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Ambiente / Intervista

Il futuro energetico dell’Africa non può essere un affare coloniale

Il continente ha un enorme potenziale di sviluppo per fotovoltaico ed eolico ma gli investimenti internazionali sono ancora rivolti prevalentemente ai combustibili fossili. L’analisi di Amos Wemanya del think tank PowerShift Africa

Tratto da Altreconomia 257 — Marzo 2023
Amos Wemanya, senior advisor per le energie rinnovabili e la transizione giusta di PowerShift Africa - PowerShift Africa

All’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina, con i prezzi del gas (e delle bollette energetiche) alle stelle diversi leader europei hanno fatto pressione sui loro omologhi africani affinché aumentassero la produzione e l’export di gas. La Germania ha cercato di garantirsi nuove forniture dal Senegal, il Regno Unito ha puntato sulla Nigeria mentre l’Italia ha siglato ulteriori accordi di fornitura con Egitto, Algeria, Angola e Congo-Brazaville. “Trovo immorale il fatto che l’Europa utilizzi questa situazione per impoverire ulteriormente un continente già povero come l’Africa. Il gas che viene estratto oggi in Paesi come il Mozambico non serve a dare una risposta alla crisi energetica europea degli ultimi mesi”, spiega ad Altreconomia Amos Wemanya, senior advisor per le energie rinnovabili e la transizione giusta di PowerShift Africa, un think tank indipendente con sede a Nairobi (Kenya) il cui obiettivo è quello di promuovere l’azione per il clima nel continente, amplificando le voci di ricercatori locali attraverso una maggiore visibilità nei media e nel discorso pubblico. “L’industria dei combustibili fossili sta sfruttando la situazione che si è creata dopo l’invasione dell’Ucraina per continuare a investire in un sistema che non solo ha causato l’emergenza climatica che stiamo vivendo, ma ha generato gravi problemi di instabilità politica e sociale in diversi Stati africani, molti dei quali sono interessati o lo sono stati in passato, da conflitti -riprende il ricercatore-. Rischiando così di cementare la povertà energetica dell’Africa e rallentare la transizione verso le rinnovabili”.

Dottor Wemanya, l’Africa ha un enorme potenziale in termini di sviluppo delle energie rinnovabili. È possibile stimarlo?
AW
Partiamo dai dati dell’Agenzia internazionale per l’energia (Iea, iea.org): per quanto riguarda il fotovoltaico abbiamo il 60% delle migliori risorse solari al mondo, ma appena l’1% della capacità di generazione. C’è poi un enorme potenziale per l’eolico, in modo particolare nel Nord e nel Nord-Est del continente, per la geotermia, che è concentrata soprattutto nella Rift Valley, e per l’idroelettrico. Eppure l’Africa si trova in una situazione paradossale: circa 600 milioni di persone (la metà degli abitanti del continente, ndr) non hanno accesso all’energia elettrica. Per uscire da questa situazione è importante sfruttare il potenziale rinnovabile ma per farlo dovremo ripensare profondamente i nostri sistemi energetici. Una sfida a cui sono chiamati tutti i Paesi del continente, compresi quelli che già oggi riescono a garantire a buona parte o alla quasi totalità della propria popolazione l’accesso all’energia ma lo fanno grazie all’utilizzo dei combustibili fossili.

Secondo la Iea per raggiungere gli obiettivi energetici e climatici del continente servono investimenti per 190 miliardi di dollari l’anno tra il 2026 e il 2030. Due terzi dei quali destinati alle rinnovabili. Da dove devono arrivare queste risorse?
AW Purtroppo la maggior parte degli investimenti in ambito energetico in Africa sono ancora destinati all’estrazione e allo sfruttamento dei combustibili fossili. Ma qualcosa sta cambiando: a novembre 2022 l’International partner group (presieduto dal Regno Unito e composto da Francia, Germania, Stati Uniti e Unione europea) ha mobilitato risorse per 8,5 miliardi di dollari per promuovere la decarbonizzazione dell’economia sudafricana all’interno del South Africa’s just energy transition investment plan. Mentre nell’ambito della Global gateway initiative, l’Unione europea ha annunciato l’investimento di 2,4 miliardi di euro per i Paesi dell’Africa sub-sahariana e 1,08 miliardi per il Nord Africa per sostenere lo sviluppo dell’energia rinnovabile, l’efficienza energetica e la transizione giusta. Sono primi passi significativi ma ancora insufficienti. Per questo è importante che gli investimenti diretti verso le fonti fossili vengano dirottati al più presto sulle rinnovabili.

“L’industria fossile sta sfruttando la guerra in Ucraina per continuare a investire in un sistema che ha generato instabilità politica e sociale in diversi Stati africani”

Quali sono i Paesi all’avanguardia nello sviluppo delle energie rinnovabili?
AW
Il quadro è molto differenziato: Marocco e Sudafrica, ad esempio, riescono a garantire l’accesso all’energia a quote molto elevate della popolazione ma fanno affidamento prevalentemente su fonti fossili. In Kenya il contributo delle rinnovabili -in particolar modo l’idroelettrico e il geotermico- al settore elettrico nazionale era del 77% nel 2019 e il governo punta a raggiungere il 100% entro il 2030. In questa prospettiva sono stati installati nuovi parchi eolici e sono stati collegati alla rete i primi impianti fotovoltaici. Anche il Ruanda sta investendo nel settore: penso ad esempio ai progetti off-grid che permettono di portare l’energia prodotta da fonti rinnovabili nelle aree rurali e più difficili da raggiungere. Perché non è sufficiente aumentare la produzione, occorre anche ampliare l’accesso all’energia da parte della popolazione.

Spesso i progetti di sfruttamento delle fonti di energia fossile come gas e petrolio hanno pesanti ricadute ambientali e sui diritti delle popolazioni locali che non traggono benefici. C’è il rischio di ripetere lo stesso errore con le rinnovabili?
AW
Ci sono dei rischi, certamente, ma questo settore ci offre indubbiamente molte opportunità. Penso che lo sviluppo di un modello energetico basato sulle rinnovabili ci dia la possibilità di cambiare le dinamiche di potere e combattere le disuguaglianze, correggendo gli errori commessi in passato da un sistema “fossile”. Abbiamo quindi la possibilità di progettare un nuovo paradigma, più adatto a rispondere ai bisogni e agli obiettivi di sviluppo degli abitanti del continente. Un sistema in cui gli attori africani siano partner paritari e dove le garanzie sociali e ambientali vengono prese in considerazione, con strutture di governance chiare, trasparenti e rispettose dei diritti umani.

E per quanto riguarda i rischi?
AW
Sono già in atto progetti che vengono sviluppati da istituzioni multilaterali e Paesi ricchi senza il coinvolgimento degli attori africani: le leadership locali vengono coinvolte solo al momento delle firme e delle strette di mano, ma non partecipano alla progettazione. Così come restano ai margini la società civile e i ricercatori africani. Ovviamente i politici si gettano a capofitto su questi progetti, perché ci vedono un’occasione di guadagno economico, ma non è la soluzione.

Si rischia cioè di replicare un modello di sfruttamento di tipo estrattivista?
AW
Esattamente, e purtroppo sta già succedendo. In Kenya, ad esempio, alcune comunità sono state allontanate dalle loro terre ancestrali per fare spazio alla costruzione di una wind farm sulle sponde del lago Turkana: ci sono state delle proteste e sono state avviate azioni legali. Le energie rinnovabili ci offrono una preziosa possibilità di sviluppo, che ci può permettere di correggere gli errori dell’industria fossile ma dobbiamo stare molto attenti a non commettere gli stessi errori del passato.

Quali?
AW
L’Africa non è “una terra vuota”, una frase che viene ripetuta spesso per presentare grandi progetti infrastrutturali. Le comunità non possono essere semplicemente “spostate”, perché hanno il diritto di vivere nelle loro terre da cui traggono sostentamento. In questo senso è importante che lo sviluppo di un modello energetico diverso metta al centro la tutela dei diritti umani.

Di energia, transizione e ambiente si parlerà il 18 marzo a “Africa Talks 2023: Thinking green. Quali sfide ambientali per l’Africa di oggi?”, evento organizzato da associazione COE e fondazione EDU nell’ambito del Festival del Cinema africano, d’Asia e America Latina in programma a Milano. All’incontro parteciperanno Patience Nabukalu, attivista per il clima e tra i fondatori di Fridays for future Uganda, Noo Saro-Wiwa, scrittrice e figlia dell’attivista Ken Saro-Wiwa, Christina Hicks, scienziata sociale e docente presso l’università di Lancaster, Valerio Bini, ricercatore in Geografia presso l’Università degli Studi di Milano. L’incontro si svolgerà dalle ore 17.30 presso l’Auditorium San Fedele. A seguire la proiezione gratuita del film “Aya” di Simon Coulibaly Gillard. Altreconomia è media partner dell’incontro.

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