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Ambiente / Approfondimento

Il consumo di suolo in Italia riprende a correre a un ritmo “insostenibile”

Un esempio di consumo di suolo a Novara per la realizzazione di un polo logistico di 23 ettari tra l’area di cantiere e quella edificata - © Snpa, 2022

Nel 2021 le nuove coperture artificiali hanno interessato 69,1 chilometri quadrati, cioè 19 ettari in media al giorno: è il valore più alto degli ultimi 10 anni. I dati della nuova edizione del Rapporto sul “Consumo di suolo” a cura del Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente. Con focus dedicati a logistica e fotovoltaico a terra

L’Italia continua a consumare suolo a un “ritmo non sostenibile” e nel 2021 è tornata a farlo a “velocità elevate”, invertendo il trend di riduzione degli ultimi anni, nonostante pandemia e crisi climatica. Lo scorso anno le nuove coperture artificiali hanno infatti interessato 69,1 chilometri quadrati, cioè in media 19 ettari al giorno: si tratta del valore più alto degli ultimi 10 anni.
È quanto emerge dall’edizione 2022 del prezioso Rapporto “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici”, curato dal Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa) e presentato il 26 luglio.

Nell’ultimo anno abbiamo perso 2,2 metri quadrati di suolo al secondo, “causando la scomparsa irreversibile di aree naturali e agricole” per far posto a nuovi edifici, infrastrutture, poli commerciali, produttivi e di servizio. Per non parlare della “crescente pressione dovuta alla richiesta di spazi sempre più ampi per la logistica”. Non c’è una ragione demografica dietro a questi processi di urbanizzazione: la popolazione residente è calata ma non il consumo di suolo, arrivato alla quota pro-capite (impressionante) di 363 metri quadrati per abitante nel 2021 (erano 349 nel 2012).

Stima del consumo di suolo annuale tra il 2020 e il 2021. Fonte: elaborazioni Ispra su cartografia Snpa, 2022

La copertura artificiale del suolo in Italia è giunta così al 7,13% -contro la media dell’Unione europea che è del 4,2%-, oltrepassando il 10% nel caso del “suolo utile”, ovvero quella parte di territorio “teoricamente disponibile e idonea” a usi diversi, ricorda il Snpa.

Tra 2006 e 2021 l’espansione urbana e le sue “trasformazioni collaterali” si sono mangiate 1.153 chilometri quadrati di suolo, a una media di 77 chilometri quadrati ogni anno

I valori più elevati di suolo consumato sono in Lombardia (12,12%), Veneto (11,90%) e Campania (10,49%). Nel 2021 gli incrementi maggiori sono avvenuti in Lombardia (più 883 ettari rispetto al 2020), Veneto (684), Emilia-Romagna (658), Piemonte (630) e Puglia (499).
Monza e Brianza si conferma la provincia con la percentuale di suolo artificiale più alta d’Italia: è di circa il 41% di suolo consumato in rapporto alla superficie provinciale. Mentre le province dove il consumo di suolo netto è cresciuto di più nel 2021 rispetto al 2020 sono Brescia (più 307 ettari), Roma (216) e Napoli (204). La città metropolitana di Roma è quella con la maggiore superficie consumata al 2021, con oltre 70.100 ettari. Seguono su scala provinciale Torino (58.075 ettari consumati), Brescia (50.022) e Milano (alla soglia dei 50mila ettari al 2021).
A livello comunale anche nel 2021 continua a spiccare Roma -che dal 2006 a oggi ha consumato più di 90 ettari l’anno-, inseguita a distanza da Ravenna, Vicenza, Reggio Emilia, Catania e Novara.

Velocità del consumo di suolo giornaliero netto (2012-2021). Fonte: elaborazioni Ispra su cartografia Snpa, 2022

Il Rapporto descrive nel dettaglio come è distribuito e quali sono gli impatti del consumo di suolo nel 2021. Le aree già “molto compromesse” sono quelle dove il consumo registrato è più intenso. “Nelle città a più alta densità, dove gli spazi aperti residui sono spesso molto limitati, si sono persi 27 metri quadrati per ogni ettaro di area a verde nell’ultimo anno”, segnala il Snpa.
Le città diventano così sempre più calde (c’è un capitolo dedicato alle “isole di calore” urbane), sacrificando “superfici preziose per assicurare l’adattamento ai cambiamenti climatici in atto”. Dinamica identica per quelle aree “nell’intorno del sistema infrastrutturale”, che sono più frammentate e “oggetto di interventi di artificializzazione a causa della loro maggiore accessibilità”.

Si continua ad aggredire poi le aree vincolate a fini di tutela paesaggistica (più 1.270 ettari nel 2021), quelle entro i dieci chilometri dal mare (più 1.353), quelle a pericolosità idraulica media (più 992) o classificate come pericolose per il rischio di frane (più 371), così come quelle a rischio sismico (più 2.397).

Le aree perse in Italia dal 2012 avrebbero garantito l’infiltrazione di oltre 360 milioni di metri cubi di acqua di pioggia che ora, scorrendo in superficie, non sono più disponibili per la ricarica delle falde e aggravano la pericolosità idraulica dei nostri territori

Un quarto dell’intero consumo di suolo è legato alla costruzione di edifici, a fronte di oltre 310 chilometri quadrati di immobili a oggi “non utilizzati e degradati”. “Una superficie pari all’estensione di Milano e Napoli”, si legge nel Rapporto.

Tra le “forme di consumo” indagate c’è anche quella relativa agli impianti fotovoltaici a terra, data la “rilevanza rispetto al raggiungimento di una produzione energetica sostenibile per l’ambiente e prevista in forte crescita nel futuro”. A livello nazionale risultano complessivamente occupati da impianti fotovoltaici circa 17.560 ettari per quasi 9.000 MW di potenza. Il 35% di tutti gli impianti è in Puglia (6.123 ettari consumati); seguono Emilia-Romagna (1.872 ettari) e Lazio (1.483). Nel corso del 2021 sarebbero stati installati 37 MW di potenza per un consumo totale di 70 ettari. Le Regioni che lo scorso anno hanno destinato maggiori superfici al fotovoltaico a terra sono state Puglia, che da sola rappresenta il 40% del totale con 27,6 ettari, e ancora Lazio (16,8 ettari).

Installazione di impianti fotovoltaici a terra nel Comune di Palo del Colle (Bari), immagini 2021. Fonte: Snpa, 2022

Come si concilia la protezione del suolo con gli obiettivi di decarbonizzazione fissati, da ultimo, dal Piano per la transizione ecologica (Pte)? I curatori del Rapporto, coordinati da Michele Munafò di Ispra, offrono dati utilissimi per farsi una opinione, nel solco del dibattito lanciato dal professor Paolo Pileri su Altreconomia.
Partiamo dagli obiettivi: per arrivare nel 2030 al 72% di generazione di energia elettrica proveniente da fonti rinnovabili, occorre installare nuova capacità rinnovabile per 70-75 GW entro i prossimi otto anni. “Il compito principale sarà affidato alla tecnologia del solare fotovoltaico”, si legge nel citato Pte che ha fissato questi obiettivi per l’Italia. Ispra ha fatto allora una stima della superficie potenzialmente disponibile per l’installazione di impianti fotovoltaici sui tetti degli edifici e dei fabbricati della carta del suolo consumato 2021 ed elaborato “relative ipotesi sulla potenza fotovoltaica installabile”. Del 49-64% di tetti adatti a ospitare impianti si è ipotizzata una ulteriore riduzione del 60% di superficie per via della “distanza necessaria tra i pannelli per permetterne la manutenzione”. Dall’analisi sono stati poi esclusi i centri storici, “in cui l’installazione dei pannelli può essere inopportuna o soggetta a vincoli di natura storico-paesaggistica”. Risultato: la superficie netta disponibile che si potrebbe sfruttare ammonta tra i 755 e i 986 chilometri quadrati. “Ipotizzando tetti piani e la necessità di disporre di 10,3 metri quadrati per ogni kW installato, si stima una potenza variabile dai 73 ai 96 GW che sarebbe possibile installare su fabbricati esistenti”. Significa un “quantitativo sufficiente a coprire l’aumento di energia rinnovabile complessiva previsto dal Piano per la transizione ecologica al 2030”.

Ciononostante –come ha denunciato Pileri su Altreconomia, e che il Rapporto cita- il legislatore sta decretando la semplificazione dei procedimenti di autorizzazione del fotovoltaico a terra, aumentando così il rischio di perdita di suolo agricolo. “Volendo fare una previsione di quanto suolo verrebbe realmente consumato a causa dei nuovi impianti fotovoltaici -si legge nel Rapporto- le superfici coinvolte dipendono dalla quota della nuova energia da produrre che verrà affidata al solare fotovoltaico e dal rapporto tra impianti che saranno realizzati a terra e impianti che saranno realizzati su coperture. Al 2021, come risultato della storia della diffusione di questa tecnologia nel nostro Paese, la ripartizione risulta pari al 36% circa a terra e al 64% su edificio”. Dunque “ipotizzando di fissare l’attenzione su tutti i 75 GW incrementali, una ripartizione analoga ad oggi tra terra ed edificio e utilizzando come coefficienti medi di occupazione valori non molto dissimili da quelli attuali, si potrebbe calcolare in via teorica una superficie di circa 513 chilometri quadrati di nuovo suolo consumato”. È un calcolo sì “teorico soggetto a enorme variabilità al variare delle ipotesi” che però rappresenta una quota di circa otto volte il consumo di suolo annuale netto totale.

Il Rapporto si occupa poi di un’altra delle “principali cause di incremento della superficie nazionale consumata”: la logistica e la grande distribuzione organizzata. “Il consumo di suolo legato allo sviluppo dei poli logistici -spiega il Snpa- si concentra nelle Regioni Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna e Lazio, soprattutto nell’ultimo anno (2021)”. La Lombardia è quella con il picco di consumo più alto (93 ettari tra 2019 e 2020), mentre l’Emilia-Romagna è quella con la quota più alta di consumo di suolo dovuto ad attività di logistica. Sono tre le “classi” a guidare questo tipo di consumo: poli della Gdo, snodi industriali ed e-commerce. “323 ettari nel 2021 sono stati destinati alla realizzazione di nuovi poli logistici, prevalentemente nel Nord-Est (105 ettari) e nel Nord-Ovest (89 ettari)”, sintetizza il Rapporto.

Localizzazione dei principali cambiamenti dovuti al consumo di suolo per nuovi insediamenti per la logistica tra il 2006 e il 2021. Fonte: elaborazioni Ispra su cartografia Snpa, 2022

Questo incontrastato processo di degrado del territorio non piove dal cielo ma è reso possibile, come ricordano i curatori del Snpa, dall'”assenza di interventi normativi efficaci” e dalla mancanza di un “quadro di indirizzo omogeneo a livello nazionale”. Le conseguenze ambientali sono note: armi spuntate contro desertificazione, siccità e dissesto idrogeologico, città meno sicure e meno resilienti, perdita di produttività agricola e di carbonio organico nello strato superficiale del suolo, cancellazione di habitat naturali, mancata ricarica delle falde acquifere, erosione e frammentazione del territorio. Per un devastante conto economico legato alla perdita dei servizi ecosistemici del suolo stimato in almeno otto miliardi di euro l’anno -se si considera il consumo di suolo degli ultimi 15 anni (2006-2021)-. Perdite “che potrebbero incidere in maniera significativa sulle possibilità di ripresa del nostro Paese”.

Tra il 2012 e il 2021 in Italia si stima una perdita potenziale, a causa del nuovo consumo di suolo, di circa 4.149.885 quintali di prodotti agricoli che avrebbero potuto fornire le aree perse nel periodo considerato (escludendo le rinaturalizzazioni)

Gli scenari futuri preoccupano. Se la velocità di trasformazione dei suoli fosse come quella attuale, nel Rapporto si stima “nuovo consumo di suolo in 1.836 chilometri quadrati tra il 2021 e il 2050”. “Se invece si dovesse tornare alla velocità media registrata nel periodo 2006-2012, si supererebbero i 3.000 chilometri quadrati”. Nel caso in cui si attuasse una “progressiva riduzione della velocità di trasformazione, ipotizzata nel 15% ogni triennio”, l’incremento delle aree artificiali sarebbe comunque superiore a 800 chilometri quadrati, “prima dell’azzeramento al 2050”. “Sono tutti valori molto lontani dagli obiettivi di sostenibilità dell’Agenda 2030 che sulla base delle attuali previsioni demografiche, imporrebbero un saldo negativo del consumo di suolo”, ricordano i curatori del Rapporto.

Scenari di consumo di suolo in Italia (chilometri quadrati di suolo consumato a livello nazionale al 2050). Fonte: elaborazione Ispra, 2022

Andare avanti così è un follia anche economica. “Considerando i costi annuali medi dovuti alla perdita di servizi ecosistemici, sia per la componente legata ai flussi sia per la componente legata allo stock, si può stimare, se fosse confermata la velocità media 2012-2021 anche nei prossimi nove anni e quindi la crescita dei valori economici dei servizi ecosistemici persi, un costo cumulato complessivo, tra il 2012 e il 2030, compreso tra 78,4 e 96,5 miliardi di euro”.

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