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Ambiente / Opinioni

Tutelare la biodiversità significa scrivere le migliori regole per garantire la pace nel futuro

© Eelco Bohtlingk, unsplash

È in corso a Ginevra la Conferenza mondiale sulla biodiversità: si discute della protezione di foreste, pesca, agricoltura, suolo. Parlarne in questi giorni di guerra è più importante che mai. È da qui che passano le premesse per una pace duratura ed equa. L’analisi di Paolo Pileri

Mentre le Tv, i giornali e i vari social ci aggiornano compulsivamente su una guerra atroce e i suoi mandanti folli, occupando tutti i nostri pensieri, mentre tutto il mondo si riarma fino ai denti e ci convincono che sia giusto così, mentre i prezzi di benzina, gas e grano schizzano verso l’alto, a Ginevra si sta svolgendo la Conferenza mondiale sulla biodiversità: centinaia di delegati da tutto il mondo si ritrovano dopo 22 mesi di ritardo dovuto al Covid-19 che aveva bloccato le negoziazioni sul tema.

Ma di questo evento non c’è traccia sui giornali, sui media o sui social. Nessuno ne parla. Anzi al contrario sentiamo il nostro ministro allo Sviluppo economico dire che la transizione ecologica non si potrà più attuare come ci eravamo immaginati; vediamo il premier britannico o il nostro ministro degli Esteri volare insieme all’amministratore delegato di Eni nei Paesi arabi alla ricerca spasmodica di petrolio. Sentiamo proclami politici che chiedono di accelerare l’impianto di pannelli fotovoltaici su aree agricole.

Chi dei due è fuori luogo? Le centinaia di delegati che vogliono dare impulso alla tutela della biodiversità? Anche voi dite che non ha senso parlare di biodiversità con una guerra alle porte? Non è tempo ora di discutere di consumo di suolo? Dobbiamo “congelare” il dibattito sulla protezione della natura, sulla sostenibilità? Al limite possiamo stringere la cinghia per un po’, come ci dice il nostro presidente del Consiglio?

Siamo sulla strada sbagliata, non vediamo o non vogliamo vedere l’altro lato della questione. Il delegato dell’Ucraina alla Conferenza ha chiaramente detto che questa guerra è anche un attacco all’ambiente e una distruzione di habitat senza precedenti: un terzo delle aree protette sono state cancellate dai cingoli dei carri armati, metà dei siti protetti dalla Convenzione di Ramsar per l’avifauna sono stati distrutti, gli ambienti costieri devastati, le pianure agricole sconvolte.

Tutte le guerre causano anche enormi danni all’ambiente e ci avvicinano alla fine del mondo. Ma non c’è solo questo problema. Tutelare la biodiversità significa scrivere le migliori regole per garantire la pace nel futuro. Così dobbiamo leggere la tutela della natura. Quei delegati a Ginevra stanno disperatamente cercando di spiegare anche questo. Se continuiamo a tenerci stretto questo modello economico dove ci sono avidi rapinatori colonizzatori da una parte (noi occidentali) e fornitori poveri di materia prima dall’altra, non si va da nessuna parte. Se non a picco.

Come è possibile che non si voglia capire? Quante guerre inizieranno nei prossimi anni per accaparrarsi risorse? Le nazioni scateneranno conflitti per accaparrarsi cibo, acqua, minerali rari (senza i quali la nostra mirabolante tecnologia non funziona), terre fertili, legname, principi attivi per produrre medicinali e così via. Tutte queste cose arrivano dalla natura, dalla biodiversità. Ed è per questo che i prossimi trattati di pace dovrebbero incentrarsi sulla lotta al cambiamento climatico, sul contrasto alla perdita gravissima di biodiversità, sullo stop al consumo di suolo, sulla lotta serrata allo spreco alimentare, sul ri-pianificare la nostra agricoltura ed eliminare certe produzioni tossiche, sul risparmiare energia.

La Convenzione internazionale sulla biodiversità bisogna vederla come il “negoziato dei negoziati” per la pace presente e futura. Dobbiamo far sentire la voce della biodiversità proprio in questi dannati giorni. Dobbiamo spiegare alla politica e a tutti che se non cambiamo (adesso, non domani) avremo davanti a noi nuove guerre. Proprio nel bel mezzo di questo dramma dovremmo tirar fuori il coraggio per impostare il cambiamento. Da anni viviamo una normalità che non è normalità, viviamo in una crisi che noi stessi generiamo: è la crisi di chi non vuole cambiare.

Troppo comodo associare tutto il male al volto del tiranno di turno (che rimane tiranno, senza sconti, sia chiaro). Oggi abbiamo la possibilità di fare riflessioni che non facevamo ieri. Il mais dell’Ucraina e della Russia, che ci mancherà per il 20-25%, in verità serve per gli allevamenti ovvero per sostenere un sistema che fa mangiare alle mucche un sacco di unità di energia e proteine per generarne poche nella bistecca che noi mangiamo. Un’abitudine sbilanciata e folle: se riducessimo il consumo di carne risolveremmo parte del problema. Il grano dall’Ucraina e dalla Russia per produrre pane e pasta, lo buttiamo in pattumiera per il 20%: la nostra società è una fabbrica di rifiuti. È un sistema pazzo quello che ci ostiniamo a voler far sopravvivere.

Capite cosa voglio dire? Voglio dire che è irricevibile in questo momento ogni proposta politica che non sia in grado di capire che il nostro sistema va rivisto radicalmente, che non è buona politica quella che continua a sprecare risorse e costruire attorno a noi un modo di vivere che dipende da quanto siamo abili a prendere le risorse altrui. Non voglio essere complice di prossime rapine di cibo ed energia (e quindi di guerre) nei Paesi più fragili per dare a me la possibilità di continuare a buttare via cibo, a mangiare carne a iosa, a sprecare energia e riempire discariche di materiali che potrebbero essere riciclati, a usare un Suv per portare un bambino a scuola sotto casa.

Noi vogliamo la pace, ma senza cambiare nulla in meglio. Vogliamo la pace senza la sostenibilità. Quindi ben vengano in queste ore i negoziati sulla biodiversità che parlano di protezione di foreste, pesca, agricoltura, suolo. Ben venga ora una legge che fermi il consumo di suolo. Ben venga ora e subito una legge che imponga il fotovoltaico nelle brutte aree dismesse, sopra i tetti dei capannoni e non nei campi che ci servono per produrre cibo. Ben venga l’uso dei campi per il cibo anziché per la biomassa. Ben venga un piano nazionale di educazione alimentare. Ben venga un’inibizione all’uso dell’auto nelle città (quantomeno). Ma tutto questo per sempre, non per un mese o un anno. Non c’è bisogno di lockdown da guerre e pandemia per qualche settimana, ma c’è bisogno di biodiversità e rispetto della natura per sempre. Dobbiamo crescere in responsabilità etica. Le convenzioni ecologiche sono un ottimo patto per la prossima pace e così vanno viste. Viva la conferenza mondiale sulla convenzione della biodiversità. Viva la pace.

Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro per Altreconomia è “L’intelligenza del suolo”

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