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Diritti / Reportage

In Tunisia la malagestione dei rifiuti rilancia i movimenti per l’ambiente

Ad Agareb, cittadina nel Sud-Est del Paese, un collettivo di giovani attivisti chiede un cambio di paradigma nell’elaborazione delle politiche ambientali a partire dalle proteste contro una pericolosa amministrazione delle discariche

Tratto da Altreconomia 245 — Febbraio 2022
Mabrouka osserva i camion passare di fronte al cortile di casa sua, ad Agareb, dove oggi non cresce più nulla. A qualche decina di metri dal suo giardino è situata la discarica di El-Gonna © Arianna Poletti

La strada che dalla città portuale di Sfax, polo industriale della Tunisia, si immette nell’entroterra è costeggiata dagli uliveti. Durante la stagione del raccolto, reti verdi circondano gli alberi carichi. Qui si trova una delle ventisette riserve naturali del Paese, il parco nazionale di El-Gonna. Vista da lontano, la zona rurale di Agareb, cittadina di 10mila abitanti in mezzo ai campi, ricorda ancora quel “paradiso terrestre” che evocano i suoi abitanti parlando al passato. “Cinquant’anni fa, questa regione era incontaminata. Vivevamo di piccola agricoltura e allevamento”, ricorda Mabrouka che per vent’anni ha lavorato in questi campi. Quando ci si addentra nella regione, però, i racconti distopici sulle catastrofi ambientali diventano realtà. Nel giardino di Mabrouka oggi non cresce più niente. A qualche decina di metri dal suo cortile, ha sede una delle più vaste discariche a cielo aperto della Tunisia, la discarica di El-Gonna. Così il suo quartiere -il più vicino alla discarica, il più esposto all’inquinamento e il più povero della cittadina- è stato ribattezzato Msab, discarica in dialetto tunisino, quasi fosse un suo prolungamento.

Ogni giorno camion strabordanti provenienti dalla seconda città più popolosa del Paese, Sfax, attraversano il cortile di Mabrouka per raggiungere la discarica, lasciando cadere dei rifiuti che vengono raccolti dagli abitanti del villaggio. È così che, qualche anno fa, Mabrouka ha contratto l’epatite C. Sua figlia Nasrine, invece, è nata sterile. “A Msab ammalarsi ormai è la norma. Contiamo tutti almeno un malato in casa -racconta la donna-. Qui arriva di tutto: organico, scarti animali, rifiuti ospedalieri. Durante la quarta ondata della pandemia, i bambini giocavano con i test del Covid-19”, prosegue. A causa dei forti odori, le finestre della sua casa in cemento costituita da una sola stanza condivisa non vengono mai aperte: “Ci sono giorni, specialmente d’estate, in cui ci barrichiamo in casa per riuscire a respirare”. A confermare il racconto di Mabrouka è il suo vicino, Brahim, sulla sessantina: “Nel 2011 chiedevamo lavoro, oggi nemmeno quello. Chiediamo solo il diritto di coltivare i nostri campi, bere la nostra acqua. Anche noi abitanti delle aree marginali siamo cittadini. Chiediamo la chiusura definitiva della discarica di El-Gonna”. 

Aperta nel 2008 sotto la dittatura di Zine El-Abidine Ben Ali, la più grande discarica statale per lo smaltimento dei rifiuti urbani del Sud del Paese è amministrata dall’Agenzia nazionale per la gestione dei rifiuti (Anged), già finita al centro di vari scandali per corruzione, primo tra i quali quello legato alle 7.900 tonnellate di rifiuti italiani presunti illeciti esportati in Tunisia nel 2020. Gestita prima dall’impresa francese Segor poi dall’italo-tunisina Ecoti, che da anni conservano il monopolio dello smaltimento dei rifiuti nel Paese, la discarica di El-Gonna avrebbe dovuto essere chiusa dopo cinque anni di attività. Ma i governi che si sono succeduti durante gli anni della transizione post-2011 hanno costantemente rinviato la data della chiusura. Fino a fine settembre 2021, scadenza definitiva stabilita da una sentenza di luglio 2019 del tribunale cantonale di Agareb, che ha dato ragione agli abitanti. “Dopo aver raccolto più di mille firme, abbiamo deciso di chiedere l’intervento della giustizia”, conferma Sami Bahri, attivista di Agareb. Proprio a settembre, inoltre, l’Anged dichiarava satura la discarica di El-Gonna, dove finisce l’80% dei rifiuti urbani prodotti nel governatorato industriale di Sfax per un totale ufficiale di circa 180mila tonnellate all’anno. Un motivo in più per decretarla definitivamente fuori uso. “Credevamo di avercela fatta ma abbiamo scoperto che sarebbe stata chiusa temporaneamente per essere ampliata”, racconta l’attivista.

180mila tonnellate di rifiuti urbani all’anno finiscono a El-Gonna, la più grande discarica statale del Sud della Tunisia. Gli abitanti del vicino quartiere di Msab ne chiedono la chiusura

In assenza di un’alternativa, qualche giorno di chiusura della discarica di El-Gonna è bastato a far tornare la crisi dei rifiuti sulle prime pagine dei giornali tunisini. La città di Sfax si è ritrovata sommersa dai sacchi dell’immondizia che l’Anged non sapeva più dove smaltire. Una discarica anarchica, tuttora esistente, è sorta proprio accanto al porto di pesca di Sfax. Nel frattempo, ad Agareb, a partire da metà novembre migliaia di manifestanti sono scesi in piazza per chiedere la chiusura definitiva della discarica di El-Gonna. Le proteste, represse con un uso massiccio di gas lacrimogeni da parte delle forze di polizia, sono persino costate la vita a un giovane manifestante, Abdrazek Lachheb, 35 anni, morto di asfissia. A coordinarle è stato il collettivo Manish msab (“Non siamo una discarica” in dialetto tunisino). Nato dopo la rivoluzione, Manish msab ha riunito per anni un gruppo di giovani artisti che, dopo aver promosso progetti di sensibilizzazione che univano arte e rifiuti, nel 2018 si sono riconvertiti in movimento ambientalista. Oggi documentano le conseguenze dell’inquinamento su un gruppo Facebook omonimo che conta più di diecimila membri.

“Prima i cittadini chiedevano pane, ora chiedono la fine di quel sistema che li priva ormai anche di un’aria respirabile” – Layla Riahi

“Siamo gente semplice, che non ha alcun tipo di formazione, ma si è ritrovata a maneggiare dati scientifici per poter provare che siamo vittime di quindici anni di inquinamento”, racconta ancora Sami Bahri. In Tunisia non è mai stato messo a punto alcun sistema di riciclaggio. I rifiuti che non vengono bruciati ai bordi delle strade non possono che finire sotterrati nelle immense discariche di periferia. Proprio questo sistema viene oggi contestato dalla società civile, che chiede un ripensamento delle politiche di smaltimento dei rifiuti. La vicenda di Agareb non fa eccezione. All’appello degli attivisti del Sud-Est tunisino hanno infatti risposto gli abitanti che vivono accanto alla più grande discarica del Paese, quella di Borj Chekir, alle porte di Tunisi, finita al centro delle polemiche per gli stessi motivi. Walim Merdasi, consigliere del precedente ministero dell’Ambiente, ricordava a fine novembre che “anche la discarica della capitale è praticamente satura” e che avrebbe dovuto essere chiusa a giugno 2021. Dopo i primi segni di convergenza dei movimenti anti-discariche a livello nazionale e uno sciopero generale indetto (e poi ritirato) in tutta la regione di Sfax, il collettivo Manish msab è riuscito a ottenere un colloquio con la presidenza e il ministero dell’Ambiente.

Non lontano dal porto di Sfax, accanto alla laguna della città, vengono accumulati i rifiuti urbani in attesa di un sito di smaltimento alternativo alla discarica di El-Gonna © Arianna Poletti

“Chiediamo la fine di quel sistema che garantisce profitti a pochi e distrugge i nostri territori”, ha ribadito il portavoce di Manish msab, che punta il dito contro “gli accordi presi tra il ministero dell’Ambiente, l’Anged e i gestori della discarica”. “L’interesse pubblico deve prevalere su eventuali contratti già presi”, gli fa eco il Forum tunisino per i diritti economici e sociali (ftdes.net), una delle principali realtà associative del Paese. Da inizio dicembre, nel tentativo di smorzare la tensione, l’Anged ha ripiegato temporaneamente su nuovi terreni di stoccaggio a 20 chilometri da Agareb, in piena campagna. Proprio a partire da questa crisi, i movimenti ambientalisti sparsi per tutto il Paese hanno cominciato a riunirsi per elaborare una serie di politiche ambientali che garantiscano i diritti delle comunità colpite dall’inquinamento, da sottoporre nel 2022 a governo e presidenza. Una conferenza nazionale della società civile sul diritto all’ambiente si è tenuta il 21 dicembre a Tunisi con quest’obiettivo.

“Chiediamo l’attuazione di politiche di decentramento che prendano in considerazione le esigenze delle comunità locali e della società civile. Fino a oggi le decisioni sono state prese a Tunisi e imposte dall’alto”, spiega Nidhal Attia della rete Tunisie verte, tra gli organizzatori. L’attuale presidente della Repubblica Kaïs Saïed, che il 25 luglio ha congelato le attività del Parlamento tunisino e accumulato i poteri nelle sue mani, in campagna elettorale nel 2019 prometteva proprio una maggiore rappresentanza dei movimenti locali in nome dei “valori della rivoluzione”. Per ora, però, le sue politiche sembrano andare nel senso opposto, tanto che il ministero delle Collettività locali è stato accorpato a quello dell’Interno. Se le rivendicazioni sociali portate in piazza nel 2011 restano attuali, undici anni più tardi non è più possibile scinderle da quelle ambientali. “Osserviamo una generale presa di coscienza dei meccanismi di malfunzionamento di Stato e amministrazioni, denunciati sempre più esplicitamente dalla società tunisina. Prima i cittadini chiedevano pane, ora chiedono la fine di quel sistema che li priva ormai anche di un’aria respirabile”, conclude Layla Riahi, membro dell’Osservatorio economico tunisino. 

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