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Crisi climatica / Reportage

Il Sud-Est del Marocco ha sete ma l’acqua se la beve l’industria

Nella regione semidesertica di Ouarzazate, nel Sud-Est del Marocco stanno esaurendosi le risorse idriche. Come nel resto del Nord Africa, la crisi climatica sta già mostrando i suoi effetti e colpisce con particolare violenza il fragile sistema agricolo delle oasi predesertiche © Arianna Poletti e Aïda Delpuech

Nella Valle del Dades aumenta la siccità e le poche risorse idriche rimanenti vengono destinate alle attività di grandi gruppi privati attivi in diversi settori: dall’agricoltura, all’energia solare. Gli attivisti chiedono una transizione equa

Tratto da Altreconomia 255 — Gennaio 2023

Nella Valle del Dades, ai piedi della catena montuosa dell’Alto Atlante che si estende per il Marocco Sud-orientale, ogni villaggio porta il nome del torrente che un tempo lo attraversava. Oggi, le palme seccate dal sole circondano i letti dei fiumi, vuoti, e i ponti attraversano le pietre rimaste sui fondali. “Ricordo che quando ero bambino nuotavo nel torrente e c’era un’incredibile varietà di pesci. Cinquant’anni più tardi, il nostro wadi (fiume in arabo, ndr) è completamente asciutto”, racconta Yousef, un contadino della vallata di Kalaat M’Gouna, qualche decina di chilometri a Est dalla città di Ouarzazate, conosciuta per aver ospitato i set di celebri film come “Lawrence d’Arabia”, “La mummia” e, più recentemente, “Il trono di spade”. Lontano dagli studi cinematografici della città, Yousef, un ex operaio in pensione emigrato in Francia negli anni Sessanta, è tornato nel suo villaggio natale per mettere in piedi una cooperativa agricola che impiega i concittadini più giovani. Insieme coltivano ulivi, mandorle e melograni. Ma l’agricoltore non avrebbe mai immaginato che irrigare i suoi campi un tempo fertili sarebbe diventata un’impresa quasi impossibile. 

La regione semidesertica di Ouarzazate si sta prosciugando. Come nel resto del Nord Africa, la crisi climatica sta già mostrando i suoi effetti e colpisce con particolare violenza il fragile sistema agricolo delle oasi predesertiche. In un contesto di siccità strutturale, gli agricoltori marocchini puntano il dito contro la malagestione delle risorse idriche rimanenti, sottratte al loro corso naturale per essere destinate alle industrie in espansione nella regione. Le attività che consumano acqua nel Sud-Est del Marocco sono principalmente tre: le compagnie minerarie, le monocolture agricole e un’enorme centrale solare, Noor, che genera energia termica attraverso un complesso processo di evaporazione. L’acqua delle vallate che circondano la città di Ouarzazate, quindi, viene raccolta nella diga di El-Mansour Eddahbi che secondo le associazioni locali ha raggiunto nel 2022 una capacità inferiore al 12%.

Il Marocco è considerato da anni la vetrina della transizione verde del Maghreb perché produce il 19% della propria elettricità a partire da fonti rinnovabili, più di molti Stati europei. “Il Paese è il leader africano della lotta alla crisi climatica”, ha detto Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione europea per l’elaborazione del Green Deal, in occasione della firma dell’ultimo partenariato verde Ue-Marocco, qualche settimana prima dell’inizio della Cop27 che si è svolta dal 6 al 18 novembre 2022 a Sharm el-Sheikh. Tuttavia, i movimenti ambientalisti locali da anni criticano la gestione centralizzata ed estrattiva delle risorse e chiedono una transizione energetica equa, a vantaggio non solo dei grandi gruppi privati, ma anche delle comunità locali. “Viviamo accanto a miniere d’oro, argento, piombo e cobalto, ma abbiamo finito anche noi per credere che la nostra regione sia emarginata e povera”, ricorda Jamal Saddoq, rappresentante locale di Attac Marocco, una delle poche associazioni che si occupano delle conseguenze delle attività industriali nella regione del Sud-Est.

Lungo le strade che attraversano le montagne ocra del deserto, non è raro notare una nuvola di fumo bianco all’orizzonte. Il segno di un’attività mineraria. Esclusi i fosfati, circa il 40% delle licenze minerarie in Marocco si trova nella regione di Drâa-Tafilalet. Secondo una recente intervista del ministro per la Transizione energetica Leila Benali qui le aziende producono tre milioni di tonnellate di minerali all’anno. A possedere i principali siti della regione è il gruppo Managem, una società marocchina che opera nell’estrazione di metalli preziosi e cobalto. È il caso della miniera di Imider, la più grande dell’Africa, da cui proviene l’argento commerciato nei Paesi del Golfo o in Europa. “Protestiamo dagli anni Ottanta, ma poco è cambiato, se non che le acque sotterranee si stanno esaurendo. L’azienda continua a pompare acqua direttamente dalla falda freatica scavando pozzi a profondità sempre maggiori”, conferma uno dei membri del sit-in di Imider.

“Viviamo accanto a miniere d’oro, argento, piombo e cobalto, ma crediamo anche noi che la nostra regione sia emarginata e povera” – Jamal Saddoq

Come spiega il gruppo minerario, quest’industria ha bisogno di acqua per recuperare i metalli preziosi dal minerale grezzo. “Per questo nel 2011, quando abbiamo iniziato a protestare, abbiamo deciso di bloccare la conduttura che collega la miniera al suo serbatoio d’acqua”, spiega l’attivista. Terminato nel 2019, il sit-in di Imider ha lottato per otto lunghi anni per un’equa distribuzione delle risorse lontano dall’attenzione di media locali e internazionali. “Abbiamo ottenuto alcuni risultati, ma non sono all’altezza delle nostre aspettative. Sono stati assunti circa 50 giovani e sono stati avviati alcuni progetti di sviluppo nella regione”, continua l’attivista. Managem non ha risposto alla nostra richiesta d’intervista, ma sul proprio sito la società assicura: “Ci attiviamo per garantire il futuro delle risorse idriche per le nostre attività, per le comunità locali e per l’ambiente circostante”.

Eppure, a giugno 2022 è stato firmato un accordo tra la società marocchina e il gruppo Renault. L’oggetto: l’estrazione di cinquemila tonnellate di solfato di cobalto necessarie per la costruzione delle batterie delle auto elettriche. “Vogliamo garantire la tracciabilità della catena di approvvigionamento e ridurre l’impatto ambientale”, si legge sul contratto. Ma l’attivista di Imider si chiede: “Quanta altra acqua costerà questo progetto ‘verde’?”. Nonostante l’arresto di decine di membri del sit-in, le proteste nella regione continuano con l’aggravarsi della siccità. 

Gli abitanti del villaggio di Imider protestano dagli anni Ottanta contro la presenza di una miniera d’argento che sta prosciugando le falde acquifere sotterranee. Tra il 2011 e il 2019 hanno organizzato sit-in e manifestazioni per un’equa distribuzione delle risorse © Arianna Poletti e Aïda Delpuech

Le ultime manifestazioni per l’acqua che puntavano il dito contro l’industria mineraria del Sud-Est del Marocco risalgono all’inizio di ottobre 2022, nella zona di Zagora. Le proteste contro le miniere sono state affiancate da quelle contro l’aumento delle monocolture e l’installazione dell’immensa centrale solare Noor, tutt’altro che sostenibile secondo gli attivisti della regione. “Queste attività economiche si basano sullo stesso modello estrattivista di accaparramento delle risorse”, sottolinea ancora Jamal Saddoq di Attac.

In funzione dal 2016, l’impianto di Noor è il più grande complesso solare al mondo (580 MWh), gestito dal gruppo saudita ACWA Power insieme all’Agenzia marocchina per l’energia sostenibile (Masen). Simbolo della riuscita della transizione energetica del Paese, è accusato dagli abitanti del luogo di assorbire parte dell’acqua della diga di El-Mansour Eddahbi per la fase di raffreddamento. L’impianto, infatti, è stato collegato direttamente alla diga, mentre gli agricoltori non hanno accesso all’acqua. “Il fiume Dadès deve scorrere fino alla diga, mentre noi abbiamo bisogno che penetri nelle nostre falde acquifere. Qualsiasi progetto di stoccaggio dell’acqua, anche su piccola scala, ci viene vietato”, spiega Rochdi, un altro piccolo agricoltore di Kalaat M’Gouna. Un tempo questa valle era conosciuta per la produzione di un particolare tipo di rosa, base di prodotti cosmetici artigianali commercializzati in tutto il Marocco. Oggi, senz’acqua, anche le rose non fioriscono più spontaneamente, ma solo nei campi che hanno fatto della coltivazione tipica della zona un prodotto su scala industriale. “La poca acqua rimanente viene pompata per le coltivazioni di agricoltura intensiva”, conferma l’agricoltore.

“Nessuna politica sarà efficace per preservare le nostre oasi se non difenderà un’agricoltura sostenibile. Chiediamo una gestione delle risorse a profitto di tutti” – Yousef

Secondo le autorità, le precipitazioni medie dell’autunno hanno raggiunto i livelli più bassi degli ultimi decenni. Con 600 metri cubi d’acqua all’anno pro capite, il Paese è già ben al di sotto della soglia di carenza idrica che si assesta intorno ai 1.700 metri cubi, spiega l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Invece di essere equamente ridistribuita tra la popolazione, l’85% dell’acqua consumata in Marocco è riservata all’agricoltura intensiva, in particolar modo a orticoltura (angurie, avocado) e arboricoltura (mandorle, agrumi). Queste colture ad alta intensità idrica sono perlopiù destinate all’esportazione, a scapito dell’agricoltura di sussistenza locale.

Negli ultimi anni, la regione di Skoura, a Sud di Ouarzazate, già sottoposta a un forte stress idrico a causa delle attività minerarie, è diventata la principale destinazione nel Paese per i grandi investimenti nella produzione di angurie. Dal 2008 la superficie destinata alle coltivazioni di angurie è passata da quattromila a 15mila ettari. A Zagora, una cittadina di 30mila abitanti della regione, l’acqua viene già distribuita poche ore al giorno. “La gente fugge dalla nostra valle per raggiungere la città o spesso per cercare opportunità all’estero”, continua Rochdi. A suo avviso, l’accesso all’acqua è ormai diventato una questione di ordine pubblico. “Qui tante famiglie sopravvivono solo grazie a figli, fratelli, cugini che hanno lasciato il Marocco e che mandano un po’ di soldi a casa”. 

19% è la quota di elettricità prodotta da fonti rinnovabili in Marocco. Per questo motivo, il Paese è considerato da anni la vetrina della transizione verde del Maghreb. Una transizione che però danneggia le comunità locali e avvantaggia soprattutto i privati 

Diverse associazioni ambientaliste hanno chiesto al governo di porre fine alla coltivazione di angurie e avocado, due delle colture a più alto consumo di acqua. Il 30 ottobre 2022 anche il governatore di Zagora, in risposta all’assenza di precipitazioni, ha annunciato il razionamento dell’acqua durante la prossima stagione agricola. Nel suo piccolo, come tanti altri agricoltori locali, Yousef propone un modello alternativo attraverso la cooperativa agro-ecologica Mamrane, che sperimenta l’irrigazione a goccia e l’autoproduzione di energia attraverso l’installazione di una decina di pannelli solari gestiti direttamente dalla struttura. “Nessuna politica sarà efficace per preservare le nostre oasi se non difenderà un’agricoltura sostenibile. Chiediamo una gestione delle risorse decentralizzata, a profitto di tutti e non di una manciata di imprenditori”, spiega mentre cammina tra le file di melograni piantati nel suo frutteto. “La nostra valle è in grave pericolo. Senza acqua siamo al limite del collasso”. 

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