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Economia / Inchiesta

Chi ha speculato sul gas: nel 2022 l’Italia segna il record delle esportazioni

© Robert Linder - Unsplash

Lo scorso anno il nostro Paese ha esportato oltre 4,5 miliardi di metri cubi di gas fossile: il triplo del 2021, 11,5 volte in più rispetto al 2005. La gran parte verso Stati dell’Europa centrale. Una crescita verticale che racconta la dinamica speculativa dell’ultimo biennio. Mentre i consumi interni sono calati del 10% rispetto al 2021

Nel 2022 l’Italia ha esportato oltre 4,5 miliardi di metri cubi di gas fossile: il triplo del 2021 (1,5 miliardi) e 11,5 volte quanto esportato nel 2005 (396 milioni di metri cubi standard, Smc). Si tratta di una crescita verticale rispetto al passato che racconta la dinamica speculativa dell’ultimo biennio: la media nel periodo 2005-2020 era stata infatti pari a 236 milioni di Smc, anche a fronte di una produzione interna superiore. Lo mostrano i dati del ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica pubblicati a inizio febbraio 2023 (avevamo raccontato questa tendenza nel luglio 2022). “I principali destinatari del ‘nostro’ gas sono stati i Paesi dell’Europa centrale, che risultano più esposti al calo delle forniture provenienti dalla Russia”, osserva Michele Governatori, Energy programme lead di ECCO, il think tank indipendente italiano per il clima.

Le importazioni restano il principale mezzo con il quale il nostro Paese si approvvigiona di gas fossile. Nel 2022 sono state importati 72,4 miliardi di metri cubi di gas a fronte di una produzione interna stimata in circa 3,3 miliardi, pari, quest’ultima, a meno di un ventesimo del consumo interno lordo annuo e in calo dal 2005 quando sono stati estratti poco più di 12 miliardi di Smc.

I punti di ingresso denotano anche i Paesi di provenienza del metano usato nel nostro Paese. Se nel 2021 il nodo più importante era quello di Tarvisio (lungo il confine sloveno e punto di collegamento con la Russia) con circa 30 miliardi di metri cubi, nel corso del 2022 il flusso di gas è calato del 51,9% a favore di Mazara del Vallo (TP) che è diventata con i suoi 23,5 miliardi di metri cubi (e un aumento dell’11% rispetto al 2021) la principale zona di approvvigionamento. A Mazara del Vallo arriva infatti il gasdotto Transmed che porta in Italia il gas dell’Algeria, diventata, in seguito all’invasione dell’Ucraina, il primo fornitore del nostro Paese. Altra crescita rilevante riguarda i tre rigassificatori: quello di Livorno (non attivo nel dicembre 2021) che ha riportato 3,7 miliardi di Smc, un aumento del 167% in un anno, di Cavarzere (VE), 8,2 miliardi (e un aumento del 42,3%) e di Panigaglia (La Spezia), con 2,2 miliardi, il doppio rispetto al 2021. “I tre rigassificatori italiani stanno funzionando pressoché a pieno regime per compensare le minori importazioni russe e le esportazioni -dice Governatori-, al contrario dei gasdotti meridionali il TAP è l’unico a funzionare a pieno regime”. Lo scorso anno dal TAP di Melendugno (LE), entrato in funzione a fine 2020, sono stati importati 10,3 miliardi di metri cubi. L’ultimo polo ad aver subito un netto incremento è stato quello di Passo Gries, tra Lombardia e Svizzera, porta d’ingresso del gas fossile proveniente dai Paesi nordici. Contemporaneamente emerge una riduzione dei consumi interni di gas, diminuiti dai 75,9 miliardi di Smc del 2021 ai 68,5 miliardi del 2022, un calo del 9,8%. Se consideriamo gli ultimi tre mesi dell’anno la riduzione è stata decisamente maggiore: a ottobre il calo è stato del 24,2%, a novembre del 27% e a dicembre del 23,8% (sempre rispetto agli stessi mesi del 2021).

“I due governi coinvolti (Draghi e Meloni, ndr) si sono impegnati a rispettare gli obiettivi europei di riduzione dei consumi ma non hanno in realtà messo in atto azioni rilevanti per realizzarli, né campagne particolarmente efficaci (con l’eccezione dei consigli sul risparmio energetico offerti da Enea ma scarsamente valorizzati dall’esecutivo) -continua Governatori di ECCO-. Ciò che ha portato ai risparmi, oltre al clima innaturalmente caldo nel mese di dicembre, sono state le reazioni dei consumatori ai prezzi alti. Al momento non mi risultano dati abbastanza dettagliati per distinguere quanto si tratti di rinuncia a consumi, quanto di consumi industriali rinviati da parte di aziende che lavorano per il magazzino e quanto dovuto a interventi di efficienza e di nuova produzione da fonti rinnovabili già operative. Una cosa però è certa: gli shock cambiano i comportamenti, e li cambiano, per una parte rilevante, in modo permanente”.

Governatori aggiunge un pezzo, anche alla luce di questi dati. “L’aspirazione dell’Italia di diventare un ‘hub europeo’ del gas fossile è irresponsabile, soprattutto finché non verranno chiariti tre aspetti molto importanti. Primo: perché dovremmo pagare, anche con le nostre tasse, un contributo alla ‘sicurezza’ del gas quando i suoi consumi sono in calo in tutto il continente?”. In secondo luogo non esisterebbero garanzie che la strategia italiana risulti “vincente” rispetto a quelle messe in atto da altri Paesi mediterranei come la Spagna, “Paese che in più possiede una capacità di rigassificazione superiore”. Infine, è l’ultima osservazione di Governatori, l’esportazione di gas è inconciliabile con la necessità di sostenere la transizione alle energie rinnovabili e il desiderio di realizzare un hub italiano anche per le energie verdi. “È dal Rinascimento che non siamo più il centro degli scambi nel Mediterraneo. Pensare di ridiventarlo ora in tutti i vettori energetici che ci vengano in mente, anche contraddittori tra loro, e di farlo senza la minima valutazione di quanto ci costa questa aspirazione, lo trovo irresponsabile. Per il clima, per le nostre tasche, per le prospettive di accesso a un’energia sicura e ragionevolmente economica”.

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