Diritti / Reportage
“Fino a che ce ne sarà”. In sciopero della fame per il futuro della ex Gkn
A quasi tre anni dall’inizio del caso, il Collettivo operaio di Campi Bisenzio ha scelto la forma di lotta più dura: il digiuno. I 140 lavoratori rimasti non ricevono stipendio né cassa integrazione dal 31 dicembre scorso. Affrontano un “muro di gomma” della politica (di governo e regionale) e di parte dell’informazione. Ma la lotta prosegue, spiegano i digiunanti in presidio a Firenze, con “la pancia piena di rabbia e dignità”
È difficile chiedere “come stai?” a uno come Dario Salvetti, sia perché la prima volta che gli posero una domanda così (a lui e agli altri del Collettivo di fabbrica Gkn) la risposta fu un sorprendente, e rivoluzionaria: “E voi? Voi, come state?”, sia perché da qualche giorno, a inizio giugno, con due compagni, ha cominciato uno sciopero della fame.
A quasi tre anni dall’inizio della vertenza (9 luglio 2021), anzi del caso Gkn, perché siamo di fronte a qualcosa di più vasto, di più complesso, di una “semplice” vertenza sindacale, il Collettivo operaio più famoso d’Italia ha scelto la forma di lotta più dura, più impegnativa, più difficile. La più problematica. Il digiuno. Siamo al muro contro muro. O forse al “muro di gomma”, come Salvetti definisce il potere politico e i suoi dintorni, contro il “muro umano e sociale” che unisce gli operai in lotta, i tanti solidali attivi ogni giorno, le decine di migliaia di persone mobilitate nel tempo fra presidi, cortei, azioni dirette, concerti, opere teatrali, festival letterari.
La posta in gioco è altissima. Non c’è più tempo per niente. Non per la vita personale dei 140 operai rimasti a libro paga, anzi a libro-non paga, di QF (acronimo del beffardo nome Fiducia nel futuro della fabbrica di Firenze), la società di Francesco Borgomeo che ha rilevato lo stabilimento di Campi Bisenzio dal fondo Melrose: dal 31 dicembre scorso non ricevono stipendio, né cassa integrazione; e non c’è niente in vista, dato che l’azienda non ritiene di dover pagare i salari, nemmeno di fronte a precise sentenze della magistratura (l’ultima di pochi giorni fa, su istanza di un dipendente, sostenuto dalla Fiom), né pensa di chiedere nuovi ammortizzatori sociali.
Non c’è più tempo (da perdere) nemmeno per il progetto di reindustralizzazione della fabbrica, che ha bisogno, per partire, di un intervento pubblico, o almeno di un sì o di un no da parte di governo e Regione Toscana. L’unica proposta in campo è quella elaborata dal Collettivo stesso, con la società di mutuo soccorso Insorgiamo e l’impegno di decine di esperti e tecnici solidali, tutti impegnati nella nascente cooperativa Gff. Un progetto sposato dalle maggiori organizzazioni sindacali. Il business plan per la produzione di pannelli solari e cargo-bike è definito nei dettagli e aggiornato di continuo; sono già partiti i primi corsi di formazione ed esistono pre-accordi per l’acquisto dei macchinari necessari e per la collocazione dei futuri prodotti.
La “fabbrica pubblica ecologica socialmente integrata” non è dunque uno slogan né un’utopia, semmai un’utopia concreta, per dirla con Alex Langer, farcita di dati economici e produttivi, piani d’investimento (in tutto circa sette milioni di euro), partner finanziari e operativi, prospetti occupazionali (a regime, circa 130 persone). La cooperativa operaia, aperta ai soci finanziatori (con azioni per 700mila euro già prenotate), potrebbe cominciare a lavorare pressoché subito, ed entrare in produzione alla fine del 2025. Manca ciò che il Collettivo di fabbrica ex Gkn reputa più importante: la disponibilità dello stabilimento di via Fratelli Cervi a Campi Bisenzio.
“Il fatto che dipendenti di una fabbrica -dice Salvetti, che fa parte della Rsu- chiedano la disponibilità della fabbrica stessa per insediare una produzione industriale, spiega già il livello di disconnessione avvenuto in questa vicenda tra immobile e fabbrica”. Va da sé, nel business plan operaio, la disponibilità dello stabilimento è codificata con un calcolo preciso di affitto e costi al metro quadro.
Ecco dunque i motivi dello sciopero della fame, forma estrema di pressione per chiedere, non necessariamente in ordine di importanza: alla Regione, di approvare una legge che permetta di creare un consorzio pubblico e di rilevare lo stabilimento; al governo, di commissariare QF, in modo che siano subito pagati gli stipendi dovuti e aperto un ammortizzatore sociale; l’apertura di una discussione sul progetto di reindustralizzazione, in modo da avviare nuovi ammortizzatori sociali.
In ballo, insomma, c’è l’urgenza di un intervento pubblico a sostegno di un progetto di valore industriale, ma anche sociale e se vogliamo politico. Sarebbe un no alla predazione del territorio, un sì a favorire le energie che dal basso creano nuova socialità, nuove e più democratiche forme di lavoro e produzione. Le istituzioni, finora, hanno osservato e taciuto, qualcuno -forse- ha perfino fatto finta di non vedere. Il Collettivo, con un gruppo di giuristi solidali, ha messo a punto perfino un disegno di legge regionale e lo ha inviato, via Pec, ai gruppi consiliari della Regione Toscana, senza ricevere risposte, né -al limite- domande e richieste di chiarimento. Il presidente della Regione Eugenio Giani, all’indomani dell’ultimo corteo del 18 maggio, culminato con la “tendata” nei giardini della Regione, ha detto d’essere all’oscuro della richiesta di legge evocata dal Collettivo.
Dario Salvetti, al quarto giorno di sciopero della fame, seduto in terra sotto il gazebo di piazza Indipendenza all’ombra di un enorme cedro del Libano, ragiona sulla scelta del digiuno con “la pancia piena di rabbia e dignità”, come si legge sul cartello appeso a due alberelli, poco distante dalle sei tende canadesi allestite per ospitare notte e giorno i digiunanti e i solidali che fanno i turni per sostenerli. “Ci abbiamo pensato bene prima di compiere un passo del genere. Era un’ipotesi balenata tempo fa, credo su idea proprio di Lupetto (uno dei tre digiunatori, ndr), ma l’avevano scartata perché ci sembrava un po’ naif. Ci abbiamo ripensato, oggi vogliamo mettere questa azione a disposizione di una lotta collettiva; al muro di gomma delle istituzioni vogliamo opporre un muro sociale, che va costruito. Quindi questo digiuno va di pari passo con il corteo di qualche settimana fa, con l’accampata alla Regione, con le azioni legali contro QF e punta a creare un accerchiamento in cui si chiarisca che sullo stabilimento ex Gkn non ci sono ipotesi speculative, per cui se c’è qualcuno che vuole parlare di lavoro, diritti, conversione ecologica, si metta a una tavolo e lo faccia”.
Stupisce, in questi giorni e queste ore, e nonostante la campagna elettorale locale ed europea, il silenzio della politica. Stupisce, anche, la fiacca copertura mediatica della notizia. Un Collettivo operaio, in lotta da tre anni, capace di mobilitare decine di migliaia di persone, di riempire piazza Santa Croce a Firenze come nessun partito politico saprebbe fare, proclama uno sciopero della fame, si insedia nei giardini di piazza Indipendenza, chiede risposte precise alla politica (“anche un no, ma lo dicano”, chiarisce Salvetti), e quasi non se ne parla.
La notizia, passato il primo giorno, diventa subito vecchia, un fatto fra tanti altri, tutti digeriti e liquidati senza contraccolpi. Nei silenzi, nelle minimizzazioni, nelle alzate di spalle, nei segni di insofferenza per una lotta che dura da tanto tempo, c’è tutta la miseria della politica e dell’informazione. Vi si legge anche il declino culturale e politico di una città, Firenze, ancora descritta da qualche osservatore esterno come “fortino rosso”, mentre la segretaria nazionale del partito dominante, Elly Schlein, di passaggio in città giovedì sera per il comizio finale della sua candidata sindaca Sara Funaro, nemmeno ha pensato di visitare il presidio dei digiunanti, né di dire qualcosa, dal palco, sul più importante caso sindacale e politico dell’area fiorentina. Sono stati gli operai a visitare Schlein, a fermarla (e informarla) prima che salisse sul palco allestito nella piazza del mercato all’Isolotto, ricevendo, come hanno riferito i quotidiani, una semplice rassicurazione: “Ne parlerò con Giani, visto che è qui e che nei prossimi giorni lo incontrerete”.
La richiesta a Giani di discutere al più presto la legge sui consorzi industriali, fatta propria e presentata formalmente in Regione dal gruppo consiliare del Movimento 5 stelle, è venuta anche dalla Rsu della Regione Toscana e poi dalle rappresentanze sindacali di altri enti pubblici. Un’azione non prevista, né sollecitata dal Collettivo di fabbrica. “Questa cosa ci ha sorpreso e incoraggiato -dice Salvetti- perché ci fa capire che non siamo soli a pensare che il vero tema, qui, è il ruolo della funzione pubblica nella società. I lavoratori non vogliono parlare solo di salari e diritti ma anche di qualità, del senso stesso del lavoro in un ente pubblico. Questo ci dicono i dipendenti pubblici che passano di qui e ci sostengono: loro vorrebbero occuparsi proprio delle cose che noi chiediamo”. La politica, in questi tre anni, è stata sfuggente, le istituzioni a dir poco deboli: ministri, sottosegretari, assessori, dirigenti e funzionari di ministero e Regione Toscana per mesi e mesi hanno partecipato a incontri inconcludenti con i responsabili aziendali della ex Gkn, ricevendo promesse, rinvii, ipotesi di piani industriali mai comparsi sui tavoli. Una debacle istituzionale che non è stata ancora messa bene a fuoco.
Dario Salvetti dà una sua spiegazione della condotta evasiva del potere politico: “Da un lato c’è la routine, cioè un apparato istituzionale, politico, legislativo abituato a trovare continui stratagemmi per prendere tempo senza mettere la faccia sulle questioni concrete, se non con messaggi generici di solidarietà. Questa routine, naturalmente, aderisce a quel sistema che negli ultimi decenni ha smantellato il comparto pubblico, sia nel senso del mancato finanziamento a interventi davvero utili, sia nel senso che sono state destrutturate le stesse competenze necessarie a realizzare azioni pubbliche positive”. La conclusione logica non è incoraggiante: “A questo punto -dice Salvetti- la politica, genericamente intesa, dovrebbe dire: no, la vostra legge non la possiamo approvare, perché siamo nell’onda lunga dello smantellamento di tutto ciò che è pubblico e non possiamo darvi questa vittoria”. “O viceversa -aggiunge, aprendo uno spiraglio alla speranza- la routine è così forte, che anche prima di arrivare a una valutazione positiva passano mesi e mesi, ma la controparte lo sa, e togliendoci gli stipendi cerca di prenderci per sfinimento”.
Già, lo sfinimento. “Lo sfinimento ora è un vostro problema”, ha scritto il Collettivo nell’annunciare lo sciopero della fame. “Vostro”, cioè della collettività, ma in primo luogo delle istituzioni. In settimana ci sarà un incontro fra il Collettivo di fabbrica, i sindacati e il presidente Giani e forse almeno una parola sarà detta sulla legge regionale. Più che parole, però, servono fatti. E un fatto nuovo, importante, c’è: il Comune di Campi Bisenzio, col sindaco Andrea Tagliaferri, eletto nel 2023 a guida di una coalizione di sinistra (con il Pd all’opposizione), ha annunciato una variante al Piano operativo comunale: “Abbiamo inserito una norma ad hoc che vieterà il cambio di destinazioni d’uso da area produttiva artigianale a logistica”; un chiaro stop a fronte di voci ricorrenti riguardanti un’area più che appetibile, per la superficie coperta, per i piazzali disponibili, per la vicinanza con i caselli autostradali.
In piazza Indipendenza, sotto al gazebo, sostano e portano solidarietà ai digiunanti tante persone, tanti solidali; si parla, si commentano le notizie, si scherza sul cibo (“è sopravvalutato”, prova a dire Dario); ci sono Tiziana, unica donna del Collettivo, e Francesca, del direttivo della società di mutuo soccorso Insorgiamo, che si mette comoda e con il computer sulle ginocchia aggiorna l’elenco dei soci; Alessandro, uno dei tre digiunanti, ha la verve di sempre, anche se poi entra in tenda a riposare.
L’avventura ex Gkn è piena di umanità e non sarebbe quel che è -una delle esperienze sindacali, sociali, politiche dal basso più originali e più importanti degli ultimi decenni; una “storia d’amore”, come la definisce Valentina Baronti nel suo libro “La fabbrica dei sogni” (Alegre)- senza il contributo dei solidali. Molti di loro sono in attesa del decollo di Gff, la cooperativa ecologica, autogestita, integrata nel territorio, l’utopia concreta cui hanno contribuito prenotando migliaia di azioni. Visti il silenzio e l’evanescenza della politica, capito che una legge regionale, se mai sarà approvata, non vedrà la luce prima di qualche mese, compreso che il governo nazionale non è solo indifferente, ma anche ostile alla causa operaia, una prima reindustrializzazione non potrebbe intanto avvenire altrove? In un’altra area, per esempio, di Campi Bisenzio? Sul punto Salvetti misura le parole, ma non esclude niente: “Il nostro progetto è pronto, manca solo lo stabilimento, lo abbiamo detto. L’idea che potrebbe aleggiare a un certo punto di fare tutto questo in un altro luogo fisico, non in via Fratelli Cervi, è un’idea che siamo pronti, come sempre, come tutto, ad affrontare senza tabù. Però servirebbero ulteriori energie per realizzarlo: quelle che abbiamo sono limitate. Dovremmo anche verificare quest’ipotesi con le persone che ci hanno dato la disponibilità a un progetto pensato per sottrarre l’area ex Gkn a una logica speculativa. Quindi, è possibile partire con il nostro progetto in un altro modo? La risposta è: non lo sappiamo, vedremo, intanto stiamo provando a tenere insieme tutte le vie possibili”. L’altra sera sul fianco di Porta al prato, una delle vie d’accesso al centro di Firenze, è stata proiettata una grande scritta, firmata ovviamente Collettivo di fabbrica ex Gkn: “Fino a che ce ne sarà”.
Lorenzo Guadagnucci è giornalista del “Quotidiano Nazionale”. Per Altreconomia ha scritto, tra gli altri, i libri “Noi della Diaz” e “Parole sporche”
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