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Diritti / Inchiesta

I rimpatri record verso la Tunisia, Paese “sicuro” solo per il governo italiano

Una mezzo della Polizia a fianco di un charter pronto a essere utilizzato per attività di rimpatrio © Garante delle persone private della libertà personale

Nell’estate 2022 sono aumentate del 50% il numero di persone espulse tramite charter nel Paese che vive una crisi economica e sociale sempre più grave. Rimpatri lampo ed esternalizzazione delle frontiere: le chiavi con cui Italia e Ue si illudono di fermare i migranti a qualsiasi costo. Economico e di rispetto dei diritti

“Sono stato ingannato. Mi dicevano che se avessi fatto la domanda d’asilo avrei passato sei mesi nel centro e poi sarei stato rimpatriato lo stesso. Così non l’ho presentata. Non ho potuto vedere il giudice e spiegare perché ho deciso di lasciare il mio Paese”. Ali è un giovane tunisino di 25 anni. La sera di giovedì 28 luglio di quest’anno ha lasciato Mahdia, cittadina costiera 205 chilometri a Sud di Tunisi, con altre 24 persone. Le imbarcazioni vengono avvistate dalla Guardia costiera italiana a poche miglia dalla costa e i naufraghi vengono portati nell’hotspot di Lampedusa. Cinque giorni dopo Ali viene trasferito con altri 20 connazionali tramite un volo charter a Torino, dove fanno ingresso nel Centro permanente per il rimpatrio (Cpr) della città, il “Brunelleschi”. Il 30 agosto un volo riporta il giovane a Tabarka, città che si affaccia sul Mediterraneo situata al confine con l’Algeria. Nel giro di un mese Ali si ritrova a “casa”: “Non mi hanno ascoltato e ora sono disperato”, racconta il giovane.

Quella di Ali non è una storia isolata. Nell’estate 2022 sono aumentati del 50% e oltre i rimpatri verso la Tunisia rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. In totale 706 cittadini tunisini (contro i 325 del 2021) sono stati espulsi via charter dal territorio italiano con un “picco” solo ad agosto di 342 persone, il più alto registrato negli ultimi tre anni. E tutto questo nonostante le condizioni di vita in Tunisia continuino a peggiorare. “Uno dei sintomi dell’inadeguatezza della risposta italiana al caso Tunisia è che la troviamo ancora nell’elenco dei Paesi di origine sicura e quindi qualsiasi provvedimento, dalla convalida del trattenimento in un Cpr alla valutazione del diniego della richiesta d’asilo è condizionato da questa ‘etichetta’ -spiega l’avvocato Maurizio Veglio dello studio Kriol di Torino-. La lista dei Paesi sicuri dovrebbe essere aggiornata costantemente ma questo non succede”. Siamo fermi all’ottobre 2019, data di adozione della lista dei Paesi sicuri firmata dall’allora ministro degli Esteri Luigi di Maio. Questo comporta l’applicazione di procedure accelerate: tempi dimezzati per l’esame della domanda d’asilo e soprattutto una sorta di “automatismo” nella valutazione delle singole storie delle persone.

Anche questo incide sul numero di rimpatri effettuati. Ma non solo. A fine maggio 2022 sono state messe in soffitta le navi quarantena che da oltre due anni tenevano bloccati in mare aperto, con la “scusa” della necessità dell’isolamento sanitario, migliaia di richiedenti asilo arrivati in Italia dalla rotta del Mediterraneo centrale. Fino a quel momento l’accesso diretto dei cittadini tunisini nei Centri permanenti per il rimpatrio avveniva con voli diretti da Catania verso diverse città italiane in cui sono presenti le strutture detentive: da Torino fino a Gradisca d’Isonzo passando per Milano, Roma, Bari e così via. Da inizio giugno, invece, analizzando le determine degli affidamenti dei servizi di volo pubblicate dalla Direzione centrale dell’immigrazione (Viminale), si nota che le assegnazioni riguardano servizi charter che direttamente da Lampedusa trasferiscono le persone nei Cpr.

Probabilmente la “fine” delle navi quarantena sposta l’inizio della procedura sull’isola siciliana. E nell’agosto 2022 il numero di questi voli è aumentato del doppio rispetto all’anno precedente: dieci voli con una capienza totale di circa 200 persone di cui non è specificata la nazionalità. A guardare, però, quelle di chi ha fatto ingresso nei Cpr si nota un sensibile aumento proprio dei cittadini tunisini: 460 in un solo mese, il 64% del totale quando nei due mesi precedenti erano il 53% e il 49%.

In assoluto, salvo il picco dell’estate (che sembra confermato anche a settembre visto il numero di determine dei voli pubblicati dalla Direzione), i dati aumentano di circa 200 persone: da gennaio a ottobre sono stati rimpatriati in 1.222, contro i 997 del 2021. Il sistema accresce la propria efficacia ma a costi umani ed economici altissimi. Partendo da quelli economici il calcolo sul solo mese di agosto 2022 è eclatante: sommando il costo dei voli interni agli otto charter che da Palermo volano verso l’aeroporto di Tabarka la spesa è di quasi 1,5 milioni di euro, più di 4.200 euro a persona a cui vanno aggiunte le spese per il personale di scorta (nella maggioranza dei voli tre agenti ogni persona rimpatriata) oltre che quelle necessarie per la detenzione nei Cpr. Un’enormità. Ma ben più problematici restano i costi in termini di esercizio dei diritti fondamentali, di cui si parlerà anche nel convegno “Tornare Indietro. Evoluzioni e involuzioni del sistema espulsivo italiano” organizzato per venerdì 4 novembre dall’Ufficio del Garante dei diritti dei detenuti della Città di Torino.

L’assenza di uno sguardo attento è visibile anche dal confine italo-francese di Ventimiglia (IM). Dove chi scappa alle “maglie” del Cpr, tenta di andare a costruirsi un futuro migliore in altri paesi europei. Qui arrivano due cittadini tunisini, marito e moglie si spostano su una carrozzina e hanno protesi agli arti inferiori. Sono arrivate a fine luglio 2022 e inseriti in un Cas in cui non avevano accesso all’assistenza sanitaria. Seppur non siano trattenuti in un Cpr o non siano stati rimpatriati verso il loro Paese d’origine la loro vicenda, una delle tante che si vedono transitare sul confine è significativa. Neanche per loro la “procedura accelerata” è stata sventata nonostante la forma di disabilità sia uno dei motivi per cui dovrebbe essere evitata: la “macchina cieca” della burocrazia non prevede eccezioni. Se provieni dalla Tunisia (quasi) a prescindere non hai diritto ad essere regolare sul territorio italiano.

L’avvocato Veglio ritrova questo elemento in diversi casi seguiti sul territorio di Torino. “Abbiamo seguito un gruppo di 25 persone arrivate insieme a Lampedusa e trasferite in gruppo al Cpr. Tutti hanno presentato richiesta d’asilo e sono state tutte giudicate manifestamente infondate. Nessuna eccezione -spiega l’avvocato che è anche socio dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi)-. Tra queste però c’era la richiesta di un giovane vittima di violenza domestica e allontanato da casa ancora minorenne che viveva in strada da quattro anni raccogliendo e vendendo bottiglie di plastica per comprare materiale scolastico per la sorella più piccola. Il suo racconto viene definito ‘credibile’ e quindi ci sono gli estremi per riconoscere atti di persecuzione che possono portare a uno status di rifugiato”. La Commissione territoriale di Torino, l’organo che valuta le richieste d’asilo, bolla però come manifestamente infondata la richiesta. Perché? Il giovane è partito dalla Tunisia per motivi economici. “È un esempio eloquente di trattamento seriale e pregiudicante, condizionato da fattori esterni (lo sbarco, la detenzione in gruppo, la domanda avanzata dal Cpr) che non dovrebbero avere alcun ruolo nella valutazione della richiesta”.

Il convegno “Tornare Indietro. Evoluzioni e involuzioni del sistema espulsivo italiano” è organizzato per venerdì 4 novembre dall’Ufficio del Garante dei diritti dei detenuti della Città di Torino e ha come obiettivo quello di “restituire la complessità e la dinamicità del meccanismo di espulsione italiano, evidenziandone le buone prassi e le criticità alla luce del quadro giuridico e sociologico di riferimento”. Si svolgerà dalle 9.30 alle 18 che si svolgerà nella Sala delle colonne del Comune di Torino. Alle 18.30 seguirà la presentazione del libro-inchiesta “Respinti – Le sporche frontiere d’Europa”

Questo nonostante la situazione nel Paese stia peggiorando. La deriva autoritaria del presidente Kais Saied non si arresta con la nuova Costituzione che è entrata in vigore a fine luglio 2022. Ora lo Stato fatica a intervenire adeguatamente per calmierare i prezzi e garantire l’accesso ai servizi essenziali. Così nell’ultimo periodo si sono svolte diverse proteste dei cittadini in piazza da Tunisi, nel Nord, a Zarzis, nel Sud del Paese. “Mancano i beni di prima necessità: zucchero, caffè, grano. La gente è affamata e se ha fame c’è il rischio di una guerra civile -spiega Majdi Karbai, parlamentare tunisino del partito Corrente Democratica-. È un termine che non mi piace usare ma chi scappa dal nostro Paese scappa da un clima di paura: i giornalisti vengono arrestati, gli oppositori politici ostacolati. Manca l’accesso alla sanità e all’istruzione: oltre 400 giovani sono a casa da scuola perché mancano i professori. Se nel 2011 c’era stata una rivoluzione guidata dalla voglia di libertà, oggi il motivo rischia di essere la fame”. Anche per questo, in tanti, come Ali, decidono di partire. Al 24 ottobre di quest’anno, secondo i dati del ministero dell’Interno italiano, la seconda nazionalità dichiarata allo sbarco è proprio quella tunisina, con 16mila persone arrivate dall’inizio dell’anno su oltre 75mila. Nello stesso periodo la Guardia costiera tunisina dichiara di averne intercettati 22.500 di cui la metà provengono però da Paesi dell’Africa sub-sahariana. E l’obiettivo da parte delle istituzioni europee è proprio aumentare questa capacità da parte delle forze di polizia tunisine.

All’interno del Programma di gestione delle frontiere per la regione del Maghreb (Bmp Maghreb), l’iniziativa da 55 milioni di euro promossa in collaborazione tra il Centro internazionale per lo sviluppo delle politiche migratorie (Icmpd) e il ministero dell’Interno italiano per “rafforzare” le capacità tecniche della Guardia costiera tunisina, a inizio 2022 è stata pubblicata una procedura aperta per un “sistema di sorveglianza”. Un’azione che mira a migliorare la capacità di “proteggere, monitorare e controllare le frontiere” ma garantendo al contempo “la libera circolazione dei viaggiatori in buona fede (sic) e delle merci”. Il bando prevede l’acquisto e l’installazione di “radar di sorveglianza costiera e portuale” con l’installazione di 28 piloni e 14 nuovi radar, la progettazione e costruzione di una “rete radio marittima Ps-Lte (Public Safety Long-Term Evolution) ad alta velocità, efficiente, moderna, indipendente e sicura, che consenta agli utenti a terra, in aria e in mare di usufruire di mezzi efficienti e sicuri per la trasmissione di dati”. Altreconomia ha chiesto al Icmpd proprio se i radar sarebbero stati collegati anche con altri centri di controllo o se altre autorità avrebbero avuto accesso ai dati. È stato risposto che le uniche “informazioni disponibili sono quelle presenti nel bando” e che non era possibile conoscere l’importo totale del progetto. La gara è andata (per ora) deserta. Ma la direzione dell’Ue e dell’Italia è chiara: l’illusione del “blocco” delle partenze e rimpatri lampo. “Ci sono persone trattenute tre o quattro volte nei Cpr a volte anche dopo essere state rimpatriate ed essere ritornate in Italia -conclude Veglio-. È un movimento circolare, che dimostra il fallimento economico e umano del sistema”.

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