Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Cultura e scienza / Approfondimento

Il rap femminista guida le battaglie delle donne in America Latina

© Joshua Hanson - Unsplash

Insieme ad altre forme d’arte e cultura, il rap è sempre di più un potente strumento di decostruzione degli immaginari machisti e si stanno moltiplicando esperienze, singole e collettive, di artiste che mescolano musica e militanza politica. Senza vendersi o recitare la parte ritagliata dalle major. Il nostro viaggio, dal Messico all’Argentina

“Quando abbiamo iniziato eravamo molto poche ma ora siamo tante”, dice Audry Funk rapper nata a Puebla come il collettivo multidisciplinare “Mujeres Trabajando” sorto in Messico nel 2009. Audry è una delle artiste del continente che concepisce il fare arte come elemento politico e rivendicativo. In primis denunciando le asimmetrie di genere, ma non solo. Il suo collettivo, infatti, nasce con l’idea di aprire spazi di vita e di espressione troppo spesso negati da costrutti sociali.

“È importante che ora ci siano donne che attraversano strade e palchi portando discorsi più consapevoli che riguardano tutto il continente -aggiunge-. La cultura può essere un modo per cambiare la società: non è la cura ma avvicinare le persone all’arte può aiutare a ricucire le ferite. Certo, con l’arte non possiamo fermare la strisciante corruzione che attraversa i nostri Paesi, non curiamo il Messico dal crimine organizzato. Però possiamo aumentare la coscienza collettiva e far capire che non siamo destinate, come dicono le statistiche, a far una certa vita perché siamo nate così in questo posto del mondo. L’arte crea alternative”.

Il rap e altre forme d’arte e cultura (come quelle messe in campo dal collettivo Las Tesis in Cile), stanno diventando un potente strumento di decostruzione degli immaginari machisti in America Latina e si stanno moltiplicando esperienze, singole e collettive, di artiste che mescolano musica e militanza politica. Sempre in Messico c’è il collettivo Batallones Femeninos. “L’ampio movimento femminista del Paese fa sue le richieste globali di ‘Ni Una Menos’ -spiega Obeja Negra, una delle militanti-. Ci ricorda quanto sia doloroso e crudele essere una donna in Aby Ayala (il nome ‘indigeno’ dato al continente americano che significa ‘terra di piena maturità’, ndr). Le donne non sono un territorio di conquista e dobbiamo lottare giorno dopo giorno per essere libere”.

La diffusione del rap e della musica militante femminista coinvolge sempre di più artiste e artisti, tanto che anche popstar come Julieta Venegas o Karol G hanno mostrato simpatia ed empatia verso le lotte antisessiste e antipatriarcali. Probabilmente “l’art-attivista” più conosciuta in Europa è la franco-cilena Ana Tijoux. In Argentina, Sara Hebe o Miss Bolivia rivendicando la loro radicale militanza transfemminista e mescolando rap e cumbia si sono imposte nel panorama musicale continentale.

“Il mondo del rock ha le stesse problematiche del rap. Se si presta attenzione ai testi delle canzoni dagli anni Sessanta ai Novanta si trovano messaggi terribili” – Emi Almic

Tra chi vive, canta e fa cultura in Argentina, anche se di nazionalità uruguayana, c’è Emi Almic. “Il machismo fa parte della scena rap e hip hop in tutto il mondo, perché la ‘scena’ è solo una piccola parte di un contesto dove il patriarcato è dominante -spiega-. Non è solo un problema del rap, per esempio anche il mondo del rock ha le stesse problematiche tanto che se si presta attenzione ai testi delle canzoni dagli anni Sessanta ai Novanta si trovano messaggi terribili. Ho iniziato a cantare e salire sui palchi nel 2012, sono sempre stata indipendente perché è un modo per garantirmi la libertà di esprimermi. La musica è il modo che ho trovato per dire ciò che penso ma anche per darmi un mio spazio nel mondo facendo ciò che mi piace. Così nel tempo ho cominciato ad aggiungere anche le tematiche del femminismo e a problematizzare questioni di genere nelle mie canzoni senza però sentirmi obbligata a farlo come se avessi un mandato politico che mi spinge. Io non sento di dover rappresentare nessuna comunità lo faccio perché lo sento, lo faccio per me”.

La sua canzone più ascoltata su Spotify è Brujas, dove canta “Volevi l’uguaglianza, dire quello che pensavi e ti hanno chiamata capricciosa. Il paradigma patriarcale ci uccide e ci costringe a essere viste come oggetti. Uruguay naturale, con violenza maschile naturalizzata. Gentile Yoruguá, a morte i tuoi cliché e che la strega sia immortalata”.

Visualizza questo post su Instagram

 

Un post condiviso da Rebeca Lane (@rebecalane6)

In questa marea artistica spicca la guatemalteca Rebeca Lane, rapper, sociologa, poetessa e attivista. Rebeca è nata nel 1984 a Città del Guatemala ed è arrivata al rap per questione generazionale. Ha iniziato a scrivere versi tra il 2004 e il 2005, ed è stata una delle prime artiste militanti della scena continentale. “Quando ho iniziato c’erano diverse donne già parte della scena rap ma non si identificavano come femministe -spiega-. In tutta l’America Latina eravamo pochissime a fare rap così e abbiamo iniziato a costruire una rete, un’alleanza. Ci siamo conosciute via via e abbiamo organizzato eventi comuni. La mia carriera ha iniziato così a evolversi”.

Sempre di più, le rapper hanno cominciato a cantare che cosa succedeva a loro in quanto donne nel mondo. “Questo ha generato interesse in molte altre e siamo arrivate all’oggi, con il movimento di donne che fanno rap femminista che è diventato sempre più numeroso: tanto che ci sono artiste che, pur non essendo militanti, riportano queste tematiche nelle loro canzoni. Possiamo dire che non è più una sensibilità underground ma è diventata massiva. Il rap politico non è più questione prettamente maschile com’era di fatto quando ho iniziato”.

“Il femminismo non è un fatto di purezza, è un punto di vista che ti permette di analizzare la società e così costruire lotte sociali, proprio per questo si parla di femminismi: ci sono diverse visioni e correnti” – Rebeca Lane

Per Rebeca fare musica è una forma di lotta politica. “Gramsci lo aveva bene in mente -dice- quando sosteneva che l’egemonia si costruisce con tanti fattori ma principalmente attraverso la cultura. Quindi quando dalla cultura si genera uno scontro con il discorso e i valori che sostengono il sistema di oppressione si sta contribuendo alla lotta contro i dispositivi dominanti. I cambiamenti politici non possono che essere accompagnati da trasformazioni culturali”. Secondo Lane la vittoria di Bernardo Arévalo alle elezioni politiche di metà gennaio in Guatemala, non si può spiegare senza i cambiamenti culturali in corso nel Paese dal 2015.

Nonostante la forza della scena Rebecca ricorda come la maggior parte delle artiste militanti si trovi marginalizzata dall’industria musicale. “Il capitalismo sa benissimo che il femminismo ‘vende’ così fa sue alcune proposte ma non quelle che propongono uno scontro netto con le forme d’oppressione”. Le complessità sono il pane delle canzoni e della visione politica di Rebecca Lane tanto che per lei la marea targata Ni Una Menos è “una delle espressioni del femminismo contemporaneo e mostra come l’uso consapevole delle reti sociali può trasformare una mobilitazione locale in globale”.

La rapper è consapevole delle differenze presenti tra il movimento in Europa e in America Latina. “Però il femminicidio è un tema unificante -agigunge- perché in tutto il mondo le donne lottano per la vita. Ci tengo a sottolineare che le proposte che arrivano dal Cile o dall’Argentina, che sono certo società tra le più occidentalizzate e ‘bianche’ del Sud America, sono quelle più conosciute a differenza di quanto arrivi da territori dove noi donne siamo razzializzate. Il femminismo non è un fatto di purezza, è un punto di vista che ti permette di analizzare la società e così costruire lotte sociali, proprio per questo si parla di femminismi: ci sono diverse visioni e correnti, c’è anche il servile femminismo liberale, ci sono donne, come quelle che provengono dai contesti indigeni, che provengono dai contesti indigeni, che non si definiscono femministe ma antipatriacali. Il femminismo occidentale spesso è intriso di colonialismo”.

© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2024 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati