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Crisi climatica / Approfondimento

Greenwashing: gli “ambigui e fuorvianti” impegni delle multinazionali “sostenibili”

© Mika Baumeister - Unsplash

Le strategie climatiche di 24 tra le più grandi aziende che si presentano come “leader nella sostenibilità” sono insufficienti e fuori traiettoria rispetto all’obiettivo richiesto entro il 2030 per mantenere la temperatura al di sotto del limite di 1,5 °C. Per il New Climate Institute di Berlino i target a lungo termine servono a distogliere l’attenzione

Le strategie climatiche di 24 tra le più grandi aziende del mondo sono del tutto insufficienti e fuorvianti. Gli impegni presi da queste società per raggiungere la neutralità climatica al 2050 distolgono da impegni più concreti e di breve termine, al 2030. È questa la conclusione a cui è giunta la seconda edizione del Corporate Climate Responsibility Monitor, report sviluppato da Carbon Market Watch in collaborazione con il NewClimate Institute, che valuta l’integrità delle strategie climatiche di diverse multinazionali e pubblicato il 13 febbraio 2023.

Sulle 24 analizzate (che da sole coprono il 10% delle 500 più grandi multinazionali al mondo in termini di fatturato) solo una raggiunge i pieni voti, la Maersk (come già nella prima edizione del report, peraltro), compagnia marittima danese specializzata in trasporto di container. Ci sono poi otto società – Apple, ArcelorMittal, Google, H&M Group, Holcim, Microsoft, Stellantis e Thyssenkrupp – che hanno un livello di integrità definito “moderato”, mentre le restanti quindici società hanno un’integrità bassa (Amazon, Dhl, Mercedes-Benz, Nestlé, PepsiCo, Volkswagen, Walmart) o molto bassa (American Airlines, Carrefour, Jbs e Samsung).

Al di là della scadenza del 2030, l’impegno per il net zero di queste 24 aziende che pubblicizzano le proprie strategie climatiche spesso sono solo di facciata: gli impegni a lungo termine assunti rimangono vaghi e servono più a distrarre dalla necessità urgente di ridurre le emissioni in questo decennio che trasformare nel breve la propria catena del valore. Si tratta di net-zero washing: i piani climatici delle aziende oggetto della valutazione di Carbon Market Watch arrivano a ridurre solo del 15% le proprie emissioni entro il 2030, o fino al 21% secondo l’interpretazione più ottimistica dei loro impegni. Ciò corrisponde a meno della metà della riduzione del 43% dei gas serra che dobbiamo fornire a livello globale per limitare l’aumento della temperatura a circa 1,5°C.

Addirittura, secondo la comunità scientifica che si riconosce nelle linee guida SBTi Net Zero Standard e ISO Net Zero, per raggiungere davvero il traguardo delle emissioni zero avremmo bisogno di tassi odierni di riduzione dei livelli di emissioni di almeno il 90%, o 95%, per la maggior parte dei settori. In termini di “peso”, cioè, i piani delle 24 compagnie dovrebbero ridurre di 2,2 miliardi di tonnellate le emissioni prodotte, invece gli sforzi profusi serviranno a ridurre appena il 36% del necessario, ovvero 790 milioni di tonnellate.

Qualche esempio può essere utile per capire meglio il concetto. La metà delle aziende valutate, tra cui le big tech Apple, Google e Microsoft, comunicano di essere “neutrali” dal punto di vista delle emissioni quando in realtà i loro obiettivi di riduzione, soprattutto per quelli al 2030, riguardano solo un ambito limitato di fonti di emissione, le emissioni dirette (scope 1) o le emissioni da energia acquistata (scope 2) ma quasi nessuna dedica la sua attenzione alle emissioni indirette (scope 3). Il fatto è che le emissioni scope 3 rappresentano oltre il 90% dell’impronta ecologica per la maggior parte delle aziende richiamate dal report. Così Apple può scrivere “siamo a emissioni zero dal 2020. Entro il 2030, lo saranno anche tutti i nostri prodotti” quando in realtà la prima parte dell’affermazione è fuorviante, perché considera le emissioni prodotte da uffici, negozi al dettaglio, data center, pendolarismo dei dipendenti e viaggi di lavoro, che insieme coprono meno dell’1% dell’impronta di emissioni dell’azienda nel 2021, e sui prodotti futuri i piani della società puntano a ridurre del 63% le emissioni entro il 2030. Per il dopo non è previsto nulla di concreto.

Per Apple e molte altre società, inoltre, gli obiettivi dei piani climatici adottati sono fuorvianti a causa del ricorso alla compensazione. Infatti, almeno tre quarti delle aziende valutate prevedono di affidarsi in gran parte alla compensazione attraverso progetti legati alla silvicoltura e all’uso del suolo. Questo approccio è problematico per due motivi fondamentali: il primo concerne il processo di stoccaggio del carbonio biogenico (cioè di quella CO2 prodotta da fonti naturali, non antropiche), che si rivela inadatto a compensare le emissioni a causa dell’imprevedibilità degli eventi naturali che potrebbero danneggiare le strutture di stoccaggio; il secondo motivo ha a che vedere con la domanda di crediti di carbonio implicita nei piani di queste aziende che, allo stato attuale, richiederebbe dal doppio al quadruplo delle risorse della Terra, soprattutto se l’approccio viene condiviso da altre imprese.

Diverse compagnie stanno dimostrando di essere leader in azioni per il clima specifiche: Maersk sta investendo in carburanti alternativi per navi, Dhl sta investendo nell’elettrificazione della propria flotta e nell’aumento della produzione di combustibili a basse emissioni di carbonio per il trasporto stradale, marittimo e aereo, Apple sta adottando misure per rendere più accessibili ai propri fornitori opzioni di approvvigionamento tramite energia rinnovabile di alta qualità, oltre a implementare misure per estendere la durata di vita dei dispositivi. E così via. Ma non basta, spiegano gli esperti del rapporto: “I piani di installazione di impianti fotovoltaici sui tetti o di miglioramento dell’efficienza energetica sono lodevoli” scrivono gli autori del rapporto. “Tuttavia, da soli, non sono sufficienti in settori in cui le strategie di allineamento all’obiettivo di mantenimento del riscaldamento globale a 1,5 °C richiedono cambiamenti più radicali”, una “trasformazione” dei processi produttivi. Non basta, insomma, promettere di usare materiali più sostenibili, come espresso da H&M, senza esplicitare che cosa si intenda per ‘sostenibili’. Senza contare che non è semplice ottenere le informazioni raccolte dagli autori del report, dal momento che, a parte Maersk, solamente altre tre compagnie forniscono informazioni dettagliate sui propri piani climatici di riduzione (Apple, Microsoft e Holcim).

Certo, anche la politica in tutto questo deve dare il suo contributo. Carbon Market Watch e NewClimate Institute suggeriscono che le regolamentazioni debbano sostenere i piani più ambiziosi, così da non generare svantaggi economici rispetto alla concorrenza “meno ambiziosa”. Inoltre, sono necessarie politiche che incentivino, piuttosto che ostacolare, una maggiore capacità di energia rinnovabile: si tratta di contributi necessari a garantire la decarbonizzazione dell’intera catena di approvvigionamento.

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