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Esteri / Inchiesta

Nuovi affari dell’Italia sulla frontiera per respingere le persone in Libia

Una motovedetta delle milizie costiere libiche intercetta un gommone alla deriva nel Mediterraneo centrale © Sea-Watch, Black Forest Collective

Navi, motori e un nuovo container mobile collegato al radar della base navale di Abu Sitta, sulle coste libiche. Ecco come il nostro Paese continua a giocare un ruolo chiave nell’intercettare e rimandare indietro i migranti in fuga

Tratto da Altreconomia 245 — Febbraio 2022

Si stringe sempre di più il cerchio dei respingimenti “delegati” alle milizie della Libia nel Mediterraneo centrale a danno dei migranti e dei richiedenti asilo. Nel 2021 sono state ufficialmente 32.425 le persone intercettate in quel tratto di mare e “ritornate” a Tripoli -per usare l’orwelliano lessico dell’Organizzazione mondiale per le migrazioni (Oim)-, di cui circa 1.500 minorenni. È quasi il triplo rispetto al 2020, quando i pushback operati dalla cosiddetta guardia costiera libica -sotto accusa da più parti per violazioni dei diritti umani- furono ufficialmente 11.891. Almeno 1.552 le persone morte o disperse, l’anno prima erano state 978.

L’Italia ha giocato e gioca ancora un ruolo chiave nel rendere efficace la strategia di respingimento, continuando a equipaggiare e a formare le “autorità libiche” attraverso forniture milionarie pur di scongiurare l’accesso alla protezione di migliaia di persone in fuga. Tra le più recenti ci sono anche dieci nuovi container “a varie destinazioni d’impiego” da 860mila euro. Uno di questi è il nuovo Centro di coordinamento di “ricerca e soccorso” mobile (Mrcc), consegnato chiavi in mano ai libici tramite la nave San Giorgio della Marina militare nel dicembre 2021. L’Mrcc è stato predisposto per potersi collegare al radar di sorveglianza di superficie installato presso la base navale di Abu Sitta in territorio libico (dove sono ormeggiati anche assetti della nostra Marina). Il piccolo centro è chiamato sulla carta a “sorvegliare” la gigantesca area di “ricerca e soccorso” (Sar) libica che proprio l’Italia ha contribuito nel 2017-2018 a far istituire e dichiarare dinanzi all’Organizzazione marittima internazionale. 

In arrivo ci sono poi altre tre motovedette realizzate ad hoc dal Cantiere Navale Vittoria di Adria (Rovigo) per 6,3 milioni di euro oltreché l’“ammodernamento” di una quarta nave già ceduta dal nostro Paese a Tripoli, aggiudicato nel dicembre dello scorso anno per 830mila euro sempre all’azienda veneta, più cinque motori Man per le “unità navali” della General administration for coastal security libica (Gacs) da oltre 350mila euro e ulteriori “apparecchiature informatiche e radio” da 45mila euro da “consegnare allo Stato della Libia” (fornitrice è l’azienda Fert Sas di Roma).

Equipaggiamenti come questi sono finanziati direttamente dall’Italia oppure con risorse dell’Unione europea. Il tutto mentre i dispositivi di soccorso istituzionali europei sono di fatto inesistenti sin dalla chiusura dell’operazione “Mare Nostrum” (ottobre 2014) e le navi delle organizzazioni non governative vengono puntualmente ostacolate: dalle prolungate attese al largo prima dell’assegnazione di un luogo sicuro di sbarco dopo complicati salvataggi -come è toccato ancora una volta alla Geo Barents di Medici Senza Frontiere (Msf) e a Sea-Watch a dicembre 2021- ai fermi amministrativi disposti al termine delle missioni -è successo anche a metà gennaio di quest’anno alla Ocean Viking di Sos Mediterranee, bloccata a Trapani dopo un’ispezione di 11 ore della Guardia costiera per “malfunzionamento dell’alimentazione elettrica di bordo” e “presenza di liquidi infiammabili stoccati in locali della nave non idonei”-. “È la sesta ispezione in due anni subita dalla nostra nave, che in occasione dell’ultimo controllo, a dicembre 2020, aveva soddisfatto tutti i requisiti richiesti -ha spiegato il team italiano di Sos Mediterranee-. Ciò vale anche per lo status dei container che, solo nel 2021, hanno accolto 2.832 sopravvissuti: uomini, donne e bambini a cui abbiamo donato una seconda vita”.

Le conseguenze sono frustranti. “La detenzione della Ocean Viking lascia un vuoto enorme nel Mediterraneo dove, solo nel mese di dicembre, sono annegate 240 persone. Fermare la nostra nave significa condannare a morte decine, centinaia di persone”. Chi viene riportato in Libia è perduto. Il 9 gennaio oltre 600 persone che protestavano pacificamente per ottenere protezione e per chiedere di essere evacuate dal Paese sono state arrestate e trasferite nel centro di detenzione di Ain Zara, a Sud di Tripoli. In 68 sono stati curati da Msf per aver riportato ferite da taglio, segni di percosse, traumi psicologici. “Tra loro anche genitori che sono stati picchiati e separati dai loro figli durante l’evento”, ha denunciato Gabriele Ganci, capomissione di Msf in Libia. In sette sono finiti in ospedale.

“Il problema vero rimangono le morti nel Mediterraneo ma non si vede alcun miglioramento. La risposta è militare, finalizzata al potenziamento su larga scala delle guardie costiere libiche” – Riccardo Gatti

In questo scenario da “sporca frontiera” il ministero dell’Interno italiano si conferma protagonista. Come raccontiamo da tempo su Altreconomia, è infatti il Viminale a coordinare dal 2017 il progetto “Support to integrated Border and Migration Management in Libya” (Sibmmil) legato al Fondo fiduciario per l’Africa, istituito dalla Commissione europea a fine 2015 per (in teoria) “affrontare le cause profonde dell’instabilità, degli spostamenti forzati e della migrazione irregolare e per contribuire a una migliore gestione della migrazione”. Il Sibmmil è suddiviso in due fasi: la prima è dotata di un budget di 46,3 milioni di euro, la seconda di 15 milioni. 

Per l’Mrcc sono previsti “integrazione ed interfacciamento” con il sensore radar GEM già installato a Tripoli presso la base navale di Abu Sitta

Ed è proprio con i fondi del primo “blocco” che è stata bandita la gara da 910mila euro per la fornitura dei container e quindi del Centro di coordinamento di “ricerca e soccorso”. Il ministero dell’Interno ha chiesto allo Stato maggiore della Marina militare di fare da stazione appaltante, seguendo dal principio la procedura, bandita nel maggio 2020, e la selezione finale dell’attuatore, la R.I. Spa di Trepuzzi (Lecce), per 860mila euro. Obiettivo: “Potenziare le capacità di monitoraggio e sorveglianza marittima della fascia costiera e per il mantenimento in prontezza degli equipaggi delle motovedette libiche”. 

Oltre a nove container adibiti a vario titolo a “uso abitativo/logistico”, “uso ufficio”, “preparazione pasti”, “celle frigo”, “generatore”, ce n’è uno destinato appunto a “Libyan Maritime Rescue Coordination Center (Mrcc)”. Dovrà essere “mobile” lungo la costa, motivo per cui è stato realizzato per poter essere “fissato isolato con i suoi corner su qualsiasi camion”. La Marina ne ha disegnato la planimetria prevedendo anche la postazione del “radar operator”. Come si legge nel disciplinare di gara sono stati previsti infatti “integrazione ed interfacciamento con il sensore radar GEM già installato a Tripoli presso la base di Abu Sitta”. GEM sta per GEM elettronica, società di San Benedetto del Tronto (AP) specializzata nella produzione di radar e sensori e molto attiva sul mercato della sorveglianza marittima e dei confini. Nell’aprile 2021 Leonardo (ex Finmeccanica) ne ha acquisito il 30% del capitale e nel 2024 potrebbe esercitare un’opzione di acquisto per assumerne il controllo.

È pari a 6,3 milioni di euro il il costo per altre tre navi che l’Italia cederà allo Stato della Libia. Il costruttore è il Cantiere Navale Vittoria di Adria

La mancanza di trasparenza è un tratto peculiare della “strategia”. Prova ne è l’accordo di collaborazione firmato il 21 ottobre 2021 tra la direzione centrale dell’Immigrazione e della Polizia delle frontiere insediata presso il ministero dell’Interno e l’Agenzia Industrie Difesa (AID), ente pubblico nato nel 2001 e “vigilato” dal ministro della Difesa, Lorenzo Guerini. AID collabora con industrie d’armi pubbliche o private come Leonardo, Fiocchi, MES, SIMMEL Difesa, Fincantieri, RFI, Beretta, Magnaghi, MBDA. Stando alle determine precedenti alla stipula dell’accordo, sarebbe stato proprio il ministero guidato da Luciana Lamorgese a “chiedere” nell’estate scorsa all’Agenzia diretta dall’ex senatore Nicola Latorre, “la disponibilità a fornire collaborazione per iniziative a favore dei Paesi non appartenenti all’Unione europea finalizzate al rafforzamento delle capacità nella gestione delle frontiere e dell’immigrazione e in materia di ricerca e soccorso in mare”. Una collaborazione “da attuarsi anche tramite la fornitura di mezzi e materiali” per dare impulso proprio alla seconda fase del progetto Sibmmil in Libia da 15 milioni di euro.

Un drone dell’Agenzia Frontex sorveglia il Mediterraneo. Un anno fa Leonardo si è aggiudicata senza concorrenti la gara del ministero dell’Interno per il noleggio annuale di un drone al costo di 6,9 milioni di euro. Obiettivo: monitorare le rotte migratorie © Sea-Watch, Cristina Zerr

Quali mezzi e materiali non è chiarito. L’AID può però contare su nove stabilimenti attivi nel campo della cantieristica navale, della produzione di cordame, del munizionamento e della demilitarizzazione, della digitalizzazione e della dematerializzazione (si va da Messina a Castellammare di Stabia, da Torre Annunziata a Gaeta). Non solo. L’area “commerciale e sviluppo mercati” dell’Agenzia tratta anche “materiale in surplus delle forze armate” come mezzi terrestri, aerei, navali e armi leggere. La “valorizzazione” di quel materiale d’armamento si traduce anche nella sua “cessione” sia a forze armate di Paesi stranieri sia ad aziende private italiane che vanterebbero, dice l’Agenzia, “un know-how consolidato nel revamping e up-grading di sistemi d’arma”. La direzione del Viminale si è rifiutata di rendere pubblico l’accordo e di fronte alle nostre istanze di accesso civico, riesaminate dal responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza del ministero a metà gennaio, ha preso tempo, ribadendo che a suo giudizio il tutto sarebbe comunque “non ostensibile”. Quello con l’AID non è l’unico accordo di collaborazione per la Libia del ministero dell’Interno. Risale infatti all’8 novembre 2021 la convenzione tra il Viminale e la Guardia costiera italiana per la cessione di tre “unità navali Sar classe 300” realizzate dal Cantiere Navale Vittoria e dal valore di 6,3 milioni di euro a beneficio della Libyan coast guard and port security (Lcgps). Anche questa intesa è inserita nell’ambito della “Fase due” del progetto Support to integrated Border and Migration Management in Libya finanziato dall’Ue.

Sono anni che Riccardo Gatti, Sar team leader a bordo della Geo Barents di Msf, salva vite in mare. Osserva con sconcerto gli ultimi sviluppi: “Dopo tanto tempo si resta sempre basiti da queste scelte operative che non si preoccupano affatto della protezione della vita in mare quanto solo del rigetto delle persone. Il problema vero rimangono le morti nel Mediterraneo ma non si vede alcun miglioramento. La risposta è militare, finalizzata al potenziamento su larga scala delle guardie costiere libiche e al sistematico blocco delle navi umanitarie che da anni stanno soccorrendo con professionalità le persone”. Nel frattempo l’Ue incentiva gli intercettamenti e i respingimenti, preoccupandosi al limite dei metodi. Lo ha indicato nella scheda della “seconda fase” del  progetto Sibmmil: “Se il trattamento dei migranti durante gli interventi ricerca e il soccorso non verrà migliorato -riporta la voce ‘Rischi’-, allora sarà ulteriormente danneggiata la narrazione e la reputazione dell’Unione europea”.
Perché anche la violenza ha il suo galateo. 

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