Diritti / Opinioni
Il diritto alla salute degli stranieri “irregolari”
La legge garantisce cure essenziali, urgenti e anche continuative. Vige il divieto di segnalazione. Ma non sempre è rispettata. La rubrica di Gianfranco Schiavone dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione
La pandemia da Covid-19 sta producendo profondi cambiamenti nelle democrazie europee mettendo in crisi livelli di tutela dei diritti fondamentali in una misura neppure immaginabile fino a due anni fa. Sfiorerò l’enorme tematica, destinata a cambiare molti equilibri globali, esaminando un tema specifico che ben illumina lo scenario: il diritto alla salute dei cittadini stranieri irregolari che vivono in Italia.
Sul piano giuridico l’Italia è il Paese dell’Unione europea con un più efficace livello di tutela perché agli stranieri non in regola con le norme sul soggiorno sono comunque garantite “le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative, per malattia ed infortunio e sono estesi i programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva” (art. 35 del Testo unico sull’immigrazione). Diversamente da quanto molti ritengono, la citata norma non copre affatto solo gli interventi di pronto soccorso bensì tutte le cure essenziali, fornendo una tutela sanitaria assai ampia e quasi analoga a quella assicurata a tutti i cittadini e agli stranieri regolari e ciò in attuazione dell’art. 32 della Costituzione che “tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. Poiché tale diritto deve potere essere concretamente esercitabile la norma ha previsto che “l’accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno non può comportare alcun tipo di segnalazione all’autorità, salvo i casi in cui sia obbligatorio il referto, a parità di condizioni con il cittadino italiano”.
400mila: la stima dei cittadini stranieri “irregolari” presenti in Italia
Le prestazioni sanitarie ai non regolari avvengono utilizzando un codice regionale a sigla STP (Straniero Temporaneamente Presente) previsto dall’art. 43 del Dpr 394/99. La normativa è tassativa tanto da potere essere considerata, su questa materia, la migliore d’Europa. Nonostante ciò anch’essa non è rimasta esente da quel processo inesorabile di erosione e disapplicazione che stritola da anni tutte le innovazioni che hanno preso vita nella gestione delle migrazioni in Italia. Il citato Dpr ha attribuito alle Regioni la scelta delle “modalità più opportune per garantire che le cure essenziali e continuative previste dall’articolo 35, comma 3, del testo unico” tramite “le strutture della medicina del territorio o nei presidi sanitari, pubblici e privati accreditati, strutturati informa poliambulatoriale od ospedaliera”.
Nella vaghezza di tale ultima disposizione regolamentare si è annidato il tarlo: con il passare del tempo e il crescere di un clima ostile ben orchestrato, in diverse Regioni, tanto i servizi ambulatoriali dedicati quanto i punti amministrativi di accesso con presenza di mediatori linguistici uniti a campagne informative, sono declinati; lentamente la norma è stata sterilizzata e agli stranieri, come al personale sanitario e al cittadino, è stato fatto credere che le cure per gli irregolari consistano solo nel pronto soccorso e che il divieto di segnalazione dell’irregolare alla pubblica sicurezza non sia mai esistito.
Ritengo sia fondato stimare che parte rilevante degli irregolari (la cui presenza, dopo la regolarizzazione del 2020, si stima in 400mila persone, dato che si ottiene dalla differenza tra le domande di emersione, poco più di 200mila, e il numero complessivo di irregolari, valutato, ad inizio estate 2020, dalla Fondazione Ismu, in oltre 600mila persone) si trovino oggi ai margini del sistema sanitario e ricorrano alle cure quando l’evento morboso è già avanzato o in caso di urgenze e incidenti. Come garantire agli irregolari, compresi quelli che lavorano in nero in agricoltura, nei servizi o nelle nostre comode case, l’accesso alle misure vaccinali anti-Covid-19 non sembra al momento un tema di interesse pubblico. Si vedrà più avanti, forse.
Gianfranco Schiavone è studioso di migrazioni nonché componente del direttivo dell’Asgi e presidente del Consorzio italiano di solidarietà-Ufficio rifugiati onlus di Trieste
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