Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Crisi climatica / Approfondimento

L’incremento delle temperature in montagna e il futuro del turismo sciistico

© Jasmina Rojko - Unsplash

Secondo uno studio realizzato a partire da oltre 700mila temperature registrate in 175 stazioni microclimatiche, negli ultimi 20 anni alcune aree di alta montagna si sono riscaldate ancor più di quanto atteso dai modelli globali. Investire su modelli dal destino segnato è “miope, illogico e irragionevole”, spiegano da Mountain Wilderness

Negli ultimi 20 anni alcune aree di alta montagna si stanno riscaldando ancor più di quanto atteso dai modelli globali: considerando la media annua, l’incremento delle temperature del suolo nel periodo 2016-2020 rispetto al 2001-2005 è stato consistente, soprattutto nella zona intertropicale (più 0,75 °C) e nell’emisfero australe (più 1,02 °C). 

Sono alcuni dei risultati di uno studio sul cambiamento climatico in montagna, pubblicato su Nature communications. Il lavoro di ricerca è stato coordinato dall’Università degli studi di Milano e dell’Istituto di geoscienze e georisorse del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa (Cnr-Igg), in collaborazione con il Muse – Museo delle Scienze di Trento e la University of Texas – Austin: l’analisi è stata realizzata piazzando centinaia sensori per misurare la temperatura del suolo in prossimità dei ghiacciai che si trovano in diverse aree del mondo, dalle Alpi alle Ande del Perù fino alle isole Svalbard (vicino al Polo Nord). Questo ha permesso di produrre la carta più dettagliata a oggi esistente della temperatura nelle aree di alta montagna, in grado di rilevare le differenze che possono esistere tra zone a poche decine di metri di distanza.

Il paper Heterogeneous changes of soil microclimate in high mountains and glacier forelands evidenzia come la situazione sia particolarmente grave per le montagne delle aree tropicali e sub-tropicali, e per le zone in prossimità dei ghiacciai. Lo studio è stato realizzato a partire da oltre 700mila temperature registrate in 175 stazioni microclimatiche nel periodo 2011-2021. “L’assenza di neve aumenta gli scambi di calore tra aria e suolo e l’albedo (la capacità di riflettere la luce, ndr) più basso facilita l’assorbimento della radiazione solare, determinando rapporti più ripidi. Ciò amplifica l’aumento della temperatura lungo i gradienti altimetrici e probabilmente ha impatti importanti sull’intero ecosistema, come un aumento della produttività della vegetazione e un cambiamento delle comunità biotiche”, spiega lo studio.

Come evidenzia un comunicato diffuso dal Muse, “la presenza di neve e ghiaccio può infatti tamponare l’aumento della temperatura, ma la loro scomparsa dalle aree di alta montagna di tutto il mondo sta cambiando questi ecosistemi importantissimi a una velocità senza precedenti”. In tutte le fasce latitudinali, infatti, il riscaldamento è stato molto più intenso in prossimità dei ghiacciai (entro cento metri) che nelle aree a tre chilometri dai ghiacciai stessi: nell’emisfero settentrionale si passa da +0,63 a +0,34 gradi, nell’emisfero meridionale da +1,38 a +0,79, zona intertropicale +1,13 contro +0,57. Riassumendo: nell’ultimo ventennio le aree prossime ai ghiacciai si sono scaldate circa il doppio di quelle situate a soli tre chilometri di distanza. 

Un altro elemento misurato riguarda la diminuzione della durata della stagione con neve al suolo, con pattern confrontabili a quelli di temperatura, ma ancora più evidenti. In questo caso, in prossimità dei ghiacciai i decrementi medi sono stati di circa 23 giorni nell’emisfero meridionale e 20 nella zona intertropicale, mentre di 13 giorni nell’emisfero settentrionale. A tre chilometri dal ghiacciaio, invece, i decrementi sono stati ridotti o nulli. Anche in questo caso, riassumendo, negli ultimi 20 anni le aree prossime ai ghiacciai hanno sperimentato un fortissimo incremento medio della lunghezza della stagione senza neve al suolo: da due settimane a un mese per anno. 

In questo contesto di rapido incremento delle temperature in montagna, un altro paper, pubblicato in questo caso da Nature climate change, evidenzia come il cambiamento climatico aggravi le sfide neve-acqua-energia per il turismo sciistico europeo. Di fronte agli scenari che prevedono un innalzamento delle temperature medie tra i due e i quattro gradi centigradi, l’analisi evidenzia che senza innevamento artificiale tra il 53% e il 98% delle 2.234 stazioni sciistiche studiate in 28 Paesi europei saranno a rischio molto elevato per quanto riguarda l’approvvigionamento di neve. La percentuale scende rispettivamente al 27% e al 71% immaginando una copertura frazionale dell’innevamento del 50%, “ma con un aumento della domanda di acqua e di elettricità (e della relativa impronta di carbonio) dell’innevamento”, sottolineano gli autori.

Mountain wilderness, intervenendo a partire dallo studio in merito al dibattito sul potenziamento di impianti a fune e di nuove piste in Alto Adige, sottolinea che “il clima sta cambiando velocemente” e che servono “scelte coraggiose” per ridurre “l’assalto alla montagna” (da leggere a proposito l’intervista a Marco Albino Ferrari sul suo libro “Assalto alle Alpi” su Altreconomia 260). L’associazione denuncia “l’incongruenza nel continuare a investire su questo modello di turismo invernale, quando invece non avrà futuro. Se il turismo che promuoviamo genera tanto traffico, abbiamo mancato l’obiettivo per due motivi: da un lato perdiamo attrattività turistica, dall’altro contribuiamo all’accelerazione dei cambiamenti climatici, proprio quelli che faranno chiudere i comprensori sciistici. Un atteggiamento di questo tipo -chiosa Mountain wilderness- è miope, illogico e inspiegabile”. 

© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2024 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati