaví, due cittadine che si trovano 140 chilometri a Nord di Santiago, verso la costa, circondate da quattro centrali termoelettriche a carbone, una fonderia e una raffineria di petrolio. Oltre 50 persone sono finite in ospedale con vomito e mal di testa a causa dell’alto livello di anidride solforosa nell’aria. 

La prima grande intossicazione che ha sconvolto il Paese intero è stata nel 2018: una nube giallastra ha avvolto Quintero e Puchuncaví per settimane, ha colpito oltre 300 persone e ha obbligato il governo a dichiarare lo stato d’allerta. Sono passati quasi quattro anni, ma i peak di inquinamento non sono stati fermati.

Più a Nord, si trovano altre tre zone di sacrificio: Mejillones, Tocopilla e Huasco, località assediate dalle centrali termoelettriche e dalle industrie legate allo sfruttamento minerario. Infine, nella regione del Bío-Bío c’è Coronel, il più grande polo industriale e portuale del Sud cileno. Qui, oltre all’industria della pesca e alle imprese forestali, c’è una centrale a carbone di Colbún e altre due della multinazionale italiana Enel. 

Di queste, la più antica, Bocamina I, risale al 1970 ed è stata chiusa alla fine del 2020, nel quadro del piano nazionale per la decarbonizzazione lanciato dal governo nel 2019. La seconda, Bocamina II, è stata costruita nel 2007 accanto alla prima, si è fatta spazio direttamente dentro la città grazie a un cambio nel piano regolatore regionale e ha portato con sé l’ampliamento della discarica a cielo aperto delle ceneri esauste. Avrebbe dovuto chiudere il 31 maggio 2022, ma la Comisión Nacional de Energía, ente pubblico che regola il settore energetico, ha chiesto che resti in funzione per altri quattro mesi.

Le organizzazioni cittadine del coordinamento Chao Carbón, che rappresentano le zone di sacrificio e lavorano da anni per la chiusura delle centrali a carbone, si oppongono a questa decisione: mentre l’energia solare ed eolica prodotta in Cile si spreca perché le linee di trasmissione sono sovraccariche, il fabbisogno di energia viene soddisfatto ancora da 28 centrali a carbone. Di queste, 18 chiuderanno entro il 2026, ma per le altre dieci non c’è una data limite.

L’energia solare ed eolica prodotta in Cile viene in larga parte sprecata perché le linee di trasmissione sono sovraccariche. Nel Paese il fabbisogno di energia elettrica viene ancora soddisfatto da 28 centrali a carbone: di queste 18 chiuderanno entro il 2026, ma per le altre 10 non c’è una data limite

Nelle settimane precedenti alla notizia che ha rimandato la chiusura di Bocamina II, Enel ha dovuto affrontare anche un altro tipo di proteste: in aprile, per 12 giorni, 75 lavoratori hanno incrociato le braccia e occupato l’impianto chiedendo parità di condizioni tra dipendenti diretti dell’impresa e contratti in appalto, oltre a garanzie sul ricollocamento lavorativo a fronte dell’imminente chiusura. “Abbiamo raggiunto un accordo sulle principali richieste -ha spiegato alla fine dello sciopero Sergio Henríquez, portavoce della mobilitazione-. Tra gli impegni presi ci sono anche gli esami medici per gli operai, per rilevare l’eventuale presenza di amianto e metalli pesanti nel sangue”. A Coronel, come nelle altre zone di sacrificio, le malattie respiratorie dei lavoratori e della popolazione sono al centro delle proteste da anni. Tra i tentativi di ottenere giustizia, è stata istituita anche una commissione parlamentare d’inchiesta. Nel suo rapporto finale, presentato il 2 settembre 2021 alla Camera dei deputati, vengono richiesti nuovi esami specialistici per i lavoratori e si sollecita l’implementazione di norme sulla qualità dell’acqua e del suolo che pongano limiti alla presenza di metalli pesanti. 

“Se siamo arrivati a una commissione parlamentare è perché la giustizia in Cile non funziona per i lavoratori e la gente senza soldi”, afferma Omar González, presidente dell’organizzazione Lavoratori uniti contro l’amianto (Tuca), interrotto dai colpi di tosse. Succede sempre quando parla a lungo, la tosse lo tormenta a cicli di 15-20 minuti, da quattro anni a questa parte. Ha ottenuto una pensione di invalidità con la quale può comprare i farmaci necessari a calmare gli attacchi respiratori. Ma è l’unico che è riuscito a dimostrare di essersi ammalato a causa del contatto con l’amianto. Félix González, deputato ecologista che ha diretto la commissione, ha denunciato a sua volta che, contro ogni logica, la Superintendencia de seguridad social, ente di vigilanza della sicurezza sul lavoro, ha sempre considerato malattie di origine comune i noduli ai polmoni degli altri operai, a cui è stata negata sistematicamente l’assicurazione sociale.

Eppure gli esami sono stati fatti: la prima volta nel 2010, su richiesta dei lavoratori dopo il violento terremoto del 27 febbraio di quell’anno, che aveva aperto crepe nei rivestimenti della centrale, facendo uscire l’amianto, usato come isolante. Ma in quella prima occasione le radiografie avevano mostrato in un solo caso placche nei polmoni, che possono trasformarsi in fibrosi e poi in asbestosi o cancro. Quando però, nel marzo 2013, è morto Oscar Vega Torres per un mesotelioma, i suoi compagni di lavoro sono tornati a protestare. Oscar aveva lavorato per Endesa dal 1969 e per anni era stato nell’impianto di Bocamina I. Enel (ancora con il nome Endesa fino al 2016) è stata costretta a sviluppare un programma di vigilanza medica in relazione all’amianto in tutte le sue centrali in Cile, i risultati hanno mostrato 32 casi con placche pleuriche, il 13% dei 255 lavoratori sottoposti a esami. Di questi, la maggior parte provenivano da Bocamina. 

Sono 32 i lavoratori impiegati nelle centrali gestite da Enel con placche pleuriche, il 13% dei 255 sottoposti a esami. La multinazionale italiana è stata costretta a sviluppare un programma di vigilanza medica in relazione all’amianto in tutte le sue centrali in Cile

L’uso dell’amianto è proibito in Cile dal 2001, ma la sua rimozione dalla centrale è stata realizzata solo tra l’agosto 2014 e il maggio 2015, come parte dei miglioramenti imposti a Enel da una sentenza della Corte d’Appello di Concepción che era arrivata a fermare gli impianti per danno ambientale nella baia di Coronel, in relazione a un’altra forte protesta, portata avanti dai pescatori. Il 20 maggio 2015 moriva anche Gonzalo Bulnes, di 31 anni, con una diagnosi di polmonite, dopo aver lavorato per Akeron CAF, l’impresa incaricata della rimozione dell’amianto da Bocamina per conto di Endesa. Almeno altri 30 suoi compagni presentavano problemi respiratori. È stato allora che si è formata l’organizzazione Tuca, per denunciare la mancanza di protezioni adeguate a trattare il materiale cancerogeno. Proprio grazie al loro attivismo sono state dimostrate le infrazioni e gli inadempimenti di Akeron CAF, che è stata multata nel settembre 2015 insieme a Enel e alla Mutual de Seguridad per la responsabilità e la mancanza di verifiche. Nuove multe sono arrivate nel novembre 2016, dopo altri controlli, e nonostante questo, la Seremi de Salud, che ha stabilito le sanzioni, non ha ordinato di fermare l’impianto per renderlo salubre.

Enel sostiene di aver agito dentro ai margini di legge previsti in Cile, rispettando i regolamenti e le indicazioni degli enti di controllo

Accanto alla lotta dei lavoratori colpiti dall’amianto, a Coronel si è sviluppata una molteplicità di conflitti socio ambientali fin dalla costruzione di Bocamina II. L’inquinamento della centrale raggiungeva il mare e la baia, danneggiando il lavoro dei pescatori e delle raccoglitrici di alghe. Dopo anni di proteste, un’indagine della Procura ha confermato il danno ambientale, ma la giudice Aldana Saavedra ha sospeso la sentenza nel 2018 a cambio dell’impegno di Enel a ridurre le sue emissioni. Un altro capitolo, intrecciato ai precedenti, è quello relativo alle ceneri, raccolte in una discarica di oltre 11 ettari accanto all’impianto, che sono state definite nocive per la salute solo dopo un’indagine della polizia investigativa nel 2014, che mostrava la presenza di mercurio e vanadio nel suolo della città. Nel frattempo, nell’ottobre 2017 è scoppiato lo scandalo della scuola elementare Rosa Medel, situata a duecento metri da Bocamina, dove sono stati riscontrati metalli pesanti nel sangue di diversi bambini. Il sindaco di Coronel, Boris Chamorro, è riuscito perfino a far chiudere la discarica delle ceneri per dieci giorni con un’ordinanza nel 2019. Poi Enel ha vinto un ricorso amministrativo che non solo le ha permesso di tornare a utilizzarla, ma anche di procedere a una denuncia penale contro il sindaco. Valter Moro, gestore di Enel Generación Chile fino al primo ottobre 2019, ha sempre sostenuto che l’impresa avrebbe agito dentro ai margini di legge previsti in Cile, rispettando i regolamenti e le indicazioni degli enti di controllo. E non ha mai ammesso che esista una relazione tra le emissioni di Bocamina e le malattie riscontrate tra i lavoratori e nella popolazione di Coronel. 

Lo spazio “Fossil free” è curato dalla Ong ReCommon. Un appuntamento ulteriore -oltre alle news su altreconomia.it– per approfondire i temi della mancata transizione ecologica e degli interessi in gioco

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