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Per tornare a parlare, e a scrivere, di lotta di classe

© Markus Spiske, unsplash

Trent’anni di neoliberismo hanno trasformato i rapporti di forza, i modi di pensare e gli immaginari collettivi. Qualcosa sta cambiando. La rubrica di Lorenzo Guadagnucci

Tratto da Altreconomia 270 — Maggio 2024

“Lotta di classe”, “coscienza di classe”, “classe in sé e classe per sé”. Nozioni che sembrano superate, anacronistiche, proprie di una fase storica tramontata. È vero, fanno parte di un lessico marxista tipico di stagioni politiche passate, ma forse è arrivato il tempo di rivalutarle e applicarle al presente: c’è la forte possibilità che le chiavi di lettura del filosofo di Treviri si rivelino calzanti.

L’espressione “lotta di classe” è finita ai margini del discorso pubblico da qualche decennio, anche prima del tramonto ideologico e politico della sinistra storica, che al passaggio del millennio -tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila- ha sostanzialmente aderito alla vulgata neoliberale, tagliando le sue radici storiche. 

Di “lotta di classe”, beffardamente, parlano più i capitalisti che la massa di sottoposti e sfruttati. È citatissima la battuta (ma lo era veramente?) del miliardario statunitense Warren Buffett, che dice più o meno così: “La lotta di classe esiste, ma è la mia che sta facendo la guerra. E la sta vincendo”. 

Trent’anni di neoliberismo hanno trasformato profondamente non solo i rapporti di forza nella società, a vantaggio della classe composta da padroni, manager e rentier, ma anche i modi di pensare, gli immaginari collettivi.

Chi sta sopra -le élite economiche e politiche- tende a concepirsi come la “naturale” guida di un “sistema” considerato come l’ordine altrettanto naturale delle cose. Mentre chi sta più in basso -operai e braccianti, ma anche la massa dei lavoratori a basso reddito e precari, dei disoccupati o sottoccupati della cultura, fino alla piccola borghesia impoverita- tende a percepirsi come un indistinto ceto medio; a sua volta componente “naturale” e pacificata di un sistema da prendere così com’è, perché immodificabile. 

La narrazione prevalente è questa. E il tracollo ideologico della sinistra si somma a una sostanziale acquiescenza, supportata da un immaginario che poggia su una visione distorta di sé da parte di sottoposti, oppressi e sfruttati.

I partecipanti alla seconda edizione del “Festival della Letteratura working class” organizzato dal 5 al 7 aprile  a Campi Bisenzio (FI) dal Collettivo di fabbrica ex Gkn sono stati più di cinquemila

Dove sono i romanzi, i racconti, le poesie, i film, le graphic novel sull’ingiustizia sociale e la lotta di classe combattuta dai ricchi? Chi rappresenta e racconta i semi della rivolta? Se ne è parlato per tre giorni, all’inizio di aprile, al festival di Letteratura working class al presidio ex Gkn di Campi Bisenzio (FI) e lì si è capito che la letteratura borghese (come altro chiamarla, a questo punto?) è largamente prevalente, ma anche che qualcosa sta cambiando. 

Ci sono autori nati in famiglie working class che riescono a raccontare il proprio mondo e a farsi notare nell’asfittico panorama letterario. Come disse Annie Ernaux, figlia di piccoli negozianti della provincia francese, nel ricevere il Nobel per la letteratura nel 2022: “Scrivo per vendicare la mia razza”. Cioè operai, braccianti e bottegai. 

Uno degli ospiti del festival, Anthony Cartwright, nel romanzo “Come ho ucciso Margaret Thatcher” (la prima edizione in lingua inglese è del 2012 ed è stato appena tradotto in italiano da Alegre) ha raccontato proprio il momento topico della lotta di classe dall’alto, quando il neoliberalismo propugnato dalla “Lady di ferro” schiantò, ma anche un po’ sedusse, la classe operaia britannica, a partire dai combattivi minatori. Mettere a fuoco, guardando da sotto, i momenti epocali della storia collettiva, è un passaggio necessario per la riscoperta della dimensione di classe e la conseguente azione per il cambiamento. È una lotta da condurre sul piano delle idee, delle rappresentazioni artistiche e letterarie, senza sentirsi antiquati.

Lorenzo Guadagnucci è giornalista del “Quotidiano Nazionale”. Per Altreconomia ha scritto, tra gli altri, i libri “Noi della Diaz” e “Parole sporche”

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