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Ambiente / Attualità

La guerra della Russia in Ucraina produce anche crimini di ecocidio: come misurare i danni

© Artem Zhukov - Unsplash

L’Ucraina possiede il 35% della biodiversità europea. Oltre ai gravi danni diretti, l’ambiente è vittima anche della diffusione di metalli pesanti e sostanze tossiche dovute agli scontri e al bombardamento di siti a rischio. Inedite iniziative di citizen science aiutano però a non perderne traccia. L’analisi del Sipri

La guerra russa dell’Ucraina sta avendo gravi conseguenze non solo sulla popolazione civile ma anche sulla biodiversità e sull’ambiente. L’invasione ha infatti sconvolto decine di aree protette e parchi nazionali. Gli effetti di questa devastazione sono difficili da quantificare e potrebbero avere conseguenze a lungo termine, ben oltre la durata del conflitto, osserva in un paper dedicato al tema a fine gennaio il Sipri, istituto indipendente di Stoccolma impegnato in ricerche su conflitto, armi, controllo delle armi e disarmo. “Le autorità ucraine, la società civile e i partner internazionali stanno rispondendo attivamente, non solo richiamando l’attenzione sugli impatti ecologici della guerra ma anche registrando e misurando tali danni, attivandosi per ottenere condanne e risarcimenti e gettando le basi per una ricostruzione verde -scrive il Sipri-. Tutto ciò si inserisce negli sforzi già in atto per rafforzare il quadro normativo e legale internazionale per la protezione dell’ambiente nel contesto dei conflitti armati”.

L’Ucraina è un Paese che possiede preziose risorse naturalistiche, contando il 35% della biodiversità europea, è casa di circa un quarto del Černozëm, particolare tipologia di suolo associata agli ambienti di prateria, oltre che di centinaia di aree protette e 23 parchi nazionali che sono attualmente colpiti o comunque minacciati dal conflitto in corso. I danni ambientali stimati dalle autorità del Paese ammontano a 46 miliardi di dollari e sono tuttora in crescita, comprendendo i “danni diretti” agli ecosistemi ma anche la contaminazione da metalli pesanti e altre sostanze tossiche dovuta all’uso di munizioni e mezzi militari, così come le conseguenze dei bombardamenti e della distruzione di migliaia di infrastrutture contenenti sostanze pericolose. Ovvero edifici come fabbriche, miniere, depositi di armi e munizioni o centrali elettriche e nucleari, che sono state attaccate deliberatamente fin dai primi giorni della guerra. Tra febbraio e dicembre 2022 sono stati registrati più di 1.100 “incidenti di interruzione o distruzione” di queste strutture strategiche.

Un’ulteriore minaccia è dovuta alle elevate emissioni climalteranti generate dalla guerra: una prima stima le ha quantificate in 97 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, un valore di poco superiore alle emissioni annuali dell’intero Belgio o del Qatar. Circa metà di queste emissioni sarà imputabile alla necessità di riparare o ricostruire le infrastrutture civili a conflitto “finito” (se di fine si potrà mai parlare). Tuttavia i danni a lungo termine sul Paese causati dalla perdita e dalla degradazione degli ecosistemi sono molto difficili da calcolare e possono essere ancora più gravi. Un’ultima conseguenza da tenere in considerazione è che lo sforzo bellico può rallentare la transizione ecologica del Paese: in modo diretto, danneggiando le centrali a energia pulita, o in modo indiretto, deviando le risorse finanziarie ed economiche che altrimenti sarebbero state impiegate per lo sviluppo di un’economia verde. “Gli effetti ecologici dei conflitti sono stati periodicamente messi a fuoco in passato, in particolare in relazione alla seconda guerra d’Indocina e alla prima guerra del Golfo. Tuttavia, la guerra in Ucraina si distingue per l’attenzione prestata al tema. Poco dopo l’invasione i gruppi della società civile internazionale hanno sollevato la questione al Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (Unep)”, riporta il Sipri.

Mappa dei crimini contro l’ambiente in Ucraina, aggiornata al 31 gennaio 2023. Dati di SeveEcoBot

In particolare il governo ucraino è stato attivo, fin dalle prime fasi del conflitto, nel registrare i danni subiti dalla propria biosfera, coinvolgendo Ong, società civile e cittadini attraverso vere e proprie iniziative di citizen science. A supportare lo sforzo sono nate diverse piattaforme online come SaveEcoBot, che consente ai cittadini di segnalare i danni all’ambiente, e dal 18 gennaio di quest’anno c’è una seconda piattaforma EcoZagora, lanciata dal ministero ucraino per la Protezione dell’ambiente e delle risorse naturali, che ha segnalato e accertato un totale di 2.215 casi di danni all’ambiente causati dalle truppe russe. Tutto questo è stato possibile grazie alla collaborazione di più di 18mila cittadini, attivisti, rappresentanti di Ong e scienziati. La piattaforma Ecodozor, sviluppata dallo Zoï environment network, insieme all’Unep, all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) e all’Iniziativa umanitaria Reach, ha registrato oltre 29mila casi segnalati di “danni o interruzioni dovuti ad attività militari” tra febbraio e dicembre 2022, che hanno interessato infrastrutture critiche, impianti industriali, terreni agricoli e centri abitati. “Tutto il lavoro di sviluppo di queste metodologie di valutazione che è stato stimolato dalla guerra potrebbe trovare un’applicazione internazionale molto più ampia, o almeno contribuire a unificare gli approcci attuali”, scrive ancora il Sipri.

La legislazione internazionale, però, rimane ancora carente nell’affrontare e nel punire i danni ambientali prodotti dai conflitti armati. Dal 2001 il Codice penale ucraino prevede il reato di ecocidio definito come la “distruzione di massa della flora e della fauna, avvelenamento dell’aria o delle risorse idriche, e anche qualsiasi altra azione che possa causare un disastro ambientale”. La Corte penale internazionale non lo riconosce però come “crimine internazionale” secondo le definizioni dello Statuto di Roma, nonostante le crescenti pressioni della società civile in tal senso. Nonostante lo Statuto proibisca l’uso di “metodi o mezzi di guerra che sono destinati a causare danni a lungo termine e gravi all’ambiente”, la mancanza di una soglia minima o ben definita rende difficile applicare questi criteri.

Esistono però dei precedenti: nel 1991 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha istituito una Commissione di compensazione che ha imposto all’Iraq il pagamento di risarcimenti per l’invasione del Kuwait, compresi i danni ambientali e l’esaurimento delle risorse naturali. Tuttavia la Russia possiede ancora diritto di veto all’interno di questo organismo, rendendo la soluzione inapplicabile. Nel novembre 2022, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione che raccomanda la creazione di un registro internazionale di “prove e informazioni sulle richieste di risarcimento per danni, perdite o lesioni a tutte le persone fisiche e giuridiche interessate, nonché allo Stato dell’Ucraina”. Sebbene il registro non crei di per sé un meccanismo di riparazione, questo coordina la raccolta di prove e contribuisce a promuovere giustizia e responsabilità.

La guerra in Ucraina cade proprio in un periodo in cui diversi organismi internazionali -dalla Croce Rossa internazionale alle Nazioni Unite-, stanno cercando di costruire un quadro normativo maggiormente vincolante e inclusivo sulla protezione dell’ambiente nei conflitti. “Indipendentemente dal fatto che i tentativi di sanzionare la Russia abbiano successo, gli sforzi ucraini servono comunque a rafforzare le basi normative e a chiarire le vie legali per la giustizia ambientale e la responsabilità nel contesto di un conflitto armato”, proseguono i ricercatori del Sipri.

Un ultimo aspetto considerato dall’istituto riguarda la ricostruzione del Paese al termine del conflitto, che dovrà avvenire in un’ottica di giusta transizione. Per molti anni l’Ucraina è stata una delle nazioni più energivore al mondo e con infrastrutture obsolete e una bassa efficienza energetica di abitazioni e infrastrutture. La guerra rischia di impedire il raggiungimento dei suoi obiettivi di transizione ecologica, tra cui l’aumento della quota delle fonti rinnovabili nel mix energetico al 12% entro il 2025. L’attacco russo ha danneggiato e distrutto diverse centrali per la produzione di energia decarbonizzata presenti nei territori occupati o sotto attacco ma la ricostruzione offre l’opportunità di sostituire gli impianti, le fabbriche e le centrali elettriche più inquinanti con soluzioni sostenibili e all’avanguardia. Un paradosso nella devastazione del diritto internazionale e dell’ecosistema.

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