Crisi climatica / Intervista
Il dialogo spezzato tra i ghiacciai alpini e il clima. E chi fa finta di non accorgersene
I ghiacciai al di sotto dei 3.500 metri sono oggi immersi in un clima che è incompatibile con la loro esistenza. Non essendo più capaci di conservare la neve registrano inevitabilmente bilanci negativi, avviandosi all’estinzione. Quale patrimonio si disperde e che cosa, invece, si può ancora salvare. Intervista a Giovanni Baccolo, divulgatore e ricercatore di Glaciologia e scienze della Terra negli ambienti freddi
Ogni anno tra fine agosto e inizio settembre è il momento naturale in cui determinare lo stato di salute dei ghiacciai. “È alla fine dell’estate che si fanno i rilievi per determinare la fusione e l’arretramento dei ghiacciai, per comprendere quanto è stata negativa l’annata”, racconta Giovanni Baccolo, ricercatore che si occupa di Glaciologia e scienze della Terra negli ambienti freddi presso l’Università degli Studi di Roma Tre, divulgatore sul blog Storie minerali e autore del libro “I ghiacciai raccontano”, pubblicato da People in collaborazione con L’Altramontagna, il quotidiano online che approfondisce i temi ambientali e sociali delle Terre alte.
Questo, racconta Baccolo, è quel momento dell’anno in cui i ghiacciai ottengono la maggiore visibilità, anche grazie alla Carovana dei ghiacciai, promossa da Legambiente insieme al Comitato glaciologico italiano, di cui il ricercatore fa parte. Nel 2024, ad esempio, la Carovana ha certificato l’estinzione del ghiacciaio di Flua, sul Monte Rosa, e preconizzato che quello della Marmolada non esisterà più nel 2040.
Baccolo, oggi dice “quanto è stata negativa l’annata”, ma fino a cinquant’anni fa non era così, vero?
GB Il 2001 è stato l’ultimo periodo in cui c’è stato, per i ghiacciai alpini, quelli che interessano più da vicino il nostro Paese, un leggerissimo bilancio positivo. Prima di allora, lo stesso era successo in una manciata di annate, nel corso degli anni Settanta del secolo scorso. Dal 2001, però, è assolutamente sicuro che il bilancio sarà negativo. L’unica speranza che nutriamo, da glaciologi, è che i dati lo siano il meno possibile.
Nel libro scrive che i ghiacciai alpini “sono oggi immersi in un clima che è incompatibile con la loro esistenza”.
GB È così, per fortuna ancora non riguarda tutti i ghiacciai dell’arco alpino, ma solo quelli al di sotto dei 3.500 metri sul livello del mare. Ed è questo il motivo per cui è ancora possibile, in alcuni casi, avere dei bilanci positivi o neutri. Il tema reale, emerso, è che non c’è più un dialogo costruttivo tra i ghiacciai e il clima, per cui quelli al di sotto dei 3.500 metri non sono più capaci di conservare la neve e inevitabilmente hanno bilanci negativi, non producendo nuovo ghiaccio. Questo significa che un ghiacciaio scompare lentamente e anche che esiste solo per inerzia, perché dal punto di vista climatico non dovrebbe più esistere.
Eccoci allora di fronte, come scrive nel libro, alla scomparsa di un ecosistema naturale.
GB Quando ci allarmiamo per le notizie legate alla deforestazione, a causa dell’aumento delle superfici coltivate, che sconvolgono ecosistemi e ambienti naturali, non teniamo in considerazione che questi episodi riguardano solo una frazione di quell’ecosistema. Per i ghiacciai, invece, non è così, perché li stiamo perdendo integralmente. E i ghiacciai non sono solo ammassi di ghiaccio ma rappresentano un habitat ancora poco studiato e poco conosciuto, che sta scomparendo in toto proprio mentre stiamo imparando a conoscerlo.
Questa conoscenza, spiega il tuo libro, è anche una delle fotografie più accurate del clima passato. Per quale motivo?
GB I ghiacciai, per come si formano, sono in grado di raccogliere e accumulare e conservare un sacco di informazioni metereologiche e climatiche, ma non solo. Gli strati di ghiaccio, grazie a segnali di tipo fisico e chimico, ci offrono informazioni su quanto avvenuto in passato. Oggi conosciamo il sistema climatico meglio di alcuni decenni fa e molte informazioni sono arrivate dai ghiacciai, in particolare da quelli polari che ci hanno permesso di studiare le cose andando più indietro nel tempo, avendo cumulato neve per millenni. Le carote di ghiaccio, racconto, permettono veri e propri viaggi nel tempo. Anche i ghiacciai alpini, però, sono importanti, perché trattengono storie locali, magari più circoscritte nel tempo ma dettagliate: ad esempio, abbiamo potuto ricostruire la storia dell’inquinamento atmosferico in Europa negli ultimi secoli e le variazioni del clima negli ultimi millenni e anche l’impatto delle attività umane sulla chimica del ghiaccio.
Alcuni capitoli del libro sono dedicati ad Antartide, Artico e Groenlandia, per certi versi i veri osservati speciali quando si temono gli effetti più negativi della fusione dei ghiacciai.
GB Per motivi geografici, riceviamo notizie relative ai ghiacciai alpini, anche grazie a iniziative come la Carovana: anche se per noi addetti ai lavori è scontato che arrivino questi dati così negativi, il lavoro di divulgazione è fondamentale. Senz’altro, però, il ritiro dei ghiacciai alpini, un glacialismo limitato, produce effetti localizzati, relativi a problemi di disponibilità idrica o di riempimento degli invasi, per la tenuta di singoli versanti. Quando si parla di Groenlandia o di Antartide occidentale, il riferimento è ad altri ordini di grandezza: in questo caso, il cambiamento climatico produce trasformazioni che hanno impatti globali, come l’innalzamento del livello del mare, che è guidato dal ritiro dei ghiacciai polari. La sola scomparsa dalla calotta antartica occidentale porterebbe a un innalzamento di cinque metri delle acque. Ci sono, cioè, centinaia di milioni di persone il cui futuro dipende da come si comporteranno questi giganteschi ghiacciai nei prossimi decenni, per questo è fondamentale limitare l’aumento delle temperature.
Stiamo affrontando stagioni molto siccitose. Perché la fusione dei ghiacciai non è una risposta possibile e sensata alla carenza d’acqua?
GB Quando i ghiacciai si ritirano in modo vistoso, come negli ultimi anni, ovviamente ci troviamo con una disponibilità maggiore di acqua glaciale e questo potrebbe oscurare problemi di siccità o scarsità di neve. Si tratta però di un tampone temporaneo, che sfrutta riserve che hanno occupato secoli e millenni per formarsi. Quell’acqua non tornerà più, non è una risorsa rinnovabile. Se tutto andasse in modo naturale, invece, lo sarebbe. A causa del nostro intervento, però, quell’elemento sta andando perduto completamente. Quello che accade sull’arco alpino è molto indicativo: se cade pioggia, se ne va molto più velocemente; se cade neve, si trasforma in ghiaccio ed è una riserva molto più disponibile, che viene rilasciata in estate, quando c’è un problema effettivo ed è un effetto tampone che sta andando completamente perduto.
Ad amplificare questa dinamica, anche il fatto che gli ambienti molto freddi sono più esposti di quelli “temperati” al riscaldamento globale.
GB Una caratteristica degli ambienti che ospitano ghiacciai è quella di essere molto più sensibile, a parità di perturbazione sul clima, all’aumento delle temperature, che è più alto rispetto alla media globale. Questo vale sulle Alpi e anche nell’Artico, un contesto che presenta determinate caratteristiche, ad esempio la maggior importanza del ghiaccio marino rispetto a quello terrestre, che caratterizza l’Antartide. Dove oggi esistono ghiacciai, i cambiamenti possono essere amplificati.
Eppure c’è chi ancora nega i riflessi dei cambiamenti climatici sui ghiacciai, come il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti Matteo Salvini che lo scorso anno nel corso di un comizio si espresse così: “Io adoro la montagna. E quando vai sull’Adamello e sul Tonale e vedi i ghiacciai che si ritirano anno dopo anno ti fermi a pensare, poi studi la storia e vedi che sono cicli”. Perché, a tuo avviso, accade?
GB Da una parte agisce la propensione a non credere al mondo scientifico e a quello che da decenni ci segnala, dinamiche che nelle singole persone può dipendere dalla difficoltà di accettare un cambiamento così importante, ma anche pigrizia, perché per contrastare questa situazione e attuare uno stile di vita più sostenibile dobbiamo fare sacrifici, rinunce e mettere in discussione un certo stile di vita. C’è poi un negazionismo che fa breccia nel mondo politico o dirigenziale, guidato dagli interessi economici che stanno dietro alla transizione energetica, all’esigenza di un ripensamento del sistema economico globale. Dal punto di vista elettorale, poi, i cittadini sono più contenti quando si sentono dire dai politici che va tutto bene e che non c’è bisogno di trasformazioni.
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