Diritti / Inchiesta
La Guardia costiera rimuove i dati sull’attività di ricerca e soccorso nel Mediterraneo
Da quest’anno il Comando generale delle Capitanerie di porto ha cancellato dal sito i dati relativi all’attività Sar disponibili dal 2016. Elementi utili per ricostruire la strategia di “respingimenti delegati” attuata dall’Unione europea e dall’Italia. Li ripubblichiamo integralmente. Intanto i numeri del 2021 diffusi a giugno continuano a non tornare
La Guardia costiera italiana ha rimosso dal proprio sito tutti i dati relativi all’attività di ricerca, soccorso e salvaguardia della vita umana in mare disponibili dal 2016, cancellando dalla sezione “Ricerca e soccorso” le schede “Attività SAR Immigrazione” e “Rapporto annuale attività operativa”. Un patrimonio informativo prezioso tramite il quale era possibile osservare natura ed effetti della strategia di “respingimenti delegati” delle persone messa in atto in questi anni dall’Unione europea e dall’Italia per mano delle milizie costiere libiche. Il tentativo di rimozione dei bollettini non è però riuscito fino in fondo: avendone tenuto copia abbiamo deciso di ripubblicarli tutti e nella impaginazione originale.
Questo problema di trasparenza si accompagna all’impropria classificazione delle operazioni di soccorso che emerge anche dal Rapporto annuale 2021, pubblicato il 27 giugno dal Comando generale delle Capitanerie di porto e intitolato “Un anno al servizio del mare”. Nelle 67 pagine presentate dal comandante generale Nicola Carlone e dal ministro delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili Enrico Giovannini, dove si riesce a non nominare mai la Libia, ci si spinge a distinguere tra “persone soccorse” e “migranti soccorsi”. Una forzatura che non trova alcun fondamento giuridico e che ha portato a scrivere nel Rapporto passaggi improvvidi come questo: “1.529 gli eventi coordinati in favore di tutti gli utenti del mare: diportisti (789 eventi), bagnanti (324 eventi), subacquei (45), pescatori (24). 6.000 le persone soccorse; numero a cui si somma la costante attività operativa derivante dall’insistenza del fenomeno migratorio verso le coste nazionali”.
In mare, come impone il diritto internazionale, si soccorrono “naufraghi”, senza considerare condizione, nazionalità, reddito, lingua, etichette. E infatti fino al 2018 la Guardia costiera italiana, che conosce bene questa regola aurea, non si è mai prestata a strumentalizzazioni o distorsioni di natura politica. I bollettini dell’attività di Search and rescue (Sar) rimossi, e che qui ripubblichiamo, documentano questo cambio di approccio e la trasformazione della classificazione delle operazioni di soccorso. Fino a quattro anni fa venivano ordinatamente rendicontate “operazioni di soccorso” che interessavano “persone”. Dal 2019, invece, i prospetti statistici sono stati riferiti a inediti “Eventi riconducibili al fenomeno dell’immigrazione non regolare via mare verso le coste italiane”.
Al di là di questo c’è però un altro problema. I dati relativi all’attività di ricerca e soccorso condotta dalla Guardia costiera nel 2021 non tornano. Il Comando generale delle Capitanerie di porto, nel citato rapporto annuale, sostiene infatti di aver coordinato 300 eventi Sar “connessi a flussi migratori” per 22.233 “migranti soccorsi”. Questo dato è diverso da quanto trasmesso dalla stessa Guardia costiera ad Altreconomia non più tardi del febbraio di quest’anno, quando dopo diversi accessi civici fece sapere, con tanto di tabella, che le persone salvate nel 2021 nell’ambito di attività di ricerca e soccorso coordinate dal Centro di coordinamento del soccorso marittimo (Mrcc) erano state 14.346, per 211 eventi Sar. E che “per l’anno 2021 l’Mrcc di Roma non ha coordinato interventi Sar operati da assetti Ong in favore di migranti”. Tra quanto detto a febbraio e quanto reso pubblico il 27 giugno c’è dunque un buco di circa 8.000 persone. Nell’ossessione per i “flussi irregolari di migranti via mare” -sempre per citare il rapporto- si continua a dare i numeri.
E lo si fa nelle ore drammatiche in cui almeno 22 persone sono rimaste disperse e una donna incinta è deceduta nel Mediterraneo dopo l’affondamento di un gommone. Si tratta del tragico bilancio del soccorso effettuato il 27 giugno dalla nave Geo Barents di Medici Senza Frontiere. “Il nostro peggior incubo divenuto realtà”, ha detto Riccardo Gatti, responsabile delle operazioni di Msf a bordo della nave. “Questo tragico evento è una conseguenza mortale della crescente inazione e del disimpegno degli Stati europei e degli Stati di confine nel Mediterraneo, tra cui Italia e Malta”, gli ha fatto eco Juan Matias Gil, capomissione Sar di Msf, ricordando come “le organizzazioni di ricerca e soccorso non possono colmare questo enorme vuoto da sole”. “Non abbiamo questa capacità e, oltre a ciò, questa responsabilità spetta ai governi. Quello che è successo il 27 giugno dimostra che da soli non possiamo fare abbastanza. Dove sono gli Stati?”.
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